Correndo ad occhi chiusi con Jason Isbell

Jason Isbell è diventato un nome così centrale del rock americano da essere il soggetto di un documentario. E non un documentario musicale qualunque - anche in America se ne producono parecchi, grazie o per colpa delle piattaforme. Ma un titolo per HBO, il marchio di qualità della TV statunitense, il canale de “I soprano”, di “Game of Thrones”. “The last of us” e “Succession”. Si intitola “Running with our eyes closed”, come una delle canzoni di “Reunion”, è diretto da Sam Jones per la serie Music Box, che ha realizzato titoli sul disastro di Woodstock ’99, Alanis Morrissette, Kenny G e DMX. In Italia il titolo non è ancora in distribuzione, e non c’è da stupirsi: di solito i titoli HBO normalmente arrivano su Sky, ma Jason Isbell da noi è un nome di nicchia, tanto da non avere mai suonato nel nostro paese.
Il nuovo simbolo del classic rock
In America invece è una star: i suoi album finiscono regolarmente nelle classifiche di fine anno e in nomination ai Grammy (ne ha vinti 4, finora), i suoi tour sono seguitissimi. E anche sui social è un personaggio molto attivo e seguito: in particolare su Twitter dove discute spesso di politica con posizioni liberal, in netta opposizione alle sue origini nel country e nella rurale Alabama, spostati decisamente più a destra. Il suo ultimo album “Georgia blue” è nato così: aveva promesso su Twitter che se nello stato della Georgia Joe Biden avesse vinto le elezioni presidenziali, avrebbe inciso un raccolta di cover di artisti dello stato. Detto fatto: riletture di R.E.M., Black Crowes, Ray Charles.
In attesa del prossimo album “Weatherwanes”, il documentario si concentra invece sulla storia della realizzazione dell’ultimo disco di inediti “Reunions”, inciso tra il 2019 e il 2020 e uscito in piena pandemia. “Running with our eyes closed” è una delle canzoni centrali del disco: racconta il complesso rapporto con la moglie, la violinista e cantante country Amanda Shires. I due rischiarono il divorzio durante la lavorazione dell’album: è una delle storie centrali del documentario.
Una carriera complessa
L’altra storia è il complicato passato di Isbell: nato da genitori adolescenti (a cui dedicò la stupenda “Children of children” in “Something more than free”), si buttò nella musica fin da bambino per scappare salle tensioni famigliari. Enfant prodige, poco più che 20enne venne arruolato come chitarrista nei Drive-By Truckers, finendo per scrivere poco dopo la title track di “Decoration day” nel 2003. In quel periodo però iniziarono i problemi di alcolismo, che costrinsero il gruppo a cacciarlo nel 2007.
Uscì dalle dipendenze qualche anno dopo quando conobbe la Shires, e da sobrio incise il disco che gli cambiò la vita, “Southeastern” (2013), che lo trasformò in uno dei nomi più importanti del nuovo cantautorato rock americano, un conclamato erede di Tom Petty, Bruce Springsteen e Neil Young. È stato chiamato a scrivere per la colonna sonora di “A star is born”, ha collaborato con David Crosby, passa indifferentemente dal circuito delle jam band e del southern rock al rock più mainstream: in altri tempi, quelli in cui il rock andava in classifica, sarebbe stato una mega-star da milioni di copie.
Uno narratore nato
La capacità di Isbell è quella di scrivere storie tanto specifiche e personali (la sua storia di ragazzo cresciuto nel sud degli Stati Uniti, i genitori divorziati, le difficoltà in una relazione, le dipendenze), quanto universali: è un narratore con una voce unica e un suono che pesca da diverse tradizioni musicali. Il documentario racconta anche il ruolo centrale della sua band, i 400 Unit (nome che deriva dal’unità psichiatrica di un ospedale in Alabama), il corrispettivo della E Street Band o degli Heartbreakers per Isbell. Un documentario non perfetto, che forse in alcune parti indugia più sulle tensioni famigliari che sulla musica, ma un’occasione per (ri)scoprire un grande nome del rock americano.