E' difficile trovare la parola giusta per definire Bob Geldof. Nessuno, forse, meglio di lui rappresenta oggi lo stereotipo dell' artista contemporaneo, capace, cioè, di essere nello stesso tempo musicista, scrittore, attore, produttore televisivo, politico, opinion leader...Ma oltre ogni definizione, Bob Geldof rimane soprattutto un uomo molto intelligente, un artista carismatico, una persona con una sensibilità spiccata e, se vogliamo, un'eccezione nello star-system di questi ultimi vent'anni: un mondo sempre più frivolo, in cui Bob Geldof si è distinto per il suo continuo impegno contro lo sfruttamento dei paesi dell'Africa, iniziato con Live Aid e tuttora portato avanti con la campagna per l'azzeramento del debito degli stati del Terzo Mondo. Nonostante questo, gli ultimi anni sono stati molto difficili per lui: "mesi e mesi trascorsi in un oceano di dolore e tristezza", passati a combattere una depressione cosmica nel tentativo di sopravvivere agli eventi, in un arco di tempo durante il quale, quasi per caso, Bob Geldof è tornato a scrivere canzoni, le canzoni del suo ultimo album, "Sex, age and death": un disco molto particolare, incredibilmente vero e inquieto, in cui l'ex-leader dei Boomtown Rats ha riversato tutto sé stesso, cercando esclusivamente di fotografare particolari stati d'animo. Cos'è successo veramente in questi ultimi anni?
Nel 1995, la mia vita è improvvisamente crollata. E per i tre anni seguenti mi sono ritrovato incapace di reagire a qualsiasi stimolo, in ogni senso: non riuscivo a combinare nulla, non dormivo e me ne stavo semplicemente a letto. Tutto sembrava incredibilmente portato all'estremo, in un modo tragico, assurdo, senza una plausibile soluzione. Mi riferisco alla rottura del mio matrimonio e alla fine di tutto ciò che intorno a esso avevo costruito con mia moglie. A molte persone al mondo accade di perdere una persona di cui si è innamorati, ma pochi, credo, possono immaginare il dolore che io ho provato perdendo mia moglie. Così, mi sono ritrovato in una sorta di oblio. Non facevo nulla, non ascoltavo musica, non uscivo, non vedevo nessuno. Tutte le energie mi bastavano solo per cercare di tirare avanti.
Per sopravvivere?
Sì, assolutamente.
Come sei riuscito a riavvicinarti alla musica?
E' successo quando alcuni amici si sono trasferiti a casa mia nel tentativo di scuotermi e ridare un senso alla mia vita. Alcuni di loro, hanno cominciato a suonare musica. Credo sia iniziato tutto allora, perché all'improvviso mi sono sentito di nuovo attratto da qualcosa. Forse, perché si trattava di una musica molto minimale, ma carica di emozioni, vibrante. Così, ho ricominciato a pensare e gradualmente l'istinto, la voglia di creare musica ha ripreso vigore in me. Ma è stato un ritorno lento, perché, contemporaneamente, con esso iniziavano a riaffiorare anche molte emozioni che non potevo controllare. La musica è un linguaggio superiore, un'arte ineffabile. Allora, non mi preoccupava affatto questo aspetto, ma più che altro gli stati d'animo che a ogni suono inevitabilmente io sentivo di ricordare.
E' stata una terapia, un modo per sentirsi meglio?
No, per niente. Non è stato un beneficio, un momento di tregua, ma solo una nuova fase. Ricordo, come, una volta, un mio amico scrittore mi raccontò che per lui scrivere un libro significa tentare di dare una forma a una particolare esperienza di vita. In un modo simile, così è andata per me. Quando provo a scrivere una canzone è l'esperienza, lo stato d'animo che in quell'istante io vivo, senza sapere come o perché, che mi sprona a creare una melodia o una sequenza di accordi. Per capire quali sensazioni provavo in quel periodo basterebbe dire che il mio penultimo album s'intitola "Happy club". Tra "Happy club" e "Sex, age and death", c'è un abisso, due universi completamente contrapposti.
Ma era importante capire perché vivevi in un simile stato d'animo?
