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«WHEATERVANES - Jason Isbell» la recensione di Rockol

Intanto Jason Isbell non sbaglia un colpo

"Wheatervanes", nuovo album per il cantautore, con i 400 unit: il miglior rock americano è qua

Recensione del 12 giu 2023 a cura di Gianni Sibilla

Voto 8/10

La recensione

Ci sono dischi che ti rimettono in pace con generi musicali. Mi è successo recentemente con lo stupendo album dei Foo Fighters, "But here we are", e mi succede ancora di più con Jason Isbell e i 400 Unit, autori di questo altrettanto stupendo "Weathervanes". 

Il dubbio di partenza: il classic rock americano è diventato troppo "classic"? Ovvero troppo po' formulaico e previdibile, anche nelle sue manifestazioni live: forse quell'aggettivo, spesso inteso come una sorta di consacrazione di riconoscimento del suo ruolo nella musica contemporanea, ci stava dicendo invece che stava invecchiando tutto troppo in fretta;  "Las Vegas è dietro l'angolo", mi ha detto un amico, parlandomi di un concerto recente del genere: non aveva tutti i torti.

La storia dei Foo Fighters è particolare: negli ultimi album hanno esplorato strade diverse, con alterni risultati, ma "But here we are" è un'altra storia, un'elaborazione del lutto per la perdita di Taylor Hawkins, un lavoro posseduto dall'urgenza di raccontare storie, urlare e suonare le chitarre. La storia di Jason Isbell è invece, per certi versi più normale: dalla rinascita con "Southeastern" (2013), non sbaglia un album, e ognuno è meglio dei precedenti - in particolare quelli con i 400 Unit, come questo

Il migliore, in america

Isbell scrive canzoni come nessun altro in America, in questo momento: ha attacchi fulmimanti che aprono mondi narrativi ("Have you ever loved a woman with a death wish?", canta nella prima canzone - una tormentata storia d'amore e depressione) e soprattutto non ha paura di affrontare i temi centrali della società americana, ma senza retorica. "King of Oklahoma" è una "Downbound train" al tempo della crisi degli oppiodi, "Cast iron skillet" parte da come si "deve" lavare una padella per raccontare una famiglia in cui le tradizioni tramandate - anche quelle razziste - prendono il sopravvento su qualsiasi cosa, anche sull'amore per i figli; "Save the word" è la storia di genitori terrorizzati che la figlia sia la vittima dell'ennesima sparatoria scolastica. E così via: una raccolta di racconti alla Raymond Carver  - con Isbell che parla sempre di più di quello che lo circonda e sempre meno della sua storia di ex-alcolizzato, su cui aveva costruito "Southeastern". D'altra parte lo aveva detto un paio di dischi fa, " “Heard enough of the white man’s blues/ I’ve sang enough about myself".

La miglior band

Poi ci sono i 400 Unit: più che alla E Street Band, assomigliano agli Heartbreakers di Tom Petty, con un chitarrista versatile e risconoscibile in Sadler Vaden. Sono capaci di passare in rassegna i vari sottogeneri del rock classico: la 12 corde elettrica di "King of Oklahoma", i vari momenti acustici, il southern rock di "This ain't it", il Neil Young di "Miles" - le ultime due canzoni sono 13 minuti di goduria elettrica. Mai senza sembrare derivativi, anzi: potenza e grazia. Peccato solo che non siano mai passati dalle nostre parti, e che al massimo abbiano fatto qualche data nel nord europa: se li sentite in uno dei tanti bootleg ufficiali, capirete come suonano.

"Weatherwanes" è perfetto, come suono e arrangiamenti: ma dopo il disco tributo alla Georgia (suo stato adottivo), dopo il complicato "Reunions" (recuperate il documentario “Running with our eyes closed” che ne racconta la genesi, prodotto di da HBO), è un altro mezzo capolavoro che ridà fiducia in un genere musicale.

 

Tracklist

01. Death Wish (04:30)
02. King of Oklahoma (05:02)
03. Strawberry Woman (04:10)
04. Middle of the Morning (04:40)
05. Save the World (05:09)
06. If You Insist (03:45)
07. Cast Iron Skillet (03:24)
08. When We Were Close (03:57)
09. Volunteer (04:05)
10. Vestavia Hills (04:31)
11. White Beretta (03:56)
12. This Ain't It (06:14)
13. Miles (07:07)
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