"Lost and Found": gli archivi del Boss spiegati da Erik Flanagan

Il box "Tracks II - the Lost Albums" di Bruce Springsteen contiene un ricco booklet di 100 pagine, che si apre con con due introduzioni, una a firma dello stesso Bruce Springsteen, una a cura dell'archivista Erik Flanagan. Ecco la traduzione italiana del saggio di Erik Flanagan.
Lost and Found (di Erik Flanagan)
Con l’uscita di Nebraska nel 1982, Bruce Springsteen ha sfumato i confini tra demo e registrazione professionale. E nel farlo ha cambiato il modo in cui ha fatto musica per i successivi quarant’anni. L’impatto catalizzatore di quel cambiamento è fondamentale per comprendere la genesi dei sette album contenuti in questo straordinario cofanetto; molte delle 83 canzoni incluse qui sono iniziate come registrazioni in uno studio casalingo. Ogni Lost album ha una propria storia e influenze, ma tutti sono tutti legati dalla libertà creativa sbloccata per la prima volta con un TEAC 144 Portastudio.
Ovviamente, Nebraska non era originariamente pensato per essere pubblicato nella forma che oggi veneriamo. Come aveva fatto per Born to Run nel 1974–75, Darkness on the Edge of Town nel 1977–78 e The River nel 1979–80, Springsteen stava scrivendo canzoni seguendo il suo percorso abituale, ovvero l’incisione in uno studio professionale con la E Street Band.
Le dieci canzoni scritte per quello che sarebbe diventato Nebraska nel 1982 non erano diverse nelle intenzioni, ma completamente diverse come processo creativo: per la prima volta Springsteen poteva registrare in multitraccia da solo. Come dimostrano i due anni passati a realizzare ciascuno dei tre album precedenti, il processo di scrittura e registrazione in studio con la band era diventato lungo e logorante, il che spiega perché sbloccare la possibilità di registrare multitraccia a casa sia stato
così liberatorio.
Springsteen aveva già fatto degli home demo alla fine degli anni ’70, usando un registratore a cassette per catturare versioni acustiche delle nuove canzoni. Ma la bassa qualità degli strumenti ne precludeva un utilizzo commerciale; servivano semplicemente a condividere nuove canzoni con la band prima di una sessione.
Ma nell’inverno 1981–82, Springsteen iniziò a lavorare con un registratore a cassette multitraccia TEAC 144 Portastudio. L’apparecchio permetteva la registrazione asincrona su quattro tracce separate, consentendo sovraincisioni di più strumenti.
Non più limitato a bozze rudimentali in presa diretta, il Portastudio gli permetteva di modellare l’arrangiamento, la struttura e il tono di una canzone, nonché aggiungere effetti vocali e sonori. Si trattava pur sempre di un registratore a cassette, ma mixare quelle incisioni produceva qualcosa di molto più di un semplice demo: suonava diverso da qualunque cosa fatta in precedenza.
All’inizio del 1983, Springsteen lavorava in un appartamento sopra il suo garage a Los Angeles, con un sistema di registrazione casalingo che inizialmente aveva otto tracce, poi ampliate. Con quel setup registrò per la prima volta "My Hometown" e "Shut Out the Light" come parte delle LA Garage Sessions ’83. Nel 1987 a Rumson, nel New Jersey, aveva già installato in casa un sistema di registrazione digitale a 24 tracce, dove registrò quasi tutto Tunnel of Love, questa volta con qualità tale da permettere la pubblicazione.
I membri della E Street Band venivano poi chiamati per sostituire alcune delle parti originali di tastiera, drum machine, basso e chitarra, ma gran parte di ciò che ascoltiamo in Tunnel of Love è stato realizzato da lui, da solo, nella sua dependance. Era liberatorio avere un luogo come i Power Station Studios di New York, praticamente fuori dalla finestra della camera da letto.
Il cambiamento nel suo approccio alla registrazione non era un rifiuto della E Street Band, ma piuttosto la consapevolezza di avere la possibilità di essere creativo seguendo i propri tempi e le proprie condizioni. “La possibilità di registrare a casa ogni volta che volevo,” dice Bruce, “mi ha permesso di esplorare un’ampia varietà di direzioni musicali diverse e di prendermi tutto il tempo necessario per sviluppare un progetto”. Senza il vincolo di scrivere specificamente per i suoi storici compagni, la sua scrittura era sbocciata, portando con sé una nuova tavolozza di influenze e suoni.
La scrittura, i demo e le registrazioni professionali di Springsteen si sono fusi in un processo creativo unico. “È un tutt’uno,” dice oggi. “È così che lavoro adesso, da Nebraska in poi. Se guardi a come sono state realizzate queste registrazioni, vedi che molte sono state incise con solo due o tre persone”. E ha creato molta più musica in questo modo di quanto avessimo mai saputo.
I sette dischi che compongono The Lost Albums coprono oltre quarant’anni e sono il risultato diretto di questa evoluzione nel modo di scrivere e registrare, andando oltre i suoi confini musicali, pur restando tra i suoi brani più personali e curati. In alcuni casi, come le Streets of Philadelphia Sessions, erano album già mixati e pronti per l’uscita. Ben due, in effetti. Uno fu scritto per un film mai girato mentre altri, come Inyo e Somewhere North of Nashville, sono esplorazioni tematiche di lungo corso che richiamavano Springsteen da tempo - mesi, anni e perfino decenni. I Lost Albums non sono mai stati finiti, ma nemmeno dimenticati.
Nel corso di molti anni, con l’aiuto del produttore Ron Aniello e dell’ingegnere Rob Lebret, Springsteen ha rimesso mano al suo vasto archivio di musica solista incompleta. Insieme (spesso con l’assistenza di altri musicisti, da una banda mariachi a membri della E Street Band) hanno compilato e completato queste strade mai percorse fino in fondo. Una manciata di titoli potrà suonarvi familiare da altre incarnazioni, mentre il resto sarà nuovo anche per i fan più accaniti.
Ed è proprio questo l’aspetto entusiasmante: in un colpo solo, The Lost Albums aggiunge sette vivide opere al già vasto catalogo di Springsteen. Ciascuna ha una sua indipendenza e allo stesso tempo riempie capitoli importanti della linea temporale della sua carriera, permettendoci di apprezzare e riflettere su come questo materiale si collochi accanto alla musica che già conosciamo. The Lost Albums è forse lo sguardo più rivelatore che abbiamo mai avuto a disposizione sul modo in cui Bruce
Springsteen crea la sua arte, nonché sul legame indissolubile tra l’atto della scrittura e il processo di registrazione.
“Penso che cambi la percezione su cosa stavo facendo durante gli anni ’90,” dice con consapevolezza. “Ho fatto qualche disco in più".