 Anche i suoi detrattori - e non sono mai mancati - lo devono ammettere: raramente Claudio Cecchetto sbaglia un colpo. O, se lo fa, difficile che ripeta due volte lo stesso errore. Negli ultimi vent’anni pochi, nel mondo della musica, hanno saputo come lui smuovere le acque puntando sulle mosse e sui cavalli giusti. Ha fatto il disc jockey e il presentatore da festival. Ha imposto un marchio indelebile alla musica leggera degli anni ’80 (sfornando una serie di prodotti “usa e getta”, sempre secondo i detrattori di cui sopra) ma ha anche pilotato le carriere di artisti di lungo corso come Jovanotti e 883. Ha scoperto personaggi televisivi (basta il nome di Fiorello?) e fondato una radio privata che ancora oggi domina gli ascolti in FM (ma dalla quale se n’è andato con una scia di strascichi e veleni). Negli ultimi tempi, salvo qualche sporadica eccezione (vedi la recente convocazione da parte di Baudo a Sanremo in veste di presidente della giuria di qualità del Festival), aveva tenuto un profilo più basso. Ma ora il ritorno in grande stile al primo amore, la radio, in compagnia di Lorenzo Suraci e della sua RTL, promette nuove scintille. Da pochi giorni la coppia ha mandato in onda la sua nuova creatura: 102&5 Hit Channel, un’emitttente radiofonica “giovane” che irradia i suoi programmi anche in TV (via satellite) e su Internet.
    Anche i suoi detrattori - e non sono mai mancati - lo devono ammettere: raramente Claudio Cecchetto sbaglia un colpo. O, se lo fa, difficile che ripeta due volte lo stesso errore. Negli ultimi vent’anni pochi, nel mondo della musica, hanno saputo come lui smuovere le acque puntando sulle mosse e sui cavalli giusti. Ha fatto il disc jockey e il presentatore da festival. Ha imposto un marchio indelebile alla musica leggera degli anni ’80 (sfornando una serie di prodotti “usa e getta”, sempre secondo i detrattori di cui sopra) ma ha anche pilotato le carriere di artisti di lungo corso come Jovanotti e 883. Ha scoperto personaggi televisivi (basta il nome di Fiorello?) e fondato una radio privata che ancora oggi domina gli ascolti in FM (ma dalla quale se n’è andato con una scia di strascichi e veleni). Negli ultimi tempi, salvo qualche sporadica eccezione (vedi la recente convocazione da parte di Baudo a Sanremo in veste di presidente della giuria di qualità del Festival), aveva tenuto un profilo più basso. Ma ora il ritorno in grande stile al primo amore, la radio, in compagnia di Lorenzo Suraci e della sua RTL, promette nuove scintille. Da pochi giorni la coppia ha mandato in onda la sua nuova creatura: 102&5 Hit Channel, un’emitttente radiofonica “giovane” che irradia i suoi programmi anche in TV (via satellite) e su Internet. C’è voluto del tempo per mettere a punto questo progetto, se è vero che le “prove tecniche di trasmissione” sono iniziate un anno fa…
Volevamo fare un prodotto editoriale diverso, unico. All’inizio RTL aveva lanciato il canale come una TV satellitare dedicata ai messaggi sms, e in un secondo tempo si è aggiunta la musica. Con il mio arrivo, cinque mesi fa, abbiamo cominciato a stilare un primo palinsesto vero e proprio. Ed ora siamo finalmente pronti con quello che noi abbiamo battezzato un “supermedium”: lo stesso prodotto disponibile contemporaneamente su tre canali diversi, radio, televisione e Internet.
Sembra di capire che tu ci creda molto, nella “convergenza” tra i mezzi di comunicazione.
A me interessano le cose nuove, quelle che prima non esistevano: ho voluto tentare l’esperimento della “radiofonizzazione” della TV. Sono certo della bontà dell’idea e mi aspetto che, nell’arco di quattro o cinque anni, questo tipo di prodotto venga imitato in tutto il mondo. Da qui a dieci anni, secondo me, avremo almeno 50 o 60 concorrenti.
Che cosa può dare la radio alla televisione?
Ritmo, innanzitutto. La televisione sta diventando sempre più un elettrodomestico passivo. E’ come un quadro che fa parte dell’arredamento. L’uso oggi è lo stesso della radio: per gran parte della giornata non si sta davanti allo schermo, ma lo si tiene acceso mentre in casa si fa altro. Il mio obiettivo è fare in modo che gli spettatori “guardino” una radio: se una canzone ti piace, puoi fermarti a guardare il video; se si parla di un evento che ti interessa, puoi buttare un occhio allo schermo.
Dunque la radio resta il motore di questo progetto…
Certamente, altrimenti non ci saremmo messi insieme io e Lorenzo Suraci, il direttore di RTL. Entrambi proveniamo da lì, e crediamo di non avere molte cose da imparare sulla radio: perciò possiamo concentrarci sull’aspetto visivo del progetto.
