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«66 - Paul Weller» la recensione di Rockol

Paul Weller torna a farsi sentire (e ascoltare)

'66' è un lavoro discografico apprezzabile e riflessivo.

Recensione del 09 giu 2024 a cura di Simöne Gall

Voto 7/10

La recensione

Weller il "changing man" (un diretto riferimento, qui, al titolo di uno dei suoi successi più noti). Weller il "modfather". Weller che per molti resta una leggenda vivente, nonché, con una punta di esagerazione, uno degli autori più eminenti dai tempi di Lennon e McCartney. Beatles che ebbero, tralasciando le impressioni di cui sopra, condivisibili o meno, un impatto significativo sulla vita di Weller già a partire dall'infanzia, al punto che è lui stesso a indicarli, oggi, come "la chiave" della sua ormai duratura ispirazione. Pubblicando in concomitanza - e quindi in celebrazione - del suo compleanno questo '66' (la cifra, lo si può intuire, corrisponde ai suoi anni anagrafici), l'artista inglese si ripresenta con l'album numero diciassette, che sarebbe parimenti il suo ventottesimo progetto se si contano anche tutti i dischi realizzati a partire dal 1977 prima insieme al trio dei Jam, poi con gli Style Council in una fase successiva. Prima di '66', l'ultimo suo album da solista, 'Fat Pop (Volume 1)', pubblicato nel 2021, era arrivato a toccare la prima posizione nel Regno Unito, permettendo a Weller di produrre con la sua musica una eco considerevole, sebbene non come ai tempi di 'Stanley Road' (1995), il suo terzo album divenuto quattro volte platino.

La redenzione di '66'. Le tracce del disco

Come per il caso di 'Heavy Soul', anche '66' si presenta con una copertina dall'impatto fulmineo e ultra-minimale, arrecante la cifra indicata nel titolo (Sir Peter Blake, già autore di quella di “Sgt. Pepper’s…”, ne ha curato l'artwork). Minimale è del resto anche la struttura delle dodici canzoni contenute, che Weller ha registrato presso i Black Barn Studios nel Surrey, lungo un arco temporale di tre anni. Ad allungargli una mano per i testi, colleghi musicisti come Noel Gallagher, suo grande estimatore, il leader dei Primal Scream Bobby Gillespie, ma anche il cantante dei Madness, Suggs, altro storico personaggio di una certa corrente british. A essere precisi, con l'ex Oasis appena citato Weller aveva già collaborato per 'Stanley Road' (Gallagher era apparso in "I Walk On Gilded Splinters"), rimanendo poi fortemente associato alla scena britpop anche per il fatto di aver ricambiato il favore a Noel suonando nella hit "Champagne Supernova", inclusa nel secondo album della band dei due fratelli in perenne conflitto, '(What's The Story) Morning Glory?'.

Diversamente dal passato, però, in '66', all'interno del quale trova spazio un ulteriore supporto creativo dato da personaggi come Richard Hawley, Steve Brooks o il duo White Label, Weller adotta un approccio più riflessivo che mai, seppur mantenendo fortemente salde le sue radici. La quieta e iniziale "Ship Of Fools" sa di Sixties-pop, con quel suo lento avanzare da cui ci si lascia volentieri cullare. "Flying Fish" è, per converso, un momento più facile che guarda alla disco-funk dei Settanta. In "Jumble Queen" si tastano invece terreni ruvidi e rock 'n' roll, senza però sporcare l'impeccabile lavoro nelle orchestrazioni, qui come altrove curate da Hannah Peel ed Erland Cooper. La composizione che segue, la setosa e avvolgente "Nothing", potrebbe figurare come colonna sonora ideale per rievocare in solitudine un particolare momento sentimentale, intimo e privato. "My Best Friend's Coat" sceglie nuovamente una certa semplicità compositiva, aprendosi però a un pop colto che sa avvolgere i sensi. Lo stesso potremmo dire per "Rise Up Singing", sorta di possibile, soffice incrocio fra il Marvin Gaye di 'Let's Get It On' e il primo Scott Walker. Le tracce si aggirano tutte intorno ai tre minuti di durata, il che vale dunque anche per le rimanenti "I Woke Up", "A Glimpse Of You", "Sleepy Hollow", "In Full Flight", e quindi "Soul Wandering" e "Burn Out". Figurando come singolo apripista dell'album, già presentato lo scorso febbraio, "Soul Wandering" è un rock elegante e midtempo che suona opportunamente invecchiato. Difficile non rinvenire tra i suoi accordi e nella sua linea melodica un inconfondibile feeling alla Bowie dei tempi di 'Hunky Dory', con Weller a riflettere sul senso del suo essere nel mondo e nel tempo ("L'anima errante/ Ancora alla ricerca / E voglio credere / In qualcosa di più grande di me"). Non per caso, già nel 2018 Weller aveva reso omaggio al defunto artista di 'Blackstar', dedicandogli esplicitamente il brano "Bowie" all'interno del suo album 'True Meanings'. Tale tributo andava a rappresentare in un certo senso la chiusura di un cerchio, dopo che in passato l'ex Style Council si era reso protagonista di alcune stravaganti sparate (poi tutte quante ritirate con tanto di capo chinato) in merito al valore artistico del Thin White Duke.

'66' non sarà forse collocabile fra i punti più alti della sua carriera di Weller, ma nel complesso è una prova che ha il sapore dell'autenticità.

Tracklist

01. Ship Of Fools (02:58)
02. Flying Fish (04:41)
03. Jumble Queen (02:34)
04. Nothing (04:16)
05. My Best Friend's Coat (02:46)
06. Rise Up Singing (03:02)
07. I Woke Up (03:24)
08. A Glimpse Of You (03:33)
09. Sleepy Hollow (03:21)
10. In Full Flight (03:58)
11. Soul Wandering (03:19)
12. Burn Out (03:58)
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