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Ritorna l'ex-Denovo, che racconta il nuovo disco 'La consuetudine'...

Fa piacere rivedere sulla scena Luca Madonia, che sembrava disperso nel limbo dei "senza contratto", dopo anni di onesto lavoro come interprete e autore di canzoni gradevoli e mai banali, sia con i Denovo che da solo. Doppiamente piacevole è scoprire che il musicista catanese si ripresenta con lo stesso estro che ne ha caratterizzato le prove passate, senza perdersi in improbabili rivoluzioni stilistiche per inseguire i nuovi trend e senza rivendicazioni da star incompresa in cerca di clamorose rivincite commerciali. Anzi, i suoi modi affabili sono diametralmente opposti agli atteggiamenti da "grande artista". Il fatto stesso che la presenza di ospiti come Carmen Consoli e Franco Battiato non venga sparata a grandi lettere sulla copertina del nuovo album "La consuetudine" dà la misura della discrezione di Madonia e della sua sostanziale estraneità ai trucchetti per attirare l'attenzione. Per quello, bastano le sue canzoni.

Cosa è successo durante gli anni in cui sei rimasto assente dal mercato discografico?
Un po’ di cose. L’ultimo disco era del ‘94 e si è portato dietro anche l’anno successivo. Ho continuato a suonare dal vivo con i Rossofisso, con i quali ci sono diverse affinità anche se sono più giovani di me. Ho sempre sostenuto la forza del gruppo, non penso che i turnisti, anche se bravissimi, possano dare quel sapore che ottieni suonando con un gruppo affiatato. Quindi ho continuato a rodare questa esperienza e a comporre nuove canzoni, fino a quando Storie di Note mi ha offerto finalmente l’occasione di lavorare a un progetto intero nel modo giusto, con tranquillità e con amore. Uso questa parola romantica perché è vera: oggi si tende a bruciare tutto a ritmo vorticoso, anche in termini di promozione. Invece con Storie di Note mi sento molto coccolato, si lavora insieme su tutto e questo è molto bello in un’era di isteria collettiva. Così sono arrivati un EP con tre brani, che poi sono stati inclusi anche nell’album, poi il singolo e infine l’album.

Quindi non ci sono state pause di riflessione o un periodo di distacco dalla musica.
No. Magari ci sono stati momenti di attività ridotta, ma anche quando non registravo e non suonavo dal vivo, ero comunque impegnato a scrivere cose nuove e a sistemare il materiale che avevo da parte. Alla fine ho deciso quali brani usare per il disco e in base ai pezzi scelti ho coinvolto alcuni amici, artisti importanti, che mi hanno fatto il grande regalo di aiutarmi a realizzare il lavoro.

Non fai mistero di voler mantenere un legame col tuo passato nei Denovo...
Ai Denovo piaceva scrivere canzoni e melodie e io continuo fondamentalmente a fare questo. Nell’album mantengo questo ponte col passato. Ci sono melodie come “La consuetudine” o “Meravigliandomi del mondo”, ma ci sono anche brani di matrice prettamente rock, nati sulla chitarra e suonati con basso, chitarra e batteria. Dal vivo, per scelta, non usiamo sequencer perché trovo che sia inquietante fare ogni sera un brano con lo stesso tempo, seguire un click. I brani devono seguire sera per sera lo stato d’animo dei musicisti. Ci sono leggende metropolitane che dicono che gli Stones facessero bene un concerto su cinque, ma quello buono era davvero una cosa da paura. A me andrebbe benissimo anche farne uno su dieci, se si vuole trovare la magia, bisogna fare così. Poi il disco è un’altra cosa, te lo senti quando vuoi, a qualunque orario, e deve essere perfetto. Dal vivo è diverso: se ti va, puoi anche staccare tutto e fare solo voce e chitarra, non importa.

Non pensi che venire etichettati come “nuovo rock italiano” sia stato un mezzo equivoco? Eravate un po’ più accessibili di altri gruppi e ricordo che qualcuno di quelli che vi ha sostenuto all’inizio ha finito con lo scaricarvi appena è arrivato un po’ di successo.
Forse sì, capisco cosa vuoi dire. Ma questo in fondo ci faceva piacere. Siamo nati indipendenti, con il festival rock italiano, siamo emersi insieme ad altri gruppi come Litfiba, Diaframma, Neon... Però ci siamo sempre sentiti un po’ outsider anche in quella situazione, ci sentivamo diversi, in senso buono. Non ci siamo mai posti il problema di appartenere a un mondo piuttosto che a un altro. Poi sono arrivate le prime opportunità per farci conoscere davvero, per la prima volta le televisioni si interessavano ai gruppi nuovi. In effetti, a tutti interessava farsi vedere, noi forse siamo stati più fortunati a infilarci dentro a questa porta che si era aperta. Quando abbiamo partecipato al Festival di Sanremo, è arrivata la popolarità ma ci siamo giocati tutta la frangia cosiddetta alternativa.

