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Una leggenda del rock racconta il suo nuovo disco...

Il suo passato con i Led Zeppelin lo iscrive di diritto fra le leggende del rock. E John Paul Jones si gode questa posizione con perfetto “understatement” inglese: è orgoglioso del suo passato ed è consapevole di trovarsi nella fortunata posizione di fare esattamente quello che vuole, definitivamente libero da pressioni commerciali e dalla necessità di comportarsi da rockstar. Infatti nei suoi dischi i Led Zeppelin sono un’eco lontana, e il nuovo “The thunderthief” non fa eccezione: richiama semmai lavori recenti dei King crimson di Robert Fripp, che è pure presente come ospite nel brano di apertura “Leafy meadows”. I nostalgici possono mettersi il cuore in pace. Il Jones del 2002 dice testualmente: “Non ho nessuna intenzione di ricreare il passato. Sono stato nel gruppo migliore di tutti i tempi e non sento il bisogno di suonare in un’altra band”, aggiungendo anche una risata a sgonfiare l’immodestia dell’affermazione (peraltro del tutto giustificata). E a una rimpatriata con Jimmy Page e Robert Plant, ne preferirebbe una con Diamanda Galas...

In “The Thunderthief” suoni gran parte degli strumenti, è un disco realizzato quasi completamente da solo. Come haoi portato avanti il lavoro?
Ho cominciato decidendo che tipo di disco volessi fare. Dopo “Zooma”, volevo fare un passo oltre, senza ripetere quell’album. Sarebbe stato facile ma poco interessante. Questa volta avevo riff buoni per brani strumentali ma volevo avere anche delle melodie, come accade in “Leafy meadows”. L’intenzione iniziale era quella di registrare solo pezzi strumentali, ma poi ho cambiato idea completamente e ho deciso di inserire delle parti vocali. Fondamentalmente, le idee mi vengono quando esco a fare una passeggiata, le scrivo su carta e poi torno in studio e lavoro con gli strumenti che voglio usare. A volte mi metto a suonare uno strumento ed è questo che mi fa venire un’idea buona.

In “Leafy meadows” c’è Robert Fripp alla chitarra e il pezzo ricorda molto il suo modo di comporre. Lo hai coinvolto perché il brano era adatto a lui oppure ha assunto questa forma dopo il suo intervento?
No, c’è una terza spiegazione. Volevo Robert sul disco, anche perché è il capo della mia etichetta, quindi ho scritto il pezzo pensando a lui. Per questo è simile alle sue cose. Quando gli ho proposto di suonare, non aveva nemmeno sentito il brano, è arrivato in studio e ha registrato il suo assolo. Non ha collaborato alla stesura, ma effettivamente lo stile assomiglia al suo, per il motivo che ti ho spiegato.

Un altro ospite di riguardo è Peter Blegvad. Fra gli appassionati, è aperta la questione se sia meglio come musicista o come disegnatore. Tu da che parte stai?
Oh, penso solo che sia un uomo di grande talento, oltre che un amico. Mi sono rivolto a lui perché quando ho deciso che volevo avre delle parti cantate, non avevo testi pronti, quindi mi servivano delle parole da cantare. Non potevo imparare a cantare e scrivere testi contemporaneamente. Lui mi ha mostrato qualche lirica che non aveva ancora trasformato in canzoni e ho scelto “The thunderthief” e “Ice fishing at night”. I risultati mi sono piaciuti, quindi avevo deciso di chiedergli altri testi. Invece ho finito con lo scrivere da solo le parole di “Angry angry” e “Freedom song”. Comunque, ho deciso di intitolare l’album “The thunderthief” e gli ho chiesto se potesse disegnare qualcosa per la copertina. Il giorno dopo è arrivato con la strana creatura che vedi sul CD, che è perfettamente in linea con lo spirito dell’album, non sai bene cosa farne di lui.

Sì, in effetti ha qualcosa di sinistro, una specie di uccello umanoide.
Penso che la figura sia stata ispirata dall’immagine di qualche medico del Medioevo. Ma mi piace il fatto che non sia possibile inserirlo in una categoria. Non c’è modo di capire se sia buono o cattivo. Ha qualcosa di sinistro, ma anche di rituale. E’ misterioso, ma allo stesso tempo ha un lato scherzoso. Da queste parti è un tipo che ci piace molto (risata).

