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La Biennale di Caterina Barbieri aggiorna la musica contemporanea

La 69ma edizione del Festival di Venezia si apre verso l'elettronica e nuovi suoni: il racconto
La Biennale di Caterina Barbieri aggiorna la musica contemporanea

La musica (classica) contemporanea è da sempre legata a un mondo accedemico, chiuso e conservativo. Questo è uno dei motivi per cui è sempre stato difficile da parte degli appassionati di musica tout court poter interagire con la cosiddetta musica colta e con un certo tipo di manifestazioni. Caterina Barbieri, la nuova direttrice della Biennale Musica di Venezia (11-25 ottobre) ha cercato in questa sua prima edizione da curatrice di abbattere questo muro di elitarismo per trasformare la nuova edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea e aprendosi a un pubblico più giovane. L'obiettivo è una situazione più aperta e informale, o, come ha dichiarato lei “in una piattaforma che diventa un atto partecipativo e un'esperienza trasformativa” pur mantentendo l'elemento avanguardistico.

La Stella Dentro

Nel programma imbastito da Barbieri viene dedicato un grande spazio alla sperimentazione dei linguaggi: l'elettronica minimale certo – genere da cui arriva la curatrice – ma anche straordinarie performance canore (su tutti Meredith Monk e il coro Graindelavoix), post-punk da camera, avant-pop giapponese, dub e drum and bass, techno-house, musica medioorientale contaminata (Abdullah Miniaw) e ensamble chitarristici.

L'altra novità di questa 69ma edizione è stata sicuramente la diversità delle forme di rappresentazione: oltre ai concerti classici, ci sono installazioni immersive, performance site-specific, dj-set, concerti in isole segrete di cui non si conosce la line-up e anche spazi informali (LSD Center) dove i vari artisti coinvolti (tra cui anche Basinsky e Moritz Von Oswald) organizzano delle selezioni musicali, talk e listening session per espandere l'esperienza e la conoscenza musicale. Il tutto, come sempre, in giro per Venezia e con una particolare concentrazione nella zona dell'Arsenale dove è ancora in corso la Biennale Architettura.

Il titolo della rassegna questa'anno è La Stella Dentro che racconta la musica come campo energetico, “come una stella interiore che connette memoria, corpo e futuro” da dichiarazione della curatrice. La “stella” evocata dal titolo, fa riferimento alla musica cosmica, non tanto come genere bensì come attitudine “La musica è un organismo vivente, che attraversa tempo e spazio modificandosi continuamente. Come Venezia, che è sempre uguale e sempre diversa” ha dichiarato la 35enne curatrice.

Tra reinterpretazioni e incontri generazionali

Nei cinque giorni in cui Rockol è stata a Venezia abbiamo visto varie esibizioni mediamente tutte molto stimolanti.
Tra i vari fil rouge che stanno caratterizzando questa rassegna, da una parte c'è la reinterpretazione / attualizzazione di grandi opere del passato e poi l'incontro tra varie generazioni e generi. Per quanto riguarda il primo percorso abbiamo visto l'ensamble chitarristico dei Dither Quartet che ha riproposto il seminale The Expanding Universe di Laurie Spiegel del 1980, pietra miliare della musica elettronica, dove gli effetti e le linee melodiche prodotte da macchine sono stati qui eseguite da corde e mani in una sorta di math rock piuttosto notevole. Ma anche il musicista austriaco Fennesz che ha riproposto il suo album “Venice” (2004) caposaldo della musica digitale e soprattutto dell'estetica glitch, risuonato con strumenti più avanzati, ma che ugualmente ripropongono i suoni e gli echi della città, dall'acqua alle campane al rumore della folla: una sorta di restauro di un dipinto con strumenti moderni, dove però mancava la voce di David Sylvian che in “Transit” cantava la decadenza dell'Europa.

Tra gli incontri generazionali molto attesa era l'incontro tra Suzanne Ciani, figura mitologica della musica elettronica (79 anni) e Darren J. Cunningham, aka Actress (49 anni), una collisione di due sensibilità apparentemente divergenti tra le atmosfere del sintetismo modulare di Ciani e l’espressività industriale e i groove asimmetrici di Actress. Un'ibridazione di non facile ascolto ma molto affascinante che ci ha proiettato verso nuove frontiere della musica dal vivo. L'altro incontro sul lato clubbing è l'unico che si svolto fuori dall'Isola di Venezia, a Forte Marghera, per i dj set della giovane Mia Koden e il veterano Carl Craig: la prima è stata davvero una piacevolissima scoperta grazie a un percorso sonoro partito dal dub e reggae, per arrivare poi a un dubstep e una sorta di latin drum&bass arricchito da elementi glitch di grande suggestione e mixato perfettamente. Ne risentiremo parlare presto di lei.

Ma ci sono stati altre esibizioni assai poco usuali rispetto alla classica programmazione della Biennale Musica, come quella dela violoncellista guatemalteca Mabe Fratti (che guarda caso potremo rivedere a fine mese anche a Torino al C2C): un set in trio con chitarra elettrica e batteria difficile da classificare tra strutture compositive rigorose e furente improvvisazione, con il violoncello suonato con mani, pedali e archetto, e una voce davvero sublime, spesso estensione naturale dello strumento. Da segnalare anche il bizzarro pop retrofuturistico giapponese di Asa-Chang & Junray tra folk orientale, campionamenti e gioco dadaista.

Il Leone D'Oro a Meredith Monk

Un capitolo a parte va dedicato alla newyorkese Meredith Monk (in foto con Caterina Barbieri) presente alla Biennale sia con l'installazione Songs of Ascension Shrine che con uno show di sintesi di sei decenni di carriera a partire proprio dalla sua prima apparizione alla Biennale nel 1975. Al Teatro Malibran la compositrice e artista newyorkese accompagnata da Katie Geissinger e Allison Sniffin, storiche componenti del suo ensemble vocale, ha dimostrato come a 82 anni sia ancora una grande performer capace di intuizioni creative e sorprendenti estensioni vocali in cui l'eco, le risonanze e i respiri rappresentano una parte fondamentale. L'artista ECM dalla presenza scenica minuta e straripante sa ancora divertirsi e divertire, e perciò è più che meritato il Leone D'Oro alla carriera consegnata da Caterina Barbieri per aver “rivoluzionato la musica e l’arte della performance con un approccio che ha ampliato le potenzialità della voce umana, trasformandola in un veicolo di esplorazione sonora senza precedenti”.

 

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