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«CRUEL COUNTRY - Wilco» la recensione di Rockol

I Wilco e la loro "American music about America"

La band rivisita un genere da cui ha sempre cercato di sfuggire. Ispirandosi ai Grateful Dead?

Recensione del 28 mag 2022 a cura di Gianni Sibilla

Voto 8/10

La recensione

Negli anni '90 lo si chiamava alternative country, o "alt-country": un modo per rivendicare le origini della musica americana, ma anche per distanziarsi da un mondo tendenzialmente conservatore. Dall'etichetta "country" gli Wilco (e i loro genitori Uncle Tupelo) hanno sempre cercato di allontanarsi sia concettualmente che musicalmente: l'approccio alle canzoni era basato sulla destrutturazione, culminato nel capolavoro estremo di "Yankee hotel foxtrot".
Dopo molto tempo, gli Wilco tornano sul luogo del delitto con un "album di genere", tutto basato sui quel mondo. Rivisitato a modo loro, ovviamente.

Live in studio

21 canzoni, 80 minuti di ballate acustiche che pescano a piene mani dalla tradizione, ma allo stesso tempo la mettono in discussione e la rileggono, sia per i suoni che per i temi.
In altri tempi si sarebbe definito "Cruel country" "un doppio" - oggi non si sa se ha ancora senso questa definizione, con le piattaforme - tanto più che esce per il momento solo in digitale, pubblicato in autonomia dalla band: per le versioni fisiche bisognerà attendere qualche settimana.

Sta di fatto che l'album è stato registrato dal vivo in studio ad inizio 2022, come una sorta di flusso di coscienza liberatorio dopo i vari lockdown: un tappo che salta dopo mesi in cui stare assieme in una stanza era complicato se non pericoloso.
Ora si può fare: "È un approccio che non usiamo da anni, forse non da "Sky Blue Sky". È uno stile di registrazione che costringe una band a rinunciare al controllo e imparare a fidarsi l'uno dell'altro, insieme alle reciproche imperfezioni, musicali e non", ha raccontato Jeff Tweedy.

Il bello di "Cruel country" è che quest'atmosfera "live in studio" è reale, non è uno specchietto per le allodole o un gancio narrativo buono per un comunicato stampa o un post sui social. Le canzoni di "Cruel country" sono più dritte e meno sperimentali di tante cose fatte dai Wilco, hanno una naturalezza che nasce proprio da questa libertà. 

A livello musicale, in più di un'occasione mi sono tornati in mente i Grateful Dead di "Working man's dead" e "American beauty", i due album in cui misero da parte la psichedelia e gli assoli per riscrivere il folk-rock. Fatte le dovute differenze, un approccio simile si sente anche qua: meno assoli, meno chitarre elettriche, Nels Cline che passa in secondo piano o si limita a ricamare sulle chitarre acustiche e su ritmi folk: il suono organico di una band, in cui non c'è un membro che prevale sugli altri, dove l'obbiettivo è la canzone, più che l'individualità.

Tra i momenti più belli del disco ci sono "Bird Without A Tail / Base Of My Skull" e "Many Worlds", due canzoni con stupende code strumentali in cui i Wilco si lasciano andare del tutto: ne vengono fuori due jam pressoché perfette in cui si sentono ancora di più i Dead, ma quelli più elettrici e "liquidi". Due capolavori che da soli valgono il disco.

American music about America

C'è poi un altro aspetto: "Cruel country" è una sorta di concept album non solo a livello sonoro, ma anche e sorprattutto tematico.

Il country classico è spesso monotematico quando non monolitico nei suoi valori e temi, ma i Wilco mettono in discussione tutto, usano questo frame sonoro non tanto per rafforzare le solite idee patriottiche del genere, ma per metterle in discussione, per raccontare le sempre più radicali contraddizioni del loro paese. 

"I love my country like a little boy/Red white and blue/I love my country, still bitter and cruel /Red white and blue all you have to do is sing in the choir/Kill your self every once in a while": Nelle parole che aprono "Cruel country", la title track c'è un mondo, ma rovesciato. In una strofa Jeff Tweedy prende la santa trinità del country classico - Dio-patria-famiglia - e la riscrive prendendo spunto dalla deriva sociale degli ultimi anni. Immagini e spunti - magari non così netti come in questa canzone, appaiono in tutto il disco, dall'apertura di "I am a mother" alla fine di "The plains".

Gli 80 minuti di "Cruel country" sono piacevoli e tosti allo stesso tempo, con diversi piani di lettura. La band ha realizzato il suo disco più a fuoco di questa fase della carriera, un vero trattato su cosa è stata e cosa può essere la musica americana delle radici.

Tracklist

01. I Am My Mother (02:35)
02. Cruel Country (03:26)
03. Hints (03:38)
04. Ambulance (03:11)
05. The Empty Condor (03:53)
06. Tonight's the Day (03:26)
07. All Across the World (03:42)
08. Darkness is Cheap (03:19)
09. Bird Without a Tail / Base of My Skull (05:04)
10. Tired of Taking It Out On You (03:36)
11. The Universe (03:33)
12. Many Worlds (07:52)
13. Hearts Hard to Find (03:27)
14. Falling Apart (Right Now) (03:16)
15. Please Be Wrong (03:01)
16. Story to Tell (04:08)
17. A Lifetime to Find (04:07)
18. Country Song Upside-down (02:46)
19. Mystery Binds (03:08)
20. Sad Kind of Way (02:48)
21. The Plains (03:08)
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