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Lorenzo parte in tour: una lunga chiaccherata su musica, media, politica...

Rockol è tornata sul luogo del delitto, si fa per dire. Dopo la cronaca della presentazione de “Il quinto mondo”, dopo la lunga chiacchierata pubblicata un paio di mesi fa, siamo tornati a parlare con Lorenzo. Non è stato facile: Lorenzo è una persona gentilissima e cordiale, ma super-impegnata tra promozione, registrazione della versione spagnola del disco e prove di un tour che inizierà tra pochi giorni. Abbiamo colto l’occasione per fare il punto su cosa ci si potrà aspettare nei prossimi concerti, per riflettere sulla maratona televisiva che l’ha visto protagonista, tra mille polemiche, all’inizio del 2002. Sui fatti di Genova, sul rapporto con i colleghi musicisti.
Ecco la trascrizione pressoché letterale della nostra chiacchierata in cui Lorenzo parla a ruota libera. Potete vedere anche in video sul canale Streaming all'indirizzo
http://streaming.rockol.it.

Parliamo del tour, che inizia tra pochi giorni. Hai dichiarato che sarà un allestimento semplice, centrato sulla musica…
In realtà la parola “semplice” non avrei dovuto usarla perché poi è più complesso quello che ho in mente. Si tratta di suonare in sedici sul palco: sedici più il cantante, quindi diciassette musicisti che suonano senza tecnologia, senza computer. Un concetto semplice alla base, ma poi comunque abbastanza complesso da realizzare. Insomma, tenere a bada diciassette musicisti non è facile. Però per me è una sfida: l’idea di riuscire a fare uno spettacolo dove viene rivitalizzata proprio la musica, proprio l’idea del suonare, è una scommessa con me stesso. E vorrei fare un concerto molto funky, dando un’accezione moderna a questa parola, no? Comunque con uno spirito festaiolo. Oggi ho voglia di valorizzare proprio l’aspetto magico, fisico evocativo della musica.

Negli ultimi tempi tu sei stato molto “mediatizzato”. Quanto ti manca il contatto diretto con il pubblico?
Mi manca molto, mi manca tantissimo…. Poi, guarda, io non vedo l’ora di suonare dal vivo. Non vedo l’ora perché il fiore di questo disco sboccerà nei concerti. Ogni volta che io preparavo un pezzo de “Il quinto mondo” me lo immaginavo suonato, sviluppato nella sua idea live. Per cui quello che è sul disco è semplicemente una possibile via a queste canzoni; dal vivo la maggior parte di questi pezzi di questo disco prenderà altre vie. E quindi non vedo l’ora di vedere cosa succederà. E poi insomma, l’idea di suonare con quattro percussioni, con i fiati, con i cori è un’idea che mi appassiona. E voglio fare un concerto assolutamente libero da ogni struttura multimediale. E’ un concerto che non è multimediale per niente. E’ un concerto di musica ed è monomediale, diciamo così. E’ semplicemente stereo, però è solo un concerto di musica.