Che ruolo hai all’interno di questa “alleanza”?
Funziona come in una casa discografica: io sono il produttore, il responsabile del prodotto.
Su Internet avevi già fatto degli esperimenti, anche abbastanza inusuali: il gioco on-line con Tiscali, il browser Playsurf…
A Tiscali ho ceduto le mie quote e il gioco ora lo stanno portando avanti loro…Ho sempre pensato che a Internet faccia difetto l’aspetto ludico: ma poiché si tratta di un medium come un altro, per farlo esplodere a livello popolare bisogna insistere sulle possibilità di utilizzarlo anche per giocare. Energybank, la moneta virtuale che ho ideato con Tiscali, aveva proprio lo scopo di divertire: serviva a dimostrare che il computer non è necessariamente un mezzo freddo ma può anche suscitare emozioni. Playsurf, invece, è un software che continuerò a sviluppare anche qui a Hit Channel: più che un browser è un registratore di Internet, che dà la possibilità di richiamare automaticamente i percorsi che si fanno in rete e magari di trasmetterli via e-mail ad un amico. Gli utilizzi possibili sono molteplici: se hai consultato dei siti per una tesi di laurea, per esempio, puoi trasmettere le informazioni ad altri studenti che seguono il tuo stesso corso. Più avanti nel tempo emergerà la possibilità di archiviare i dati: in Internet i contenuti possono sparire da un momento all’altro, e il registratore ha una funzione che ti permette di conservare a tempo indeterminato le pagine che ti interessano.
E’ un tuo brevetto?
Sì. Mi sono chiesto perché gli americani non ci avessero pensato prima e mi sono dato una risposta: loro non si muovono se non c’è un’indagine di mercato che gli dice che ci sono dei soldi da guadagnare. Io invece uso ancora le tattiche del produttore discografico: se una cosa mi piace e sento che potrebbe funzionare la faccio, ci investo dei soldi senza aspettare le ricerche di mercato. E comunque è un passo logico: c’è il registratore audio, quello video e anche quello cartaceo, che è la macchina fotocopiatrice. E’ arrivato il momento del registratore per Internet.
Qual è il costo complessivo dell’investimento in Hit Channel?
Questa è materia di competenza di Suraci. In passato ho dovuto fare l’editore radiofonico mio malgrado, solo perché a quei tempi le mie idee non erano condivise da altri. Questa volta, invece, io e Suraci ci siamo incontrati su un’idea, e a lui sono piaciuti i miei progetti: ogni tanto, per fortuna, mi capita di incontrare qualcuno che non mi guarda come se fossi un pazzo. E che mi mette anche un budget a disposizione…
Qualcuno sostiene che radio, TV e Internet stiano tutti vivendo, in un modo o nell’altro, una crisi di identità. Condividi questa opinione?
Certamente, ed è per questo motivo che abbiamo concepito e lanciato Hit Channel. I palinsesti delle radio non cambiano da una vita e quello del radiofonico sembra quasi essere diventato un lavoro impiegatizio: non c’è più ricerca e di conseguenza viene a mancare anche il divertimento. D’altra parte è logico, oggi le emittenti sono delle aziende che devono rendere conto a dei finanziatori. A me piaceva l’idea di aggiungere qualche ingrediente, facendo una radio che si possa ascoltare e vedere ovunque: in macchina con l’autoradio, a casa in televisione e in ufficio via Internet. Mi piace l’idea di dare un’immagine alla radio, di consentire agli ascoltatori di familiarizzare con il volto del DJ. Diciamo che stravolgo un po’ la vecchia regola secondo cui la radio dovrebbe basarsi sull’immaginazione: una regola nata perché, diciamocelo, a quei tempi i disc jockey erano tutti brutti! “Video killed the radio stars”, diceva la vecchia canzone dei Buggles. Bene, con Hit Channel vogliamo dimostrare che non è così.
A chi volete arrivare?
Prima di tutto cercheremo di diventare una realtà in Italia, perché se non piaci ai tuoi vicini di casa non vai da nessuna parte. E poi abbiamo scelto il satellite per raggiungere tutta Europa con il linguaggio più universale che esista, la musica. Oggi non esiste più la musica italiana, francese o spagnola: esiste la musica europea. Mi fa piacere poter dire che siamo la radio più giovane in circolazione, perché l’età media dei nostri conduttori è di 24-25 anni.
Come li hai selezionati?
Nelle altre radio i giovani non li senti perché i senatori non vogliono mollare la poltrona. E quindi per me è stato relativamente facile trovarli: sono tutti a spasso. Alan Palmieri l’ho preso da Radio 105, lo conosco da tempo e mi è sempre piaciuto: se ha rinunciato a tre milioni e mezzo di ascoltatori per venire da noi vuol dire che non pensa solo ai soldi e ai numeri. E poi abbiamo Vanessa Incontrada e Clelia, che lavorava per Viva. Non capisco come se la siano lasciata scappare.
