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«DESERTI - Piero Pelù» la recensione di Rockol

Piero Pelù: attraversa simbolici deserti con il rock

L'album è candidato ai Rockol Awards 2024

Recensione del 17 dic 2024

Voto 7.5/10

La recensione

Fino al 5 gennaio, ripubblichiamo le recensioni dei dischi candidati ai Rockol Awards 2024 nella categoria "Miglior album italiano": è possibile votare qua.  
Qua invece le candidature per i migliori live.

 

Ormai lontana la chiusura dell’attività dei Litfiba con il concerto del 22 dicembre 2022, Piero Pelù ha tempo e modo di dedicare energie e idee alla sua carriera solista, precedentemente portata avanti parallelamente all’attività con la band. Esce così nel 2024 “Deserti”, settimo album da solista e primo lavoro post Litfiba, secondo episodio della trilogia “del disagio”, iniziata nel 2020 con l’album “Pugili fragili” che conteneva “Gigante” il brano (dedicato al nipote) presentato al Festival di Sanremo 2020.

 

Il nuovo disco arriva dopo un anno di forzata lontananza dalla musica a causa di uno shock sonoro riportato in studio che ha generato degli acufeni che lo hanno obbligato a non poter suonare. Un anno di sospensione che Piero ha speso combattendo la depressione ma anche guardando il mondo, sé stesso e le relazioni umane. “Ho viaggiato, ho letto, ho scritto, mi sono confrontato con altri artisti. Quello che ho capito è quello che ho cercato di raccontare in questo album.” Così dice il cantautore rock fiorentino.

Da questo lavoro di “studio e scoperta” è nato un album a forte “vocazione” rock, con le chitarre protagoniste, che in alcuni episodi diventano molto dure. Anche la parte concettuale non è da meno, nel senso che Piero, come al solito è sempre fortemente critico verso la società che lo circonda e che vede con un occhio particolare e con idee “alternative”.

I concetti di “deserti” a cui Pelù fa riferimento nel titolo vengono declinati nelle differenti (12) tracce del disco. Sono quelli causati dalle guerre, quelli “reali” nati dal cambiamento climatico, quelli affettivi e sentimentali, quelli creati dai social e quelli che arrivano dalla mancanza e difficoltà di rapporti umani (anche con riferimenti autobiografici, familiari). Ogni canzone attraversa ognuno di questi (e altri) deserti “ideali”, ipotetici, simbolici.

Un viaggio che Pelù fa accompagnare dal suo rock, che a tratti riporta ai Litfiba ma che in questo album arriva ancora più evidente rispetto ai precedenti episodi da solista dove spesso questo stile faceva coppia con il pop (qui in questa direzione vanno il singolo “Maledetto cuore” ed “Elefanti”). In alcuni episodi, in particolare in “Canto” e il primo singolo, la sferragliante “Novichok” (il veleno usato contro gli oppositori in terra di Russia), riportano alle orecchie lo stile più potente della band. Non a caso quest’ultimo brano alla sua uscita è stato presentato ai fan in un luogo simbolo: la cantina di Via de’ Bardi a Firenze dove i Litfiba sono nati (e che corrisponde al “Ba” che appare nel nome acronimo della band).

Nel disco spiccano poi tre brani con caratteristiche particolari. La denuncia contro i social e il loro distorto uso contenuta nella potente “Tutto e subito” è frutto di una scrittura a più mani, quelle di Piero con quelle dei Fast Animal Slow Kids, una delle migliori giovani realtà rock italiane. Altra importante band che appare, anche con gli strumenti, è quella dei Calibro 31, in “Baby Bang”, un brano che riporta immediatamente alla memoria il rock dei ’70, anni formativi per Pelù (c’è un passaggio che ricorda “Space Truckin’” dei Deep Purple!). Inoltre, a 25 anni dalla sua prima uscita, Pelù ripropone una versione in solitaria di “Il mio nome è mai più”, inno pacifista nato ai tempi della guerra dei Balcani ed eseguita in trio con Ligabue e Jovanotti. Per l’occasione la versione sul disco è unplugged, vede la presenza alla chitarra di Finaz (Bandabardò). Qui perde un po’ della forza espressiva della versione originale, ma nel suo contenuto di fondo ancora oggi purtroppo attuale: “la prima canzone pacifista l’ho scritta nell’81… Sarebbe bello smettere di farlo, ma non si può, evidentemente, perché l'uomo è l'animale peggiore della Terra e lo sta dimostrando ogni giorno che passa”. Così ha detto Pelù in un’intervista a questa testata. Altro urlo rock contro la guerra è “Scacciamali”.

Baraonde” invece è un potente racconto del suo problema “acustico” e un rabbioso sfogo contro la depressione che ha fatto seguito a quell’episodio. Infine il disco si apre e si chiude con due strumentali “Porte” e “Deserti”: una porta che si apre sui “deserti” e una che sbatte in chiusura, con tanto di chitarre psichedeliche.

“Deserti” è un album solido, ben piantato senza cedimenti e senza concessioni e indulgenze, da ascoltare per il suo impatto musicale e per le sue tematiche. Ancora una volta il rocker toscano dimostra la sua propensione a coniugare musica con impegno, le note con la denuncia e usare le canzoni come finestre sulla realtà.

Dentro “Deserti” troviamo l’anima rock di Pelù, la sua capacità di unirlo con le sfumature melodiche, troviamo il suo mondo musicale e le sue idee, in un perfetto bilanciamento (anche produttivo e sonoro) tra musica e parole. Un disco convincente.

Ps: Sulla copertina del "fisico" Pelù ha voluto che venisse messo uno sticker con scritto NO-IA, un modo per L’artista di affrontare il tema dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale e sottolineare ai suoi fan che l’album è stato scritto, composto e suonato senza l’utilizzo di questo strumento tecnologico.

 

Tracklist

01. PORTE (01:00)
02. PICASSO (03:28)
03. MALEDETTO CUORE (03:19)
04. NOVICHOK (03:28)
05. TUTTO E SUBITO (02:59)
06. IL MIO NOME E' MAI PIU' - unplugged 25°Anniversario (04:26)
07. ELEFANTE (03:03)
08. BABY BANG (feat. Calibro 35) (02:57)
09. CANTO (03:29)
10. BARAONDE (02:48)
11. SCACCIAMALI (03:01)
12. DESERTI (04:46)

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