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«SONGS OF SURRENDER - U2» la recensione di Rockol

Le canzoni della resa e dell'esperienza degli U2

"Songs of surrender": le motivazioni della raccolta "Unplugged", a partire dalla storia di "Bad"

Recensione del 17 mar 2023 a cura di Gianni Sibilla

Voto 7/10

La recensione

C’è un passaggio di “Surrender”, l’autobiografia di Bono, che spiega (in)direttamente le motivazioni di “Songs of surrender”, la raccolta “unplugged” degli U2, con 40 canzoni rilette e modificate.

"This a song of surrender": "Bad" e il nuovo album

Nel  capitolo 13, Bono racconta la nascita della collaborazione con Brian Eno e come nacque "Bad", canzone che, nelle intenzioni di Bono, voleva  unire la poetica metropolitana di Lou Reed con l’intensità di Van Morrison. Sarebbe diventato uno dei brani più amati degli U2, ma rischiò di non di entrare in “The Unforgettable fire”: per Bono era incompiuta, “piena di lacune” o addirittura non all’altezza. “Fortunatamente, a Brian Eno, piacciono le cose incompiute”, racconta Bono: il produttore insistette e vinse le resistenze della band. La  versione definitiva della canzone non è quella dell'album, ma quella di “Wide awake in America”, EP dell’85: "Bad", dal vivo veniva dilatata, spesso inserendo citazioni e frammenti di altri brani: c’è chi le ha catalogate tutte - un po’ come si fa con i brani dei Grateful Dead o di Springsteen.

Nella "Bad" di “Songs of surrender” l’arrangiamento vede chitarra (l’immortale arpeggio di The Edge) accompagnato dal violoncello, che rimanda alla versione di studio. Bono cambia (completa?) il testo, portandolo tutto in prima persona: il primo verso diventa “If I turn and twist away”; viene aggiunto un bridge (“You can have it all if you give it all away”), "To let it go and to fade away” diventa “To let it go and so not to fade away". Mentre “Surrender, dislocate”, diventa “Surrender, this is a song of surrender”.“Bad” è, di fatto, la title track della raccolta.
Per gli U2 è il completamento di una storia iniziata 40 anni fa. Le canzoni di questa raccolta sono storie a cui è stato aggiunto un nuovo capitolo, che ci fa leggere in prospettiva diversa il resto del racconto.

Originali vs. nuovi

In queste settimane ho letto qualche fan lamentarsi di questa uscita: qualcuno avrebbe preferito un nuovo album (comprensibile), mentre qualcuna altro sosteneva che i classici sono intoccabili. Ma questi ultimi mancano il punto: le canzoni sono oggetti vivi, dinamici. Di certo non intoccabili: cantanti e band le riscrivono e le reinterpretano continuamente, sul palco e spesso anche in studio, cercando un equilibrio tra l’originale e il presente.  Qua gli U2 si allontanano si sbilanciano volutamente sul presente: queste sono le vere “Songs of experience”, meno urgenti, più riflessive, rilette con la saggezza dell’età attuale.

“Bad” funziona, nella nuova versione? Continuerò sempre a preferire l’originale - che ha segnato molti momenti della mia vita, come le canzoni con cui sono/siamo cresciuti. Ma mi piace l’approccio di questa canzone e della raccolta in generale: Edge è il protagonista vero, l’ideatore degli arrangiamenti, mentre Bono ha trovato un’altra chiave per interpretare, quasi da crooner, da cantante confidenziale. Molti si soffermano e si soffermeranno sulle modifiche dei testi (nei prossimi giorni Rockol farà un track by track più dettagliato), ma la cosa più interessante di Bono mi sembra il modo in cui usa la voce, cercando nuove sfumature.

Cosa funziona (e cosa meno)

Le mie versioni, preferite, finora: l’eterea versione di “Where the streets have no name”, la riscoperta di “Dirty day”, il pathos di “Red hill mining town”, “All I want is you” e “The little things you give away", il blues di “The fly”, il ritmo di “Two hearts beat as one”.
Queste canzoni hanno in comune di essere sono riscritture importanti, spesso drastiche dal punto di vista sonoro (magari con l’intervento del violoncello di Hauser), con performance vocali di Bono particolarmente ispirate.

In “Songs of surrender” avrei preferito una presenza più marcata di Larry e Adam (che sono accreditati in ogni canzone, ma non sembre contribuiscono in maniera riconoscibile); probabilmente avrei evitato qualche canzone minore o recente (“Miracle drug”, “Electrical storm”) e anche qualche rilettura troppo semplicemente acustica, magari a favore di qualche pezzo in più da “October” o da  “Pop”; mi spiace che non ci sia neanche un pezzo da “No Line on the Horizon”, un album che apprezzo molto più di “How to dismantle an atomic bomb” (4 pezzi…). 

Ma in un progetto di questo genere è fin troppo facile dire cosa manca. Quello che c'è: la storia di una grande band tra passato presente e futuro. Forse, il vero difetto è che alla fine 40 brani sono davvero tanti: ma sono gli U2, fanno sempre le cose in grande, non si smentiscono.

“Songs of surrender” va preso per quello che è: sia una raccolta, sia un album semi-acustico, sia la volontà degli U2 di completare e rileggere canzoni che hanno fatto una lunga strada, con loro e con noi. Non sono solo "Songs of surrender",  ma sono le canzoni dell’esperienza degli U2.

Tracklist

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