Vinicio Capossela, "resistore di sogni a manovella"

Da una manovella si può rimettere in moto un secolo intero. È quello che accade quando Vinicio Capossela innesca di nuovo gli ingranaggi del suo “Canzoni a Manovella”, riattivando tutto quell’universo febbrile e frenetico del Novecento che il disco richiama, un’epoca di ombre, invenzioni e poesia.
Quel secolo, aperto con la morte di Giuseppe Verdi al Grand Hotel et de Milan e che, nel suo riflesso più immaginifico continua a scintillare nella poetica di Capossela, è tornato in auge per una sera, in occasione dei primi venticinque anni dalla prima pubblicazione dell’album, avvenuta nel grande spartiacque del 2000. A celebrarlo, proprio nella Sala Grande del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, un’anteprima speciale della XIX edizione del Barezzi Festival, la rassegna dedicata alla figura del primo protettore del celebre compositore.
A introdurre l’evento, è stato un passaggio alla Casa di Riposo per Musicisti - voluta dallo stesso Verdi e in cui è sepolto: tra aneddoti e riflessioni, il cantautore è stato nominato “resistore di sogni a manovella” dall’Autoclave di Estrazioni Patafisiche, un titolo ufficiale e arguto il ritorno a quel mondo simbolico e visionario.
Eseguito quindi per intero con molti dei musicisti che ai tempi presero parte alle registrazioni, la messa in scena è stata una rievocazione viva, una macchina del tempo densa di intuizioni, spettacolo e inquieti parallelismi capace di riaccendere suoni, figure e fantasticherie di un’epoca incredibile della nostra storia.
“Canzoni a Manovella” è infatti un disco che appartiene al Novecento per vocazione e ampiezza. Così, pure sul palco sfilano valzer e marcette che richiamano certe atmosfere verdiane, ma anche scintille e distorsioni del Secolo Breve, come i futuristi e i prototipi, gli aerostati e i palombari, i rulli di Edison e le radio gracchianti, le orchestrine di bordo e i tamburi di guerra.
In questo modo, pianoforte, chitarre, ottoni, archi, grancasse, onde Martenot, corni da caccia, cilindri, turbanti e marchingegni d’altri tempi, hanno trasmesso tutta la febbrile frenesia del periodo, tra meraviglie meccaniche e saloni in disarmo. I coups de canon di “Bardamù” in avvio sono stati il segnale di una nuova era di metallo e vapore, mentre la corsa grottesca di “Decervellamento” ha condotto l’orchestra verso le soluzioni immaginarie di Jarry in un nastro che andava via via riavvolgendosi.
Con “Maraja” si è aperto un orizzonte tra esotismo balcanico e satira sociale e l’evocativa “I pianoforti di Lubecca” o la funesta “Marcia del camposanto” hanno offerto malinconia e ironia, in un’alternanza di oscurità e festa. Ancora, in quel fragore si è annidata la memoria delle ferite mai davvero sanate di “Suona Rosamunda” che, nella sua fanfara un po’ ebbra, si ha rivelato l’incubo della prigionia e della condanna.
La struggente “Solo mia” è stato un momento di accorata sospensione e “I pagliacci” ha assunto una suggestione felliniana accesa tanto dai tocchi cadenzati dei tasti, quanto dalla performance circense dell’artista Nadia Addis.
In ultimo, un richiamo all’ingegno e ai sentimenti, con lo sferragliare dei tram di “Resto qua” seguito da un bis intimo con una chanson dedicata alle amicizie mai davvero perdute, “L’absent”, riadattata in italiano e, infine, l’incedere sghembo de “Il tempo dei regali”, che ha riportato al centro il tema della memoria e della condivisione.
“Gli anniversari mi piacciono” aveva detto Capossela in proposito. “Offrono l’occasione di riprendere in mano un’opera nella sua integrità e di risuonarla con i suoi arrangiamenti originali per restituirla al pubblico così com’era nata.” È quanto è successo al Conservatorio di Milano, con un concerto che ha offerto al pubblico il disco nella sua interezza, rispettandone in pieno lo spirito senza rinunciare a quella dose di tensione e teatralità che da sempre accompagna il poliedrico artista.
In queste “Canzoni a Manovella” c’è il Novecento intero, con la sua meccanica e la sua anima, i suoi congegni e le sue perdite. È un’opera capace di attraversarne tanto gli slanci di modernità quanto le molte ombre, in un viaggio di “ventimila leghe”, tra aerostati, palombari, cannoni e poesia, tra lirismo e follia meccanica. Riportarle in scena significa ricordare che possono farsi documento, palcoscenico e memoria. Più che un anniversario è stato un atto di riconoscenza per un tempo che continua a vibrare. E la manovella, per una sera, ha ripreso a girare.
SETLIST
Bardamù
Polka di Warsava
Decervellamento
Maraja
Canzone a manovella
I pagliacci
Marcia del camposanto
I Pianoforti di Lubecca
Suona Rosamunda
Contratto per Karelias
Intermezzo
Solo mia
Corre il soldato
Signora Luna
Con una rosa
La pioggia
Resto qua
L’absent (cover di Gilbert Bécaud)
Il tempo dei regali