“Angry angry” sembra una presa in giro dell’atteggiamento arrabbiato di molti musicisti.
Non intendevo prendere in giro il punk o cose del genere. E’ una canzone che parla delle persone a cui non va mai bene niente, che si lamentano sempre, sono costantemente rabbiosi e rendono la vita difficile a tutti. Chiunque conosce qualcuno del genere. E’ il primo testo che ho scritto e non ero molto sicuro a proposito dell’argomento da affrontare. Avevo l’idea di scrivere un pezzo di protesta, che si è trasformata poi in una protesta contro quelli che protestano sempre. La canzone è nata molto velocemente, ed è partita in realtà dall’assolo di chitarra. Avevo conosciuto Adam Bomb, il chitarrista, a New York, che mi ha promesso che mi avrebbe chiamato al suo arrivo in Inghilterra. Così ha fatto, sono andato a sentirlo in un locale di Londra e mi è piaciuto, quindi l’ho invitato in studio. Avevo appena registrato un loop di mandolino e batteria elettronica, e gli ho chiesto di suonare un assolo su questa base. Poi ho scritto il pezzo partendo dal suo assolo. Suona piuttosto punk, perché quello che ha suonato lui mi ha suggerito un riff aggressivo.

“Down to the river to pray” invece copre il versante folk tradizionale. Come hai scoperto la canzone?
L’ho sentita in “Fratello, dove sei?”, nella scena in cui i protagonisti vengono battezzati. Mi piaceva il fatto che la canzone partisse con una sola voce nella prima strofa, per crescere poi in quelle successive. con l’intervento di altre voci. Nel pezzo uso uno strumento nuovo, il “tripleneck mandolin” (mandolino a tre manici), che è simile alla chitarra a tre manici che usavo nei Led Zeppelin. Ho suonato il brano dal vivo con il mandolino e il sistema computerizzato Kyma, in una sola take. Devo ammettere che in questo periodo mi piace molto il bluegrass e il suono del mandolino. Ci sono molti bravi musicisti in quella scena.

Be’, adesso è di gran moda, dopo il successo di “Fratello, dove sei?”
Già, la colonna sonora ha venduto quattro milioni di copie in America. Nessuno riesce a crederci: un disco di bluegrass che vende così tanto. Ma è bello che succeda. E’ al tempo stesso musica tradizionale e musica folk viva, i musicisti ne ampliano la forma continuamente.

L’interesse per il folk ci porta inevitabilmente ai Led Zeppelin, che hanno sempre mostrato attenzione verso quest’area musicale.
Sì, siamo sempre stati interessati al folk, così come a quella che adesso si chiama world music.

Quindi c’era anche una tua propensione per il folk? Solitamente, viene evidenziato soprattutto l’interesse di Jimmy Page per i suoni acustici.
A dire la verità, non ho mai avuto aree specifiche di interesse. Ascolto qualsiasi musica mi capiti. Se mi trovo in un negozio e c’è della musica in sottofondo, mi metto ad ascoltarla. Non mi interessa cosa sia. Se è cattiva, cerco di capire perché lo è e poi uso tutto quello che imparo. Mi interessa tutta la musica, fa tutto parte dello stesso insieme per me. Se decido di andare in una direzione più folk, jazz o rhythm ‘n’ blues, ho comunque familiarità con qualsiasi genere.

La carriera dei Led Zeppelin è stata raccontata probabilmente in tutti i modi possibili. C’è qualche aspetto del gruppo che è rimasto in qualche modo nascosto?
Ce ne sono molti, ma nessuno li comprenderebbe a fondo. La cosa fondamentale per me è che i Led Zeppelin erano il prodotto di quattro individui. Ognuno di noi ci ha messo le proprie influenze musicali. Anche quando lavoravamo a una canzone di Jimmy Page o a un mio riff, il modo in cui suonavamo era caratteristico degli Zeppelin, indipendentemente da chi avesse scritto la musica. E questo era decisivo per il risultato finale.

Pensi che il tuo contributo sia in qualche modo sottovalutato rispetto a quello di Robert Plant e Jimmy Page?
Forse, ma non qui (risata). E comunque, questo vale anche per John Bonham. Anche lui era un elemento fondamentale e per questo non si potrà mai riformare il gruppo. Senza di lui, non ci possono essere i Led Zeppelin, sarebbe solo una band di tributo.

Ma ti piacerebbe comunque suonare ancora con Page e Plant?
No, non mi interessa più. Non ho abbastanza tempo (risata): voglio registrare un altro disco, andare in tour... Ho un sacco di cose da fare.

In vesti diverse, hai lavorato con artisti importanti, R.E.M. e Diamanda Galas tanto per fare due nomi. Chi ti ha colpito particolarmente?
Sicuramente Diamanda. Lavorare con lei è stato davvero speciale, è stato uno dei motivi che mi hanno spinto a tornare a suonare dal vivo, ad esempio. E’ un’artista speciale e mi ha davvero ispirato.

Farete ancora qualcosa insieme?
Penso di sì. Non ci sono piani precisi, ma potrebbe accadere.

(Paolo Giovanazzi)

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