Credi che presentare un concerto incentrato solo sulla musica possa farti tornare ad essere percepito come un musicista più che come qualcos’altro?
Sai, questo è un problema di media, non è un problema mio. Il fatto che alla fine si parli di me sempre per altre cose, no? Forse perché in realtà la musica oggi non interessa a nessuno, ai media non interessa la musica. Le case discografiche sono di proprietà di gente che non ascolta musica. I siti Internet sono per la maggior parte di proprietà di gente che non ascolta musica. Quindi, in realtà, sono rimasti veramente in pochi, quelli che si occupano di media, che amano la musica.
La musica non è interessante, è uno strumento dei media, non è il cuore dei media. E’ il veicolo che usano i media per far arrivare se stessi. Di conseguenza, purtroppo oggi c’è proprio una carenza di musica nell’immaginario. Io, con quello che ho fatto nelle televisioni, volevo provocare proprio un cortocircuito in questo senso, portando la musica fuori dai canali tematici.
I canali tematici stanno distruggendo la musica. L’unico momento trasversale della musica in Italia è rimasto Sanremo. Prendi tu per positivo o negativo quello che sto dicendo, ma il fatto essenziale è questo. Sanremo è tutto meno che un evento di musica. E’ un evento mediatico. Questo per dire che i media non sono interessati alla musica, sono interessati al contorno della musica. E’ il contorno che funziona.
Ho fatto un disco che è esattamente il contrario di questo, perché ho fatto un disco di musica: un disco suonato,un disco arrangiato, un disco poco radiofonico, volutamente.
Poco radiofonico…e già a me la parola “radiofonico” fa paura, perché non so che vuol dire. E’ come fare la televisione “poco televisiva”: non significa niente. O fare un libro “poco letterario”: non significa niente, no? E quindi fare un disco “poco radiofonico” è una contraddizione in termini, perché la radio dovrebbe passare la musica e invece la radio finisce per passare la musica che è adatta alla radio. E quindi è molto strano il momento che ci troviamo a vivere, no?
Però poi alla fine io ho fatto una cosa mediaticamente antimusicale, però con un disco che forse è il disco più musicale di quelli che ho fatto da quando faccio questo lavoro. E’ il disco meno parlato, il disco con meno testi, è un disco dove i testi sono, come dire, meno metaforici. Sono molto più semplici, molto più diretti. Per cui, in realtà, io vado avanti per la mia strada, io confido sempre sul fatto che rimane poi il succo delle cose che fai. Poi, dopo tutto, la tempesta si calma e rimane sulla strada quello che la pioggia ha portato, no?
. Io credo che i miei concerti saranno bellissimi, credo che lo spettacolo sarà fortissimo. Sono contento che c’è Tricarico che fa da apertura: è l’artista, forse degli ultimi nuovi italiani, che mi piace di più. E’ più interessante. Credo che faremo un gran concerto e spero che mi venga a vedere un sacco di gente perché questo vuol dire tante cose: vuol dire anche la libidine di suonare per tanta gente, vuol dire anche pagarsi una produzione che è una mega produzione, insomma. Comunque, avremo il massimo dell’audio, il massimo delle luci, il massimo dei musicisti che ci sono in giro. E tutto questo costa molto. I costi di un mio spettacolo sono veramente sempre altissimi: io parto con l’idea di contenerli, poi alla fine mi ritrovo andare pari se facciamo il tutto esaurito ovunque. Però questo qui è un momento strano, un momento in cui noi dobbiamo assolutamente lottare perché si riparli di musica in questo paese, perché cresca un po’ la qualità degli arrangiamenti, la qualità della scrittura, la qualità del rischio.
E’ tutto molto rassicurante quello che accade, no?Tutti si muovono… L’immagine per me dell’artista è quella dell’equilibrista che cammina sul filo. Comunque tu devi prenderti un rischio e la gente deve star lì a pensare: “Ce la fa, non ce la fa? Ce la fa, ce la fa, no cade, cade, cade!”. Nel momento in cui gli artisti cominciano a camminare non più sul filo ma su delle autostrade di quaranta metri, non c’è più gusto. Non c’è più gusto per loro, forse c’è più gusto per loro perché si guadagnano un sacco di soldi, ma tutto cade. Io credo che oggi sia necessario mettersi in gioco, mettersi veramente pesantemente in gioco, con i propri mezzi naturalmente. Io mi metto in gioco su quello che so fare che è cercare di fare meglio che posso quello che faccio.

