“Si vuole scappare” è il secondo album dei livornesi Siberia, all’anagrafe Eugenio Sournia (Voce e chitarra), Luca Pascual Mele ( Batteria), Cristiano Sbolci Tortoli (Basso) e Matteo D'Angelo (Chitarra), in uscita ad un paio d’anni da “In un sogno è la mia patria”.
Nove i pezzi in scaletta per un disco che stilisticamente chiama in causa una serie di artisti e band, italiani e non, che i Siberia hanno inserito nella lista delle loro reference principali; sul fronte Italia abbiamo dunque i Baustelle (per i testi in particolare) e l’immancabile Tenco, e su quello internazionale gli Interpol e gli Editors. Mi permetto però di fare una piccola aggiunta a questo gruppetto inserendo anche i White Lies, che secondo me sono il termine di paragone principale per i Siberia visto che entrambe le band trattano un pop rock di base sintetico, con una certa preferenza per il lato pop dalle melodie uptempo. Aggiungiamoci che la timbrica di Sournia e quella di Harry McVeigh si somigliano parecchio a prescindere e il gioco è fatto.
Una volta chiuso il capitolo rimandi, che lascia sempre un po’ il tempo che trova ma di base aiuta chi si approccia al disco con orecchio vergine ad inquadrare il suono di un gruppo, quello che va detto di “Si vuole scappare” è che è un disco interessante, assolutamente ben confezionato in termini di produzione (il suono arriva molto bene dall’inizio alla fine ed è tutto molto chiaro), curato nella scrittura e negli arrangiamenti che, a differenza di altri impegnati in questo sport, ho trovato fortunatamente molto poco ruffiani. Cosa c’è dentro questi nove pezzi?
Lo spleen post-adolescenziale, gli psicofarmaci, l’ebbrezza, le relazioni, le playlist di Spotify. Di fronte al nulla e alla precarietà, proprio nel momento in cui si stanno mettendo stabili radici, ci si fa prendere dalla voglia di scappare, di sfuggire e di sfuggirsi.
L’urgenza della fuga si traduce quindi nel pop di cui sopra, un pop che non disdegna l’ironia e sa dove vuole andare (“Nuovo pop italiano”), che sa farsi introspettivo e delicato (“Cuore di rovo” e “Tramonto per sempre”), incalzante all’occorrenza (“Strangers in the field of love”).
Un pop perfetto per il palco perché suonato da una band costruita su una base wave e post punk bella consistente, che tradisce ascolti ben più dark di quello che potrebbe a prima vista sembrare. Un pop colto, impreziosito dalle liriche di Sournia, sempre molto convincente nel raccontare e raccontarsi. Il disco si chiude con “Ritornerà l’estate”, che per una band che si chiama Siberia e visto il clima insolitamente gelido di questi giorni più che un augurio suona quasi come una speranza. Nell’attesa della bella stagione possiamo però distrarci con un buon disco.
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