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«THE BEATLES IN ITALY - Franco Brizi - Maurizio Becker» la recensione di Rockol

Franco Brizi - Maurizio Becker - THE BEATLES IN ITALY - la recensione

Recensione del 09 apr 2013

(Arcana, 240 pagine, 35 euro)

Voto 8/10

La recensione

Due nomi, una doppia garanzia: Brizi e Becker sono storici della musica, del disco e di quanto vi gira intorno di acclarata competenza, sicché non avevo dubbi sulla qualità del loro lavoro, quando me ne è stata annunciata l’uscita. “Come li raccontava la stampa dell’epoca”, è il sottotitolo di questo volume di grande formato che raccoglie, a colori, riproduzioni (leggibili) di articoli usciti all’epoca dei fatti (1962-1970) sulla stampa - principalmente specializzata e giovanile: “Big”; “Ciao amici”, “Giovani”, “Ciao 2001” - di casa nostra. Per chi quei giornali li aveva comprati all’epoca - per chi ha l’età per averlo fatto, come chi scrive - e non è stato abbastanza previdente da conservarli e collezionarli, o (come me) li ha archiviati in cantina, pagando le conseguenze dell’umidità, il volume di Brizi e Becker sa di madeleine proustiana: ritrovare certi nomi di giornalisti veri o presunti (Jean-Luc Perrier di “Ciao 2001”: scommetterei che era uno che da Roma traduceva i giornali inglesi), rileggere certi articoli al limite dell’imbarazzante per superficialità e incompetenza (lo capisco adesso, allora mi parevano Bibbia e Vangelo), non può che intenerire e perfino, un po’ emozionare.

A bilanciare l’effetto-nostalgia c’è l’ampia introduzione di Becker, che con la consueta autorevolezza rimette in ordine la storia di come i Beatles, discograficamente parlando, sono stati conosciuti e diffusi nel nostro paese (che poi davvero Peppino di Capri abbia scoperto “Girl” in una pila di dischi inascoltati sulla scrivania del direttore artistico della Carisch è tutto da dimostrare...).
In chiusura, è doveroso ricordare che nel 1998 e nel 2001 il cultore dei Beatles Rosario Bersanelli pubblicò i due volumi di “Così si leggevano i Beatles”: libri assai più artigianali, in “economico” bianco e nero, che ricordano molto da vicino quegli album che i fan mettono insieme incollando ritagli di giornali. Né in questi, né nel libro di Brizi e Becker, ho trovato traccia di un articolo scritto dal poeta Alfonso Gatto per il settimanale “Epoca” nel 1965, che lessi all’epoca e sono riuscito a ritrovare solo grazie alla potenza dei motori di ricerca: mi piace condividerlo con voi. Curiosamente, la frase che da allora mi era rimasta infissa nella memoria è quella che contiene un errore: “All’erta Harrison batte il suo tamburo ancestrale”. Scherzi dei neuroni. (fz)


Dite quel che volete, io ho piacere che i quattro zazzeruti del «Beatles» abbiano avuto dalla regina Elisabetta l'ordine dell'Impero Britannico, la famosa sigla «M.B.E.» che potranno far seguire al proprio nome e cognome. Hanno reso «eccezionali servigi» al proprio Paese: «miliardi di valuta provenienti dall'estero in pagamento dei loro diritti d'autore», dicono i corrispondenti con aria lievemente schifata e con l'abitudine di chiamare "tradizionalista" la vecchia Inghilterra per poi meravigliarsi di vederla così sconsideratamente innovatrice. Diciamo pure che se la Gran Bretagna è tradizionalista, noi siamo addirittura codini nel credere che una finale di calcio valga più di una guerra vinta o perduta. D'altro vorrei parlare, cioè del valore dei Beatles, di Ringo Starr, John Lennon, Paul McCartney e George Harrison. In questo momento - udite, udite - io li preferisco a Mozart e a Beethoven, convinto che la loro popolarità in tutto il mondo, tutto sommato, vada a scapito di una considerazione più attenta del valore che li rende assoluti nel proprio dominio musicale.
Si è detto di loro: «Tra una o due generazioni - a chi ci chiederà: Li avete conosciuti davvero? - noi non parleremo delle loro parrucche o dei loro urli. Gli daremo un disco, e gli imporremo: studia. I ragazzi del 2000 troveranno la stessa felicità, lo stesso calore di vita che vi troviamo noi. La magia dei Beatles non ha tempo. Credete si esageri? In Italia, tutto sommato, in nome di Verdi, si applaude a Milva (e giustamente il "nazionalpopolare" li unisce, direbbe il mio sempre più caro Alfredo Righi, e l'unico pericolo è che si voglia intellettualizzarli). Io sono istruito sui Beatles (tra l'altro amo mio figlio o no (?) e come, a chiacchiere o pretendendo ch'egli si arrenda ai miei gusti? Devo dirgli invece: «troppo Vivaldi, amore mio, troppo Milhaud, pensa qualche volta ai tuoi Beatles»). Io sono istruito e vi dico andate a cercare tra canzoni di Lennon-McCartney: ve ne do i titoli: «Eight days a week», «No reply» e «I'm a loser». Ascoltate «Kansas City» e «Mr Moonlight»: all'erta Harrison batte il suo tamburo ancestrale. Nel loro ritmo, credete pure, ci sono i millenni. Altro voglio dirvi: gli amici John, Paul, George e Ringo sono simpatici. 
Li ho chiamati amici senza conoscerli, perché ognuno di noi può esser loro amico ma se suonano sono molto lontani da noi, più inaccessibili dei vecchi lords. Non credete alla loro aria di vacanza. Escono dagli armadi della cultura e voi - stupidi come sempre per amor di prudenza - li avevate presi per dopolavoristi o per eroi del tempo libero. L'Eccellentissima Elisabetta ha fiuto e orecchio e io non credo si sia lasciata influenzare molto dagli uffici di Downing Street 10 che hanno fatto le proposte. Poteva depennarne i nomi, poteva dire: ma che eccezionali servigi! La graziosa Regina invece è stata lieta di credere questa volta ai propri riconoscimenti, non le capita troppo spesso. Se il tesoriere gongolava, tanto meglio. Al confronto gli "Oscar europei della popolarità" (quanti Oscar oltre al mio vecchio zio d'una volta, ora ci si son messi anche i libri) fanno ridere. E non parliamo per carità di patria, dei dischi per l'estate, delle beghe che stanno per accadere che sono già accadute. Ecco, tra poco tutti andremo a pagare il silenzio delle nostre ferie, un silenzio introvabile. Io più realisticamente vado in cerca di una "località" ove ci siano molti "juke-box" con tutti i dischi dei miei carissimi Beatles: se mi volete, alberghi, bar, ritrovi e osterie al mare e ai monti, se mi volete (e sono importante), acquistate il "45 T SOE 3755", il "45 T SOE 3760" (gli indimenticabili «She's a Woman» e «I feel fine»!) e tutti gli altri. No, non sono aerei di una missione segreta, ma missili del nostro pianeta estivo. Ai cattivi urlatori preferiamo il concerto dei buoni. Perché i Beatles, tutti gli scherzi a parte, sono il concento. È detta "concento" la "armonia risultante dal concorde suono delle voci e degli strumenti". Concentore è chi canta in un concento. Vogliamo chiamare così i nostri Beatles?

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