Hai fatto un disco centrato sulla musica, ma lo hai presentato in un modo molto poco musicale, con la ben nota maratona televisiva. A due mesi di distanza, che idea ti sei fatto di tutto questo? Lo rifaresti?
Lo rifarei, ma non lo rifarò. Per me è stato una specie di viaggio, è stata una sorta di “Cuore di tenebra”; alla fine, comunque, sono un uomo diverso oggi, rispetto proprio alla mia conoscenza del mezzo di comunicazione; io mi interesso anche degli effetti della televisione sulle masse. E quindi è stato comunque un esperimento interessante da quel punto di vista, molto interessante. Lo rifarei ma non lo rifarò perché l’ho già fatto, per cui non si impara una cosa due volte. Sai, “Salvami” è un super pezzo, secondo me: non è per niente un pezzo politico e lo è al 100 per cento...Cos’è oggi un pezzo politico, poi? Non è sicuramente un pezzo che tira l’acqua al mulino di nessuno, è un pezzo che parla di pace e mi sembra che oggi il 90 per cento di tutto nostro il Parlamento sia schierato a favore della guerra. Quindi in realtà non è un pezzo politico, un pezzo, come dire, “di sinistra” se la sinistra che intendiamo è quella che oggi rappresenta l’opposizione. Non è un pezzo neanche, come dire, “buonista”, perché mi fa schifo questa parola quindi l’idea che qualcuno mi ci associ interrompe già la mia possibilità di dialogo con lui.
Per cui è un pezzo di gli altri cantanti sono invidiosi: è potentissimo che avrebbero voluto far tutti, secondo me. E’ rock ma allo stesso tempo è suonato da Dio, perché suona come non suona nessun pezzo in radio negli ultimi quindici anni, perché è potente, perché è uno sfogo, perché comunque sia è un pezzo che nessuno si aspettava da me e io anche non mi aspettavo da me. E poi, se poi uno vuole criticare, è come con i carabinieri: se ti fermano che ti vogliono fare la multa, qualcosa per farti la multa te lo trovano. Per cui se in realtà oggi c’è qualcuno a cui sto sulle palle, in realtà è un problema suo...
Ragazzi, ma qui viviamo in un mondo dove se è possibile uccidere due volte i tremila delle Torri Gemelle li stanno uccidendo due volte. Di fronte a questo, è possibile che l’arte, la comunicazione, la musica non abbiano detto una parola? Dovrebbe essere la prima cosa che si muove, la musica. La creatività dovrebbe essere la prima cosa che viene stimolata da fatti terribili di questo tipo. E poi l’accusa qual è? Che io utilizzo questi fatti per vendere dei dischi? Ma siamo veramente impazziti? Ma cosa avete fumato? Questo è il livello della dialettica rispetto al contenuto di quello che faccio? Io ho utilizzato la guerra per vendere un singolo? Ma siamo veramente impazziti? Ma vi risulta che..non so “Imagine” sia un brano di beneficenza? Non mi risulta che il “Giudizio universale” di Michelangelo sia stato dipinto per beneficenza. Sto parlando di grandi opere d’arte, la mia è un’operina piccola. E fate la morale a me? E’ una follia, no? Viviamo in un mondo di pazzi, in un mondo in cui allora io potrò anche rimanere da solo a parlare al vento, ma mi sentirò comunque a posto con la mia coscienza... Perché se io oggi avessi fatto quello che ho fatto con “Salvami” per un brano di beneficenza, mi sarei proposto come un pericolosissimo eroe ipocrita dei buoni sentimenti. Io non lo sono. Io non sono un’aspirante santo. A me piace andare in aereo, mi piace comprarmi i vestiti, mi piace andare la notte in discoteca, mi piace far casino con i miei amici. Però non mi piace la guerra, però non mi piace la politica estera degli Stati Uniti, non mi piace la nostra sinistra, mi fa terrore la nostra destra. Non bisogna essere santi per poter giudicare o per poter criticare queste cose, no?

Hai usato i media. Però è altrettanto vero che è successo il contrario: i media ti hanno usato. Ogni volta che apri bocca, vieni trattato come un opinionista...
oggi viene trattato come opinionista chiunque… Alla fine oggi esiste il mestiere di opinionista che già di per se è una cosa strana, ed esiste anche il mestiere di ospite... Io sono convinto che sia molto difficile usare i media, è molto difficile, specialmente per uno che non fa calcoli, come faccio io. Io affronto le cose così, senza pensarci troppo. Non ho neanche molti interlocutori nella mia vita con i quali confrontarmi su questi argomenti, quindi poi alla fine vado da solo allo sbaraglio…. Alla fine naturalmente commetto più errori che cose giuste. Probabilmente l’impressione che tu hai che siano i media ad usare avrei fatto di tutto perché tu non l’avessi. Ma il fatto che tu ce l’abbia vuol dire che è vera, perché ti viene dai media. Questo vuol dire che io ho fatto degli errori nell’utilizzo dei media. Però sono errori che alla fine depongono a mio favore, nel senso che comunque non faccio calcoli, non faccio strategie. La mia strategia è di navigare a vista, di seguire l’istinto. I media sono pericolosissimi per uno che fa il mio lavoro. Sono assolutamente il terreno minato. Però di fronte al terreno minato con le mine vere, dove saltare e perdere una gamba, io faccio esplodere delle mine che mi fanno perdere magari un po’ di credibilità verso un certo tipo di stampa musicale. Ma non è grave, insomma...

