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I Big Thief e la musica senza storytelling

Cosa succede quando esce un disco bellissimo, ma dove non c’è una storia?
I Big Thief e la musica senza storytelling
Credits: Genesis Báez

Nella musica abbiamo un problema con lo “storytelling”. Questa parola in italiano ha spesso un significato un po’ diverso dal suo corrispettivo anglosassone, ovvero narrazione, l’atto del raccontare. Da noi viene diventa spesso sinonimo di marketing: una storia fatta “per vendere” metaforicamente un prodotto, per posizionarlo; nel caso della musica, una canzone o un artista.
Un progetto musicale, per funzionare, deve avere una storia, che va creata, raccontata con ogni mezzo e medium possible spesso esagerando o inventandosi qualcosa, allontandosi dalla realtà. Nella musica, in cui la credibilità è fondamentale, è un’operazione necessaria, ma talvolta rischiosa.

Cosa succede quando esce un disco bellissimo, ma dove non c’è una storia o è quasi completamente assente? E cosa succede quando la storia prende il sopravvento sulla musica? Il disco a cui faccio riferimento è “Double infinity” dei Big Thief, in uscita in questi giorni – a tre anni dal bellissimo “Dragon New Warm Mountain I Believe In You”. Un disco in cui lo storytelling semplicemente non c’è: c’è solo la musica, all’estremo opposto.

Eppure, “Double infinity” è tutt’altro che un album “semplice”: è un lavoro che rivendica la diversità, “Incomprehensible, let me be”, come canta Adrianne Lenker. È un album dove le canzoni nascono nel momento stesso in cui vengono suonate, registrate live in studio insieme a una piccola comunità di musicisti che entrano ed escono dalle stanze dei Power Station di New York, mentre il gruppo – come raccontano – si muoveva in bicicletta tra Brooklyn e Manhattan sotto la neve, per tre settimane consecutive, come in un rituale quotidiano. Questa, assieme all’uscita del bassista Max Oleartchik, è l’unica storia attorno all’album. Sono solo alcuni artisti che vanno in studio e suonano delle canzoni assieme, richiamando l’idea di “live in studio”, che sì, è uno dei grandi storytelling della musica: l’idea che un album sia stato registrato esattamente come lo sentiamo. Spesso è marketing pure questo: ma nel caso di "Double infinity" è assolutamente credibile, si sente un gruppo di persone che suonano assieme e cantano canzoni dritte.

C’è lo storytelling – pardon, il racconto – dentro canzoni, non attorno alle canzoni. Anche questo semplice ed essenziale: “Gonna turn it all into rock and roll”, come cantano in “Grandmother”, uno dei pezzi più belli del disco, assieme a “Incomprehensible”: testi che oscillano tra il contemplativo e il filosofico, tra domande cosmiche e immagini minime, intime: “Let gravity be my sculptor, let the wind do my hair”. È un invito a lasciarsi andare, a non temere l’incomprensibile, a non cercare il senso di tutto (con uno storytelling?). Musica dritta, chitarre, basso e batteria, e poco altro: un suono imperfetto, senza un concept ma che crea un mondo sonoro. Non ha bisogno di storytelling, perché è musica che si racconta da sé.

L’idea che la musica sia racconto e immagine non è certo una novità, c’è sempre stata. L’artista che ha dato vita alla musica rock.pop come la conosciamo, ovvero Elvis Presley, era un enorme talento ma anche un frutto di un racconto costruito scientemente con l’uso dei media – se ne parla recentemente a in questo libro sul colonnello Parker, il suo manager, grandissimo stratega che usò la televisione per posizionare, come si direbbe oggi, il suo artista e valorizzarne il talento.

I Big Thief arrivano da quello che, per brevità, chiamiamo “indie”, e pure lì lo storytelling è centrale, e non da oggi: la credibilità, la purezza, è (quasi tutto). Ci sono ambiti dove l’approccio è persino più radicale, fino all’eccesso: per citare un caso recente, il concerto di Drake che abbiamo appena visto in Italia sembrava più centrato sul riposizionamento del rapper dopo il dissing con Kendrick Lamar che sulla performance e sulla musica: lo storytelling era il ritorno di un artista che cerca di riavvicinarsi al pubblico, letteralmente e metaforicamente, suonando in un posto piccolo e in mezzo alla gente. Peccato poi che la performance e le canzoni finissero per essere secondarie rispetto a questa storia. L’importante era esserci, Drake che si racconta con il palco e il pubblico che racconta di avere visto Drake.

Anche i concerti sono storytelling, ci mancherebbe. i Big Thief torneranno finalmente in Italia, hanno una data a Milano il 14 giugno 2026. Sono ragionevolmente certo che faranno come altre band di quel genere – a me ricordano molto i Wilco: una band sul palco, e via, niente storytelling. Alleluia: ci siamo disabituati ai concerti “semplici”, in mezzo alla competizione per show sempre più grossi, più spettacolari (e più cari). Badate bene, storytelling, marketing e social media (ogni media) sono parte integrante della musica: ci piacciono artisti e band perché ci piacciono le loro storie, cosa rappresentano, oltre alle canzoni. Pensare che non sia così è ingenuo e illusorio.

Ma ogni tanto è bene ricordarci che tutto parte dalle canzoni, soprattutto quando passano in secondo piano e quando le proporzioni con lo storytelling si sbilanciano su quest’ultimo, come spesso accade. Ogni tanto è bene tornare alla musica-musica, senza sovrastrutture, per ricordarci da dove arriva tutto. “Double infinity” dei Big Thief fa esattamente questo: aria musicale pulita da respirare. 

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