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«THE LOST ALBUMS: LA GARAGE SESSIONS '83 - Bruce Springsteen» la recensione di Rockol

Il Boss alla ricerca di se stesso, dopo "Nebraska"

Le recensioni dei Lost Albums: "LA Garage Sessions '83"

Recensione del 01 lug 2025 a cura di Gianni Sibilla

Voto 7/10

La recensione

Nei prossimi giorni recensiamo, uno per uno, tutto gli album inediti del monumentale "Tracks II - The Lost Albums" di Bruce Springsteen, a cui abbiamo dedicato uno speciale mixtape con le schede di ogni album, che trovate qua.

Cominciamo in ordine cronologico e di collocazione nel box con "La Garage Sessions '83". Questo album emerge oggi come una sorta di "Nebraska 2.0": una raccolta intima e solitaria, registrata prima della potente svolta rock di "Born in the U.S.A.", eppure più leggera, meno cupa del capolavoloro pubblicato appena un anno prima. Nonostante sia noto ai fan per via dei numerosi bootleg in cui sono apperse molte di queste canzone, questo lavoro  trova ogg una coerenza sonora e tematica che lo rende un tassello fondamentale nella storia del Boss. L’unica vera mancanza è quella di un titolo ufficiale che sappia condensarne il significato.

"Can you live with an unsatisfied heart?", canta Springsteen in "Unsatisfied Heart", brano che racchiude in sé il senso più profondo del disco  - forse poteva essere proprio questo il titolo della raccolta. È la domanda di un artista inquieto, che cerca di definire la propria identità musicale attraverso racconti initimi, meno crudi rispetto a "Nebraska", con melodie e arrangiamenti essenziali, ma più elaborati e puliti rispetto al 4 piste con cui l'album precedente venne inciso. Springsteen aveva uno studio casalingo più avanzato e si sente: poprio in "Unsatisfied Heart" questo set-up permette una strumentale avvolgente che sottolinea perfettamente la ricerca emotiva che permea l’intera raccolta.

Le atmosfere sono ancora vicine a quelle spoglie e crepuscolari di "Nebraska", come dimostrano brani come "Richfield Whistle" e la struggente "Fugitive’s Dream (Ballad)", ma già si intravede un'apertura verso un sound più cantautorale e contaminato da lievi accenti elettrici. Brani come "Johnny Bye Bye", qui presentata in una versione più lenta e minimale rispetto a quella successiva, e una "My Hometown" diversa da quella che conosciamo, cantata con un delicato falsetto su chitarra acustica, mostrano chiaramente la direzione in cui Springsteen stava andando.

Tra queste tracce emergono autentici classici dimenticati, come "Sugarland" (titolo che tra i fan gira da decenni), la tenera e nostalgica rielaborazione di "Follow That Dream", originariamente cantata da Elvis e poi portata in concerto diverse volte. E ancora la nostalgia di "County Fair" (già edita) e "Seven Tears", che avrebbero facilmente trovato spazio in album ufficiali per la loro immediatezza melodica e profondità narrativa.

I testi affrontano temi profondi e spesso autobiografici, come la ricerca di un'identità e di un senso di appartenenza ("My Hometown", "Follow That Dream"), la perdita e la nostalgia per un passato migliore ("Sugarland", "Seven Tears"), la fragilità e le difficoltà nelle relazioni personali ("Don't Back Down On Our Love", "Black Mountain Ballad"), e la riflessione su scelte passate e conseguenze future ("Richfield Whistle", "Unsatisfied Heart").
Suonato interamente da Springsteen, che qui si destreggia tra voce, chitarra e strumenti vari, con l'aiuto del drum programming curato insieme a Mike Batlan, "La Garage Sessions '83" restituisce l'immagine di un artista nel pieno della sua vulnerabilità e creatività, ancora indeciso sulla strada da prendere, ma con molte idee da esplorare. Questo album, prodotto dallo stesso Springsteen e completato con Ron Aniello, non è solo una testimonianza preziosa di un momento cruciale della sua carriera, ma un ritratto dell'artista nel momento in cui la sua vita e la sua carriera stanno per cambiare per sempre: al suo posto arriverà "Born in The U.S.A.", e il resto è storia.
 

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