Dici: ‘Non faccio strategie’. Ma ormai la musica è un mondo che vive sulle strategie…
Non faccio strategie finalizzate all’aumento del fascino e quindi del potenziale di marketing. Faccio strategie artistiche, sul lungo termine. A me piace l’idea di fare cose che alla fine lascino il segno. L’artista alla fine lascia un segno: per me non vuol dire solamente andare al numero uno in classifica e far centomila persone dal vivo. Lasciare un segno può anche voler dire, comunque sia, creare con la tua canzone un motivo di discussione, di spaccatura, di riflessione. “Noi” gente che fa dischi dobbiamo entrare in una nuova fase in cui il successo cosiddetto di un’opera, di una canzone, di una cosa non si misuri più in copie vendute, ma si misuri anche in una sorta di indice di penetrazione effettiva di ciò che fai nella vita delle persone. A volte questo indice di penetrazione alto può anche voler dire vendere un po’ meno dischi. Ci troviamo in un momento appunto dove di dischi già se ne vendono molto pochi, oggi c’è un problema enorme di mercato discografico. Per me vale molto l’idea che la musica rompa i coglioni, che la musica in qualche modo si faccia vedere, si faccia notare, entri tra i banchi delle scuole, nelle case della gente, nelle macchine dei tassisti, non solamente nei canali mediatici. Alla fine vedi che i canali mediatici hanno fatto sì che tu puoi essere Marilyn Manson ma non fai paura a nessuno perché sei su MTV. Questo è il punto, no? E allora a che serve essere Marilyn Manson? A nessuno! Sei una sorta di rappresentante di una setta assolutamente poco influente sulla società, nella quale si riconoscono quei quattro o cinque che comprano i tuoi dischi. Però tutto finisce lì. Non si cambiano le cose così. Le cose si cambiano spendendosi in qualche modo, spendendosi veramente..

Recentemente abbiamo intervistato Max Gazzé che ti ha fatto i complimenti. Sul tuo sito abbiamo letto i tuoi complimenti al disco degli ex-CSI, i PGR. Quanto è importante per te il confronto con altre persone che fanno il tuo lavoro?
E’ importante perché io ho sempre ascoltato tanta musica. L’idea di ascoltare musica fatta da gente che conosco in un certo senso non fa altro che amplificare questa mia maniera di vivere. Insomma, io ascolto più la musica degli altri che la mia: gli altri fanno centomila dischi, io ne faccio uno ogni tanto... In particolare ascolto sempre tanta musica diversa, lontana dalla mia, proprio perché sono curioso. Sono curioso di sentire specialmente le persone intelligenti cosa scrivono, dove sono in questo momento, che cosa stanno pensando. Mi interessa sapere a questi fatti storici che avvengono come le persone intelligenti reagiscono… Intendo le persone che hanno le antenne alzate e che decidono in qualche modo di mettersi in gioco… Ho trovato il disco dei PGR terribile, terribilmente bello. Di una leggerezza spietata per certi versi. Che comunque sia ci sono delle cose che io non posso sentire perché mi fanno male, perché mi fan troppo male. Ci sono delle cose, dei libri, dei dischi che io non posso leggere, non posso ascoltare. Ci sono dei film che non posso vedere perché mi metterebbero troppo in discussione.

La scorsa estate, in una tua intervista con Rockol e parlando prima del G8 di Genova, avevi detti che sarebbe stata anche una bella festa. In realtà tanto una festa non è stata…
Genova è stato anche una bella festa. C’è anche un aspetto molto positivo di quello che è successo a Genova. Ho intuito la domanda, anche vedendo quello che è successo a Barcellona. Io credo che il cosiddetto movimento antiglobalizzazione sia una delle cose più belle successe negli ultimi anni a questo pianeta, per gli argomenti che si propone. E la sua grandezza, la sua novità, la sua bellezza è che lì dentro c’è Gino Strada come Mani Tese come Amnesty International: cose veramente molto diverse tra di loro, no? C’è una laicità e allo stesso tempo ci sono tutti i movimenti cristiano-cattolici. Io credo che oggi però ci troviamo di fronte ad un serio empasse: decidere se e dove vuole andare questo movimento. Secondo me si sta spaccando in due grosse parti e bisogna assolutamente che i portavoce dicano chiaramente che all’interno di questo movimento non è possibile l’esistenza di nessun punto di vista che prevede l’uso politico della violenza. Se non avviene questo il movimento è destinato a finire.
Se avviene questo è la fine di questo movimento perché lì c’è da far casino, c’è da rompere dei muri, ma non c’è da ottenere assolutamente nulla, non ci sarà neanche un bambino africano che trarrà vantaggio da questo, non ci sarà neanche un albero dell’Amazzonia che rimarrà in piedi grazie alle molotov dei Black Block. Non ci saranno neanche 100 lire di debito dei paesi poveri che verranno cancellate grazie alle molotov dei Black Block. Io già mi sento distantissimo da quello che vedo. Poi io non faccio parte di nessun movimento perché sono libero; ci sono comunque degli argomenti, ci sono delle richieste di questo movimento che mi vedono profondamente coinvolto, anche a livello emotivo. Però si deve decidere di fare un salto di qualità, di sostituire veramente alle molotov le penne a sfera, di sostenere richieste serie di interloquire in qualche modo con la classe politica mondiale. Non possiamo delegittimarla perché non serve a niente. Bisogna cercare di ottenere qualcosa da quello che ci offre.

(Gianni Sibilla)

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