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«IL CORPO UMANO - Jovanotti» la recensione di Rockol

"Il corpo umano", la musica come forma di elaborazione del trauma

Dopo avere sperimentato con suoni e forme di distribuzione, un album di canzoni-canzoni

Recensione del 31 gen 2025 a cura di Gianni Sibilla

Voto 7/10

La recensione

Una teoria recente sostiene che una buona parte delle storie che ci vengono raccontate nasca da un trauma. I personaggi di film, serie, libri, ecc. hanno subito un evento che ha sconvolto la loro vita e passano il resto del racconto a elaborarlo, trasformandosi in eroi o antieroi.

Nella musica è un po’ diverso: si racconta, certamente; l’artista è sempre un personaggio che sceglie cosa e come presentarsi. Ma c’è una sovrapposizione con la realtà: canta in prima persona e tendiamo a leggere le canzoni come una sorta di autobiografia in musica. La musica fa “storytelling” da quando ancora non lo si chiamava così, ma oggi — con il racconto onnipresente dei social media — è ancora più difficile, se non impossibile, separare la persona dal personaggio. La musica è una rappresentazione continua. Ho chiesto a Jovanotti come si trova credibilità, in questo sistema: "Quando scrivi una canzone, pensi solo alla canzone. Una volta De André disse: “Bisogna essere credibili quando scrivi canzoni.” Io pensai: Sì, ma bisogna essere anche un po’ incredibili. Fare qualcosa che spiazzi". "Il corpo umano" di Jovanotti è il risultato di un trauma e della sua elaborazione in canzoni.

Un trauma vero

Nel caso di Jovanotti il trauma c’è stato davvero: l’incidente del 2023 che lo ha costretto a ridefinire la sua carriera. 

È un tema che emerge in molte canzoni, a partire da "Montecristo" (“Una sirena mi ha tagliato la strada/Per costringermi a guardare le cose con occhi nuovi, con occhi nuovi (…) Mi hanno portato via la cosa a cui io più tenevo”) e in "Fuorionda" (“Potrei dirti che fa ancora male e non si decide a passare/Che quel giorno in ambulanza ho capito che si muore”). La canzone più intensa de "Il corpo umano" è l’introspettiva "La grande emozione", in cui per la prima volta Jovanotti riflette sulla sua fragilità artistica (“E a un certo punto arriva/Nella carriera di un artista la canzone che non arriva/per fare il punto per affermare che è viva la vena creativa”).

Jovanotti si ripresenta con un album di canzoni-canzoni, dirette sia nei temi che musicalmente. Ed è un bel ritorno, dopo le sperimentazioni nella forma e nella sostanza di "Mediterraneo" e "Il disco del sole". Lorenzo ha raccontato di essersi chiesto che musica volesse fare oggi, in una fase diversa della sua carriera, quella di un artista maturato giocoforza per il trauma, e maturo anche semplicemente per questioni anagrafiche (anche se, scherza lui, nel suo soprannome c'è comunque sempre il rimanere giovani - cercare l'incredibilità, appunto). Il risultato è un album che rilegge i suoni e le sperimentazioni che ha sempre frequentato, ma con una consapevolezza diversa, con canzoni-canzoni essenziali pur nella loro varietà.

Dardust, Canova e Nardelli

Una parte del merito va anche alle scelte di produzione. Da un lato Dardust, che ha prodotto i pezzi più contemporanei: le già citate "Montecristo", "La grande emozione", "Fuorionda", ma anche la cantautorale "Un mondo a parte", poi "Le foglie di te" e "Universo" (tra i momenti migliori, con il loro ritmo reggaeton rivisitato), e "Il corpo umano", che parte come un sirtaki e diventa un mantra elettronico-etnico. Dall’altro il ritorno di Michele Canova, produttore storico di Jova, ma con cui non lavorava dal 2015, che ha prodotto gli episodi più pop: "La mia gente", "Lo scimpanzé", "Celentano", e pure la delicata "Grande da far paura" (con gli archi di Davide Rossi). Infine, Federico Nardelli (Ligabue, Gazzelle) ha prodotto "Senza se e senza ma", un mid-tempo acustico, e "101", con un bel basso distorto a reggere la chitarra ritmica.

Un buon disco, che chiama una seconda parte (la scritta “vol. 1” campeggia in copertina) e che testimonia una rinascita, un periodo creativo nato da una difficoltà, ma anche una messa a fuoco e una lucidità che talvolta Jovanotti ha messo in secondo piano, preferendo l’entusiasmo e l’accumulo di idee.
Nel caso de "Il corpo umano", la teoria del racconto che nasce dal trauma ha mostrato la sua efficacia.

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