Come si fa, invecchiando, a restare in sintonia con i gusti dei ragazzi?
A parte il fatto che io li ho sempre frequentati, per restare in sintonia basta ascoltarli: molti, crescendo, pensano di avere solo da insegnare e niente da imparare. Io posso forse insegnare delle regole, mettere a disposizione la mia esperienza: ma resto fondamentalmente un curioso. Sono cresciuto con i Beatles, li amo ancora alla follia, ma per favore non fatemeli più ascoltare. Sono proiettato sulle cose nuove: e le cose nuove le trovi solo tra i giovani.
Eppure questo è un momento in cui molti riscoprono il pubblico “adulto”. Basta guardare le classifiche dei dischi più venduti…
Ma è solo perché i ragazzi la musica la copiano. Se vai a casa loro scopri che hanno gli scaffali pieni di dischi: solo che sono tutti masterizzati…
Tutti dicono la loro sulla crisi del mercato: e la tua opinione qual è?
Il primo punto fermo è che la duplicazione a scopo di lucro è illegale. Non è giusto lucrare sugli sforzi e gli investimenti fatti da altri. E non c’è prezzo che tenga, contro i pirati: puoi vendere a 10 euro invece che a 20, ma contro chi ti ruba le idee e vende a 3 sei comunque fuori gioco. Di chi è la colpa? Non certo dei ragazzi che consumano musica. Non sono loro che hanno inventato il masterizzatore.
Molti incolpano proprio la radio, per spiegare la crisi del mercato discografico…
Si diceva lo stesso anche agli albori della radiofonia privata. Io credo invece che grazie alla radio il mercato si sia allargato. Se un certo tipo di musica si ascolta solo in radio, probabilmente significa che il suo valore non va oltre. Per spingere all’acquisto, la musica deve forse dare più emozione di quella che oggi si sente in giro.
Ti hanno accusato di creare one-hit wonder, fenomeni esclusivamente commerciali. Ma poi Jovanotti e gli 883 sono rimasti…
Non solo loro, anche i successi di Tracy Spencer e Sandy Marton non sono stati solo dei prodotti usa e getta. Ho sempre cercato di fare dischi che scaturivano da un’emozione: Sandy Marton è diventato famoso per “People from Ibiza” e Ibiza ancora oggi è rimasta nell’immaginario collettivo. Questo è solo marketing? Forse, ma consiste nell’intuire prima degli altri che queste emozioni sono in circolo. E persino il mio “Gioca jouer”, dopo 22 anni, è ancora nella borsa di tutti i disc jockey. E’ come “La bamba”, se vuoi fare un po’ di casino in discoteca non ti può mancare. Oggi c’è bisogno di migliorare la qualità: ma come ho detto a Sanremo, io non parlo di qualità musicale, parlo di migliorare attraverso la musica la qualità della vita. “Dimmi come” di Alexia non cambierà la storia della musica, ma quando parte ti regala quattro minuti di benessere.
A proposito di Sanremo: qual è il tuo giudizio a freddo sull’edizione di quest’anno?
Non mi è spiaciuto, questo Sanremo. Come al solito sono stati i giovani a emergere: e per giovani intendo anche Daniele Silvestri e Alexia. E poi Valentina Giovagnini e Simone Patrizi, che sembrava un conduttore di MTV alle prese con una tipica canzone sanremese.
Qualche rimpianto per aver lasciato la discografia, per aver ceduto gli 883 alla Warner?
No, era nei miei piani. Un po’ come è successo con Jovanotti, quando dopo cinque album ho ceduto il contratto alla PolyGram. A me piace sviluppare i progetti e poi lasciarli andare con le proprie gambe. Non sono il tipo che mette su negozio per sistemarsi tutta la vita. Quando l’ho venduta, Radio DeeJay era la radio numero uno, né più né meno come oggi: ci lavorano dei professionisti, i migliori sulla piazza, e quel che era è. I problemi non sono nati con i disc jockey e con i ragazzi che lavorano nella radio ma con il Gruppo L’Espresso, che voleva cancellare la mia impronta sul progetto. Hanno applicato una sorta di metodo sovietico, per rimuovere il passato: ma le proprietà possono cambiare, la paternità di un’idea resta nel tempo.
Ti considerano uno dei pochi talent scout/direttori artistici sopravvissuti sulla scena italiana. Ne vedi, oggi, di talenti, e di manager capaci di farli emergere?
No, non direi. Ma il bello di questo mestiere è che possono nascere da un momento all’altro. Credo che il buon Dio non abbia smesso di fabbricarli, i talenti. Magari in questo momento è difficile che trovino spazi per esprimersi. Con Hit Channel, spero di dargli anch’io qualche chance in più.
(Alfredo Marziano)