“La consuetudine” è prodotto da Toni Carbone e “In santità” è quasi una riunione dei Denovo al completo, visto che c’è anche Mario Venuti.
Sì, abbiamo fatto i “Denov”, c’eravamo quasi tutti

Che ne è dell’unico assente, tuo fratello Gabriele?
Non sta suonando, ha un po’ mollato la batteria. Mario invece ha proseguito con le sue cose e Toni è diventato produttore, suona in giro, è uno eternamente “on the road”.
Per coinvolgere tutti gli ospiti presenti nell’album è bastato un giro di telefonate?
Praticamente sì, solo con Franco Battiato è andata diversamente. E’ stato il primo a cui ho fatto sentire i provini. Oltre alla stima che provo verso di lui come artista, c’è un grande rapporto di amicizia, anche lui spesso mi fa sentire cose sue. Si è subito innamorato di “La consuetudine” e, al momento di registrare il disco, gli ho proposto di collaborare. Lui ha accettato subito: ha cantato e si è prestato anche a comparire nel video. Con Carmen Consoli e Mario c’è stata invece la classica telefonata. Carmen l’ho beccata mentre era a Roma, per un concerto. Mi ha ringraziato per avere pensato a lei ed è stata molto gentile. Il duetto di “Meravigliandomi del mondo” è uscito proprio come mi aspettavo. Anche Mario ha accettato subito la proposta. “In santità” è una canzone che si avvicina allo stile dei Denovo, quindi mi piaceva l’idea di ricreare una situazione del genere. Il disco è nato un po’ tutto così, dalla voglia di suonare. Non avevo pressioni perché ho registrato a casa mia con lo studio mobile di Toni, proprio per avere la possibilità di coinvolgere tutti gli amici. In più, c’era anche il piacere di tornare a lavorare con Toni, con cui non avevo mai fatto un discorso di produzione. E’ stato piacevole avere come produttore un vecchio amico, con cui ho diviso molte esperienze. C’era un’affinità totale, lui capiva al volo quello che gli chiedevo.

A conferma di quanto mi dicevi sulla forza del gruppo, nel disco suonano con te i Rossofisso e i Voodoo Phunk.
I tre pezzi suonati con i Voodoo Phunk sono stati registrati per l’EP, già sapendo che li avrei utilizzati anche per l’album. Nel frattempo però ho deciso di cambiare direzione, mi ha intrigato quest’idea “catanese”, la possibilità di fare il disco a casa con gli amici e quindi non ho più lavorato con loro. Alla fine ci sono sette pezzi con una produzione e tre con un’altra. Credo che si sentano anche un po’ le differenze, ma penso che vada bene così, c’è più varietà e rappresentano momenti diversi.

Da catanese, hai visto l’evoluzione della scena musicale cittadina e la trasformazi one da luogo sperduto di provincia a centro indicato come una delle scene più fertili d’Italia. Le cose sono davvero così cambiate rispetto a quando hai iniziato?
Sono cambiate tantissimo. Catania è sempre stata una città di provincia viva e attenta, ma credo che tutta l’Italia sia fondamentalmente così, una grande provincia. Adesso i media si sono accorti di Catania, grazie a tutto quello che è successo, fino all’esplosione di Carmen Consoli. Sono molto contento di tutto questo, così come del fatto che Battiato sia tornato a vivere lì, che Dalla abbia preso casa lì... Evidentemente certe magie non sono solo cose da cartolina, esistono veramente. E poi non c’è più motivo di emigrare: i dischi te li fai col computer a casa. Non credo comunque alle scuole: tutti mi chiedono se si può parlare di scuola catanese. Ma quale scuola! O ci sono i talenti o non ci sono. Sono sicuro che in altre città italiane ci siano talenti mostruosi che non hanno ancora avuto la fortuna di farsi sentire. Alla fine, ci vuole sempre una grande fortuna in questo mestiere.

I tuoi testi si riferiscono in genere a situazioni e relazioni personali. Nell’album però ci sono “In santità” e “Commozione” che, senza fare riferimenti troppo diretti, osservano la situazione sociale di questi anni. “In santità” soprattutto sembra alludere a certi politici.
Mi hai beccato. Non mi è mai piaciuto fare dichiarazioni dirette, quindi ognuno può riferire il testo a chi vuole, ma è un commento all’arroganza che vediamo, ai molti che si sentono in santità appunto, si credono unti dal Signore. E comunque, come canto nella canzone, non mi convinceranno mai.

In “Commozione” dici che ci vorrebbe un’occasione generazionale. Sei deluso dalla situazione che si è creata in questi anni?
Sai, quando uno dice che i ragazzini di oggi sono diversi da quelli dei nostri tempi, c’è sempre la paranoia di sembrare quello che è cresciuto e che quindi vede le cose in modo diverso. Però credo che di fondo ci sia forse meno impegno, che ci sia un appiattimento causato anche, ahimé, da quei signori che stanno lì con le loro televisioni. Se prendi un varietà di trent’anni fa, ci trovi Totò, Walter Chiari, Mina, Sordi. Guarda invece cosa c’è in giro adesso. C’è meno qualità, s’è perso qualcosa. In passato non era così, magari si commettevano errori, c’era dell’ingenuità, ma si tentava qualcosa, c’erano delle novità. Adesso sembra di essere tornati a una situazione stagnante, anche nello spettacolo. Vedi certi cast come quello di Sanremo di quest’anno e ti chiedi: ma perché? Poi si torna alle solite lamentele, al fatto che non si vendono dischi, ma per smuovere le cose bisognerebbe anche azzardare qualcosa. Fa piacere quando arrivano i casi limite, come i Subsonica o i C.S.I. in testa alle classifiche. Non sono uno che sostiene per forza le cose “alternative”, non ho problemi a dire che posso emozionarmi per la voce di Celentano in certi passaggi, ma è bello sentire qualcuno che cerca strade nuove.

(Paolo Giovanazzi)

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