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«THE LOST ALBUMS: STREETS OF PHILADELPHIA SESSIONS - Bruce Springsteen» la recensione di Rockol

Quando Springsteen si mise a sperimentare con l’elettronica

Le recensioni dei Lost Albums: "Streets of Philadelphia Sessions"

Recensione del 03 lug 2025 a cura di Gianni Sibilla

Voto 7.5/10

La recensione

"Streets of Philadelphia Sessions" è il secondo dei "Lost albums" di Bruce Springsteen contenuti in "Tracks II". È un disco a suo modo leggendario, di cui tra i fan si parla da 30 anni o quasi, e rappresenta uno dei momenti più affascinanti  della carriera di Bruce Springsteen. In periodo in cui il cantautore decise di esplorare territori sonori nuovi e inattesi, subito dopo "Human Touch"/"Lucky town", i cui echi risuonano ancora forte in queste canzoni. Ma qui il Boss compie un passo deciso verso l’ignoto, contaminando il proprio stile classico con drum machine, loop e atmosfere che ricordano vagamente le radici hip-hop e pop elettroniche degli anni Novanta. Non è  l'album hip-hop di Springsteen di cui si è favoleggiato, ma è un album notevole, anche ascoltato oggi.

"Streets of Philadelphia Sessions" sorprende a partire dall'apertura con "Blind spot", la canzone più decisa in questa nuova dimensione "elettronica", che si sente la versione inedita di "Secret Garden", dove una drum machine radicalmente diversa dalla versione pubblicata nel 1995 rende palese l'anima più sperimentale del progetto. Ma questo album va ben oltre un semplice flirt con i suoni elettronici: è un’opera sospesa tra ballate intimiste che riportano talvolta anche alle atmosfere delicate di "Tunnel of Love" come "Waiting on the End of the World", incisa con una formazione originale e inedita per il Boss, che include Zachary Alford alla batteria, Tommy Sims al basso e Shane Fontayne alla chitarra. È una delle canzoni più belle di tutto il box, e non è un caso sia stata a lungo una delle più desiderate dai fan.

Nei testi, Springsteen esplora tematiche intime e profonde: il senso di alienazione e la difficoltà di comunicare ("Maybe I Don't Know You"), la ricerca di verità nascoste e l'angoscia esistenziale ("Something In The Well"), l'inevitabilità della perdita e della fine ("We Fell Down", "Waiting On The End Of The World"), fino a riflessioni filosofiche sul mistero della vita e della morte ("One Beautiful Morning", "Between Heaven and Earth").

Con il senno di poi, è chiaro perché l'album non abbia visto la luce all’epoca: Springsteen era ancora troppo legato ai temi e agli stili di "Tunnel of Love" e "Human Touch", che avevano spiazzato parte dei fan. Troppo distante, dunque, dal rock tradizionale che ne aveva definito l'identità e lo aveva reso una star. La decisione di riunire la E Street Band per un greatest hits e il successivo ritorno alla solitudine acustica di "The Ghost of Tom Joad" resero questo album una vera sliding door nella sua carriera.

Nonostante il suono oggi appaia in alcuni punti datato, "Streets of Philadelphia Sessions" resta un piccolo grande gioiello nascosto nella discografia di Springsteen, un'opera che avrebbe meritato un titolo definitivo capace di riassumerne l'esplorazione sonora inedita.
 

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