La "Rebirth" di Wrongonyou: a volte abbiamo bisogno di perderci per capire chi siamo veramente
Dopo una lunga gavetta, un paio di EP e una manciata di singoli, Wrongonyou pubblica il suo primo album ufficiale: ed è come se il cantautorato pop di Ed Sheeran incontrasse il folk elettronico di Bon Iver. La nostra recensione.
Wrongonyou, vero nome Marco Zitelli, dopo una lunga gavetta, un paio di EP e una manciata di singoli, pubblica il suo primo album ufficiale. Si intitola "Rebirth" e racconta la rinascita del cantautore romano dopo un periodo buio: "Cerco di mettermi a nudo: fino a qualche tempo fa c'erano dei filtri, più mentali che altro, che me lo impedivano", racconta lui, "ho messo la retromarcia e mi sono concentrato sulla voce, sul cantare puro. E alla fine è arrivata la rinascita".
Da quando, nel 2013, ha cominciato a fare le cose sul serio, aprendo un canale SoundCloud e pubblicando lì i suoi primi pezzi, Wrongonyou ha macinato chilometri. Ha viaggiato molto e suonato in giro per l'Italia, per l'Europa (esibendosi sui palchi di festival internazionali piuttosto importanti - tra questi anche il Primavera Sound di Barcellona) e per gli Stati Uniti. "Rebirth" è una sorta di sintesi di quelli che sono stati gli ultimi anni della sua carriera ed è idealmente suddiviso in due parti: da un lato ci sono canzoni nuove, alle quali ha lavorato insieme a Michele Canova; dall'altro ci sono canzoni già pubblicate in passato, alle quali - per un motivo o per l'altro - è particolarmente legato.
I boschi del Wyoming, le montagne del Canada, le distese di neve e i laghi ghiacciati dell'Alaska.
Con le sue canzoni Wrongonyou traccia una linea invisibile: collega la sua Grottaferrata a questi paesaggi, che prova ad evocare con testi che hanno spesso per protagonista la natura ("Get down", "The lake", "Green River", "Tree"), tutti rigorosamente scritti in inglese (questo potrebbe essere forse l'ostacolo più grande da superare per arrivare al "grande" pubblico, nel nostro paese). I suoni, invece, mischiano indie, folk ed elettronica (nei pezzi più "up", come "Tree" e "Family of the year", si sente la mano di Michele Canova): è come se il cantautorato pop di Ed Sheeran incontrasse il folk elettronico per hipster di Bon Iver (ascoltate "Killer", con quell'uso di chitarra e vocoder tipicamente boniveriano). Anche se Wrongonyou dice di averlo scoperto piuttosto tardi, Justin Vernon, e che la sua passione per questi suoni gli è stata trasmessa dal John Frusciante solista.
Il meglio di sé, però, Wrongonyou lo dà nei pezzi più malinconici e intimisti, quelli che rappresentano l'anima più acustica del disco. "Son of winter" (in cui il cantautore si immedesima in un anziano sul letto di morte e parlando con una donna le racconta di sentirsi pentito per non essersi goduto la vita), ad esempio, ma soprattutto "Sweet Marianne": un pezzo tutto chitarre e voce, una ballata struggente che è una pura dichiarazione d'amore ("All my love is for you for you, baby / is for you").
A volte abbiamo bisogno di perderci per capire chi siamo veramente: toccare il fondo, raschiarlo, e poi di colpo ritrovare la spinta per tornare in superficie e riprendere ossigeno. "If you leave your past, will be like a rebirth", canta Wrongonyou in "Rebirth". Se ti lasci alle spalle il passato, arriva il momento della rinascita.
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