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«THE GREAT IMPERSONATOR - Halsey» la recensione di Rockol

"The great impersonator" lascia più dubbi che risposte su Halsey

La recensione del nuovo disco della popstar, che imita Bowie, Britney, Springsteen e perde sé stessa

Recensione del 28 ott 2024 a cura di Mattia Marzi

Voto 6.5/10

La recensione

“I don’t know what I did to have this fate”, “Non so cosa abbia fatto per avere questo destino”, canta Halsey in “Only living girl in LA”, il brano che apre “The great impersonator”, un flusso di pensieri lungo più di sei minuti che sintetizza tutti i temi del disco, dalla salute fisica a quella mentale, dalle disfunzioni familiari alla mortalità. È stata l’ultima traccia dell’album di cui la popstar statunitense ha offerto un’anticipazione, alla vigilia dell’uscita di “The great impersonator”: dopo essersi fatta ritrarre sui social nei panni di icone come Bruce Sprignsteen, Stevie Nicks, Dolores O’Riordan dei Cranberries, Amy Lee degli Evanescence, David Bowie, Cher, Britney Spears, che hanno ispirato le varie canzoni del disco, un concept un po’ fumoso e confusionario sul tema dell’identità. Per “Only living girl in LA” ha detto di essersi lasciata guidare dalla figura di Marilyn Monroe: “La donna più imitata della storia e che alla fine ha dovuto imitare sé stessa, giorno dopo giorn, chiedendosi: ‘Vuoi vedermi diventare lei?’”. È quello che ha provato a fare Ashley Nicolette Frangipane, questo il vero nome della 30enne cantautrice del New Jersey, tra le popstar più amate della sua generazione: ha indossato tante maschere diverse per cercare la sua, di maschera.

L’avevamo lasciata tre anni fa alle prese con la sua svolta industrial rock e con un album “If I can’t have love, I want power”, prodotto da Trent Reznor e Atticus Ross dei Nine Inch Nails, spiazzante. In questi tre anni nella sua vita - pubblica e privata - è successo di tutto. Ha rotto con la sua vecchia casa discografica (la Capitol, parte del gruppo Universal, complice uno sfogo social con il quale puntò il dito con chi la gestiva fino a quel momento: “Ho una canzone che amo e che voglio pubblicare il prima possibile, ma la mia etichetta discografica non me lo permette: sta dicendo che non posso pubblicarla a meno che non possano fingere un momento virale su TikTok. Tutto è marketing”), ha firmato un contratto discografico con una major rivale (Columbia, parte di Sony), è diventata mamma e all’inizio dell’anno le sono stati diagnosticati sia il lupus che la leucemia. “Penso che la cosa più brutta che ti possa succedere quando hai una malattia grave è che perdi la tua personalità. Io ho finito per dissociarmi”, ha spiegato lei, parlando della malattia. Ha scritto le canzoni di “The great impersonator” per esorcizzare tormenti e paure, ansie e frustrazioni, “in uno spazio intermedio tra la vita e la morte”, lavorando con un nuovo gruppo di produttori, musicisti e autori: tra questi anche Tyler Johnson (dietro alle hit di Harry Styles e Miley Cyrus), Michael Uzowuru (Beyoncé, SZA, Frank Ocean, FKA Twings, Rosalía) e Alex G (protagonista della nuova scena indie rock d’oltreoceano, anche lui già al fianco di Frank Ocean). Non riconoscendo più sé stessa, si è aggrappata alle figure mitologiche della cultura pop, della musica e non solo. Così è nato “The great impersonator”, letteralmente “La grande imitatrice”.

La grande imitatrice, naturalmente, è lei, che nelle diciotto tracce che compongono l’album - era ispiratissima - cambia costumi con una disinvoltura disarmante: del resto in una manciata di anni è stata capace di passare dall’alternative pop dell’inno generazionale “New Americana” alla collaborazione con Reznor e Ross, passando per i duetti iperpop con i Chainsmokers, Justin Bieber, i BTS e Khalid, non facendosi mancare nulla e correndo pure il rischio di essere percepita come una vocalist buona per ogni occasione. E così da “Only living girl in LA” si passa senza soluzione di continuità a “Ego”, con quelle chitarre che sembrano uscire fuori da un pezzo pop-rock dei primi Anni Duemila, tra Nickelback e Avril Lavigne. Da “Letter to God (1983)”, con il pattern ritmico di “I’m on fire” di Bruce Springsteen (è stata registrata e mixata come se fosse la registrazione di un vecchio disco dal vivo - parla degli amici che hanno vissuto velocemente e sono morti giovani e prega che la sua malattia non porti via anche lei), si passa a un pezzo dalle venature country à la Dolly Parton come “Hometown”.

Il problema è che a lungo andare - il disco dura più di un’ora - Halsey finisce per perdersi e smarrirsi, disorientando anche gli ascoltatori: ora rispolvera il gothic rock degli Evanescence (“Lonely is the muse”), ora la Christina Aguilera degli anni d’oro (il giro di piano di “Life of the spider” fa venire in mente quello di “Hurt”), ora scimmiotta Taylor Swift (“Hurt feelings”), ora campiona Britney Spears (“Lucky”). Forse diciotto canzoni sono troppe: così l’album, che è fin troppo tentacolare e sfaccettato, finisce per suonare come una playlist che contiene di tutto, più che come un concept. “I promise that I’m fine, but then I redesign, and put myself together like some little Frankenstein”, “Prometto che sto bene, ma poi riprogetto e mi metto insieme come un piccolo Frankenstein”, canta in “The great impersonator”, l’ultima canzone dell’album, nella quale canta la morte della “grande imitatrice”, che a questo punto suona come una sorta di versione al femminile di Ziggy Stardust. Il finale è enigmatico, misterioso, criptico: la ragazza irrequieta ha trovato finalmente un po’ di serenità o è condannata all’insoddisfazione? "The great impersonator" lascia più dubbi che risposte sul percorso di Halsey.

Tracklist

01. Only Living Girl in LA (06:14)
02. Ego (03:18)
03. Dog Years (04:03)
04. Letter to God (1974) (02:11)
05. Panic Attack (03:36)
06. The End (03:17)
07. I Believe in Magic (04:48)
08. Letter to God (1983) (01:53)
09. Hometown (03:24)
10. I Never Loved You (04:09)
11. Darwinism (03:45)
12. Lonely is the Muse (04:00)
13. Arsonist (04:38)
14. Life of the Spider (Draft) (03:30)
15. Hurt Feelings (03:54)
16. Lucky (03:16)
17. Letter to God (1998) (02:49)
18. The Great Impersonator (03:22)
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