Rivedere Stewart Copeland che picchia su una batteria è probabilmente un colpo al cuore per molti vecchi ammiratori dei Police, anche se la band di cui fa parte ora non ha molto a che vedere con il trio guidato da Sting. Gli Oysterhead sono infatti una creatura piuttosto stramba, nata dall’incontro di tre personalità marcate e apparentemente difficili da conciliare: se non fosse veramente accaduto, immaginare un gruppo che mette insieme, oltre a Copeland, Les Claypool dei Primus e Trey Anastasio dei Phish potrebbe sembrare un’operazione di fantarock. La curiosa brigata ha registrato un album “The grand pecking order” e si è pure imbarcata in un tour. A detta di Copeland, nessuno dei tre si fa grandi illusioni sul potenziale commerciale dell’operazione, ma il gioco sembra divertirli parecchio. E probabilmente, parte del fascino consiste nel confondere le aspettative del pubblico, che si aspetta il rock tradizionalista di Anastasio e deve fare i conti con le follie di Claypool. Potrebbe non durare a lungo, quindi per ora lasciamoli divertire. Vederti in un gruppo con Les Claypool e Trey Anastasio è piuttosto strano. Come è nata l’idea di mettere insieme gli Oysterhead?
Avevano chiesto di riunire alcuni musicisti per suonare in un piccolo club, all’interno del programma del New Orleans Jazz Festival, che in realtà non è riservato solamente al jazz, ma dà spazio a tutti i tipi di musica.
In effetti, non è proprio possibile definirvi un gruppo jazz
Certamente no. E poi mi piace dire cose controverse sul jazz e fare agitare i jazzisti.
Comunque, è tutto partito dal festival di New Orleans.
Dunque, hanno chiamato Trey Anastasio, il chitarrista. Non so se in Italia conosciate i Phish.
Sì, non sono un nome da classifica, ma sono un gruppo di culto per molti.
Bene, in America sono un gruppo di culto che suona negli stadi. Io non ne sapevo nulla, mi sembrava di averne sentito il nome ma non significava molto per me. Comunque, mi hanno chiamato. Conoscevo Les Claypool perché mi aveva chiesto di produrre un pezzo per un album dei Primus, ma non avevo comunque la minima idea di cosa sarebbe successo. Per prima cosa, ho suonato con Trey a casa sua - ogni membro dei Phish possiede un’area del Vermont, a quanto sembra - poi con Les abbiamo improvvisato per un giorno intero. Era chiaro che si trattava di una combinazione interessante dal punto di vista musicale, quindi abbiamo accettato di suonare al festival. Il concerto è stato spostato dal club a un teatro di 3000 posti. I biglietti sono stati venduti nel giro di dodici minuti. Ho pensato che non si trattava dei miei fan, che sono occupati a portare i figli a scuola. Quindi doveva trattarsi del pubblico di quei Phish di cui avevo sentito parlare. Comunque, abbiamo suonato. Avevamo provato per un paio di giorni prima del concerto e avevamo circa quindici minuti di materiale che abbiamo allungato fino a due ore e mezza. In gran parte, era spazzatura. Ma il concerto è andato bene, la gente si è divertita ed è stato bello suonare lì. Poi una registrazione è finita su Napster, l’ho scaricata e mi sembrava ancora più terribile. Io avevo dei nastri multitraccia del concerto, li ho remixati e ho tenuto cinquanta minuti delle due ore e mezza, solo le parti migliori. Così, suonava molto bene. Ho mandato due copie agli altri e anche a loro è piaciuto, quindi abbiamo deciso di registrare altro materiale e abbiamo fatto il disco. Ora siamo in tour e stiamo pensando a cosa fare in seguito, probabilmente un altro disco.
So comunque che non avete pianificato molto.
Esattamente, non abbiamo firmato un contratto col sangue.
L’impronta di Les Claypool è particolarmente evidente nel vostro album. E lui la personalità dominante?
No, penso che un pizzico di Claypool faccia di un brano una cosa molto alla Claypool. Se fossi un cuoco, potrei citare una spezia che domina il sapore anche quando ne viene usata pochissima.
Che tipo di reazioni avete avuto dal pubblico?