No, affatto. Prendevo solo via via coscienza di ciò che stavo facendo, ma non volevo o potevo capire perché, e neppure cambiare o fermare ciò che mi stava accadendo. Quando ho ripreso in mano una chitarra, ho ricominciato a suonare chiedendomi: 'cosa diavolo sto facendo, dove andrò a finire?'. Tuttora non potrei spigarlo. Mi sentivo come un bambino che impara a parlare. Ma non volevo creare qualcosa di ben definito. Pensavo solo a dei suoni. Così, sono partito da delle sequenze, da dei groove che potessero racchiudere ciò che avevo dentro. E queste basi piano piano si sono evolute in canzoni.
Quanti brani vennero fuori da quei groove?
Circa una decina. Non ricordo esattamente, perché, non avendo nessun piano preciso in testa, dopo alcune settimane mi sono stufato. Ho sempre odiato scrivere musica perché obbligato. Detesto pensare di comporre più brani di quanto io mi senta solo perché potrei farne un disco. Su questo CD sono finiti solo brani che mi rappresentano. Fatto strano è che le canzoni che avevo tirato fuori rappresentavano esattamente i miei sentimenti. Molti giornalisti mi chiedono ora di spiegare il senso di queste canzoni. Io non so spiegare nulla, so solo che questi brani vanno bene per me e che 'Sex, age and death' ha a che fare con qualcosa di molto personale. E' un disco estremamente personale. Tutto è venuto da sé. Anche la scaletta dell'album. Ed è un puro caso se l'ultima canzone, '10:15', che rappresenta quasi una sorta di redenzione, finisce con la parola 'smiling': sorridendo.
Cosa pensi ora di "Sex, age and death"?
Semplicemente, non posso dare un giudizio o ascoltare questo disco, perché se lo facessi ritornerei immediatamente a ciò che provavo allora. E' una cosa che ho fatto non per scelta, ma per cercare di esorcizzare quel periodo. Non mi importa nulla, davvero nulla, se non venderà. Volevo solo tentare di dare una forma a quella terribile esperienza: io senza amore, immerso in una vita che senza amore non aveva alcun significato.
Hai mai biasimato il fatto di essere un artista dotato di una profonda sensibilità e quindi più fragile verso certi aspetti della vita? Oppure ti ritieni una persona fortunata per quello che è?
Non credo ci sia molta differenza tra le due cose. Nel senso che presumibilmente ciò che provo io non è diverso da ciò che provano anche molte altre persone che non sono artisti, o che magari conducono una vita più normale della mia. Io vedo la mia vita quasi come una soap opera: ci sono dentro e non posso fare altro che continuare ad andare avanti in questo modo. Io non pianifico nulla, se tutto è agli estremi è perché viene da sé. Mi limito a guardare questa soap opera. Non è comunque un piacere poter fare certe cose in quanto artista. E non si tratta forse neppure di avere del talento o una particolare sensibilità, ma più che altro di un'incapacità di vivere secondo determinate regole. E non credo sia una grossa fortuna.
E' difficile allora essere Bob Geldof?
No, io sono me stesso.
Cosa pensi sia possibile fare in questo momento di crisi per il mondo?
In ogni crisi c'è sempre un' opportunità. Per esempio, quando io e Bono ci siamo ritrovati a parlare con molti politici riguardo ai problemi del Terzo Mondo abbiamo spesso incontrato persone con posizioni e vedute diverse dalle nostre, gente molto sicura delle proprie idee. Ma in tanti hanno ceduto ascoltandoci. Per fermare una guerra o una qualsiasi crisi è molto importante parlare, trattare con la gente e non pensare che trovare idee contrastanti sia un problema. Le cose possono anche cambiare. Lo sforzo sta semmai nel cercare di farle cambiare verso il meglio.
Quanto credi sia ancora importante l'esperienza del Live Aid dopo quasi vent'anni?
Credo che Live Aid sia stato l'inizio di una presa di coscienza verso alcuni problemi del mondo che possiamo vedere ancora oggi. A metà degli anni Ottanta, c'era molta gente che credeva che la vita fosse solo un seguire le mode e gli aspetti più frivoli della nostra esistenza. Ma c'era anche altro. Con Live Aid penso che in tanti si siano accorti che esiste anche altro.
Organizzerebbe ancora un concerto come Live Aid?
No, ma penso che potrebbe essere ancora utile e stimo chi si sforza di seguire quell'esempio. La gente in Africa non muore per le carestie ma per colpa di problemi politici: corruzione, disorganizzazione, segregazione. E tutto a causa di chi non vuole che questo finisca. Per fare sentire la propria voce contro questi sistemi occorre innanzitutto trovare una sorta di "lingua franca". E la musica rimane sempre un linguaggio universale.
(Massimilano Leva)