Tutti i concerti sono andati esauriti in poco tempo, grazie soprattutto ai fan dei Phish, penso. Questi sono cultori, e ai cultori non piacciono i cambiamenti. All’inizio i fan dei Phish erano curiosi di sentire cosa stesse facendo Trey e, navigando su Internet, si leggevano commenti di ammiratori confusi. Sembravano quasi darsi consigli psicologici per la delusione e chi ci aveva visto metteva in guardia gli altri: “attenti ai concerti degli Oysterhead, suonano in modo molto aggressivo”. Era molto buffo, ma ora penso che cominci a formarsi un pubblico degli Oysterhead, che sa cosa aspettarsi. Evidentemente non siamo i Phish, anche perché, come ti dicevo, lo stile di Les Claypool cambia completamente la situazione. A noi sembra che il pubblico sia passato dall’ondeggiare - hai presente come ballano le ragazze hippie? - al “moshing”, che probabilmente piace di più ai fan dei Primus. Comunque, non voglio dire niente di male degli ammiratori dei Phish: sono gente molto piacevole, tutti hippie della classe media.
E i fan dei Police?
Oh, loro di solito portano i fan dei Phish al concerto.
Forse, sono più abituati a cose insolite già dai tempi del tuo album uscito a nome Klark Kent
Chi ha comprato il biglietto solo perché c’era il mio nome in cartellone probabilmente sapeva di poter aspettarsi di tutto. La mia ultima esibizione in pubblico era avvenuta con un’orchestra di 90 elementi e quella precedente era stata con una formazione di musicisti di varie etnie.
E poi c’era stato il gruppo con Stanley Clarke, gli Animal Logic.
Esatto. In un certo senso, gli Animal Logic erano l’opposto degli Oysterhead. In quel caso, il gruppo era nato perché io e Stanley eravamo molto amici. Avevamo grandi discussioni sul jazz, io lo provocavo con frasi del tipo: “Il problema del jazz è che tutti i jazzisti sono spazzatura” oppure “John Coltrane non ha mai fatto grande musica”. Lui si metteva a ridere e controbatteva. L’idea dietro al gruppo era: la musica pop è molto facile, quindi facciamola e vediamo se diventa popolare. Abbiamo ricevuto buone critiche e la cosa funzionava, ma nel frattempo a entrambi arrivavano offerte per scrivere colonne sonore, che era molto più interessante di andare in tour. Gli Oysterhead sono nati diversamente: non ci conoscevamo e ci siamo messi insieme per la musica, perché è scoccata una scintilla molto speciale. Non ci interessa avere un gruppo pop, non abbiamo piani né intenzioni particolari, a parte la musica stessa.
Con gli Oysterhead sei tornato al ruolo di batterista. Che effetto fa tornare a suonare lo strumento?
Molto strano. Non sono un professionista, non lo faccio per guadagnarmi da vivere, è un specie di hobby. Mi fa un strano effetto, comunque è un bellissimo hobby. Ho ripreso a fare esercizi sulla batteria e mi sono rimesso in forma. in un certo senso è una fantastica forma di sport, mi ha fatto bene. E poi mi sto divertendo a stare in tour: è un po’ come fare la rockstar per un mese, per poi riprendere con il mio vero lavoro, le colonne sonore, che mi piace molto.
Tecnicamente sei tornato ai livelli del passato?
Sono molto più disciplinato rispetto al passato, perché non mi esercitavo mai, era un solo un lavoro. Adesso è molto più di un lavoro: è un hobby.
Domanda obbligatoria: che ne è dei Police? Siete ancora in contatto?
Sì, ma non ci sarà una reunion e ora che sto negli Oysterhead ho anche capito perché: ho un altro gruppo che è molto più divertente.
Non ti divertivi più con i Police?
Il lavoro non era divertente. Ci si divertiva invece a suonare nelle feste. Le ultime volte che abbiamo suonato insieme alle feste e ci è piaciuto, ma affrontare un tour non ci attirava. Ci potrebbe capitare di suonare ancora per beneficenza, non lo escludo, ma non vedo proprio i Police impegnati in un altro tour. E’ finita. Mi piace il mio lavoro con le colonne sonore.
Il tuo primo lavoro per il cinema è stata la colonna sonora di “Rumblefish”, dove c’era “Don’t box me in”, una grande canzone che ha scritto insieme a Stan Ridgway.
Sì, occasionalmente lavoro ancora con lui, siamo amici.
Penso che sia un autore molto sottovalutato, ha avuto molto meno successo di quanto meritasse.
E’ assolutamente vero. Ma questo è accaduto perché è pazzo. Io vado d’accordo con lui perché sono un musicista, ma Stan diffida molto di manager, agenti, case discografiche e continua a sabotare la sua carriera. Da amico, mi metto le mani nei capelli e cerco di fargli notare quando sbaglia mossa, ma è fatto così. Conosco molti musicisti che si comportano in quel modo. Comunque, è molto piacevole suonare con lui.
(Paolo Giovanazzi)