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«THE CAR - Arctic Monkeys» la recensione di Rockol

“The car”: la nuova eleganza degli Arctic Monkeys

L’animo rétro della band rimane in primo piano, tra pianoforte, archi e qualche (poche) chitarra

Recensione del 20 ott 2022 a cura di Elena Palmieri

Voto 8/10

La recensione

Pianoforte e tastiere, sezioni di archi, percussioni jazz, incursioni del basso, enfasi orchestrali: sono questi gli elementi su cui si costruisce in gran parte “The Car”, il nuovo attesissimo album in studio degli Arctic Monkeys. Per il suo settimo disco, la formazione britannica si è presa la libertà di non tornare alla forma che molti fan avrebbero preferito, dopo la trasformazione spiazzante, e non apprezzata da tutto il pubblico, di quattro anni fa con “Tranquility Base Hotel + Casino”. Come già rivelato dai primi tre singoli, “There’d better be a mirrorball”, “Body paint” e “I ain’t quite where I think I am”, la band di Sheffield ha deciso di continuare a viaggiare attraverso la malinconia su binari simili, senza quindi disorientare e senza recuperare le ritmiche più irresistibili o le chitarre più incisive dei lavori passati. “The Car” non tradisce l’animo rétro degli Arctic Monkeys, che nel nuovo album però riescono a tendere verso la contemporaneità e a non perdersi in immaginazioni fantascientifiche (“Con questo disco la fantascienza non c’entra: siamo tornati sulla terra”, aveva assicurato Alex Turner all’annuncio), rivelando una nuova eleganza stilistica.

Cosa ci si dovrebbe aspettare dagli Arctic Monkeys?

Era aprile 2019 quando gli Arctic Monkeys comunicavano di prendersi una pausa dalle attività dal vivo dopo il tour a supporto di “Tranquility Base Hotel + Casino”, uscito l’anno precedente. Il disco era arrivato cinque anni dopo "AM" del 2013, ormai uno degli album simbolo e di maggior successo della formazione britannica con singoli già dei classici come “I wanna be yours” e “R? U mine”. E aveva spiazzato non poco per le sue sonorità malinconiche immerse in un’atmosfera da jazz bar, distaccandosi bruscamente dal mondo sonoro in cui, fino a quel momento, la band sembrava aver maturato, evoluto e conquistato la propria dimensione (e il pubblico). Mentre il gruppo si rintanava nel solito silenzio stampa che caratterizza i suoi periodi lontani dalle scene, nei fan cresceva quindi la curiosità su cosa aspettarsi e quanto tempo attendere prima di ascoltare nuova musica della band. Una pandemia e qualche indiscrezione dopo, le risposte a quelle domande sono iniziate ad arrivare con i primi show in tre anni nell’estate 2022 e le anticipazioni di “The car”. Gli Arctic Monkeys hanno subito fatto capire di essersi spinti ancora una volta lontani dalla frenesia e dal gusto “garage punk” e “indie rock” del passato, ma anche di non aver intrapreso la stessa avventura sci-fi di quattro anni fa. Le chitarre di “Do I wanna know?” o addirittura di “When the sun goes down”, la batteria inarrestabile e gli impeti degli esordi, sono un ricordo lontano nel nuovo album, in arrivo il 21 ottobre. L’animo e l’audacia tipiche di Alex Turner e compagni rimangono comunque intatti nella loro essenza in “The car”, dove il tratto distintivo della band si rivela attraverso le frasi lunghe e intricate dei testi delle canzoni, le affermazioni enigmatiche nel cantante, l’attenzione verso la propria estetica e immagine. “So do you wanna walk me to the car? / I’m sure to have a heavy heart / So can we please be absolutely sure / That there's a mirrorball for me?”, dichiara il frontman del gruppo nella traccia che apre il suo settimo lavoro, introducendone l’atmosfera sommessa, le tendenze cinematografiche e gli umori intricati.

Con i piedi ben piantati al suolo, con questo disco la band raggiunge un’ulteriore maturità che risponde all’evoluzione a cui ha da sempre puntato. “Whatever people say I am, that's what I'm not”, recitava il titolo scelto dagli Arctic Monkeys per il loro primo album, pubblicato nel 2006, per poi rivelarsi in seguito una sorta di indicazione dell’impeto creativo del gruppo, da sempre attaccato al desiderio di andare contro le aspettative musicali per non ripetere quanto fatto in precedenza. Alex Turner e compagni non sono più i ragazzini persi dietro alla tipa con le Reebook o le Converse di “A certain romance” da molti anni, si sono già spostati verso sonorità psichedeliche con “Humbug” o l’essenzialità di “Suck it and see”, per arrivare alla completezza di “AM” e al cambiamento decisivo di “Tranquility Base Hotel + Casino”. “The car”, registrato con il produttore abituale della band James Ford tra Butley Priory, un ex-monastero nel Suffolk britannico, i RAK Studios di Londra e La Frette a Parigi, mette quindi ancora una volta in dubbio cosa ci si dovrebbe aspettare dagli Arctic Monkeys con il loro nuovo rinnovamento di stile e atteggiamento.

L’eleganza dall’animo retro degli Arctic Monkeys

“I just wanted to be one of The Strokes / Now look at the mess you made me make”, scherzava Alex Turner nei primi versi di “Star treatment”, che apriva “Tranquillity Base Hotel + Casino” e accompagnava l’ascoltatore verso ciò che non si sarebbe aspettato dalla band dopo “AM”. Ora, con “The car”, gli Arctic Monkeys recuperano e stravolgono ancora le proprie personalità con un lavoro che supera il precedente nella sua raffinatezza compositiva e nei nuovi orizzonti sonori che raggiunge, pur non superando certe vette stilistiche raggiunte dal gruppo nel corso dalla sua carriera. L’atteggiamento che caratterizza i quattro musicisti inglesi recupera lo spirito di diverse epoche passate, toccando gli anni Settanta con gli archi e i cori di “Body paint”, o guardando agli anni Ottanta per i riff di chitarra di un brano dalla ritmica fantasiosa come “Hello you”, pescando anche immagini dai Sessanta grazie alla chitarra wah-wah di “Jet Skis On The Moat” o alla tensione cinematografica creata dall’orchestra di “Big ideas”.

La scrittura di Alex Turner si fa addirittura più profonda e contemplativa nel nuovo album, mentre la sua voce è più matura nel raccontare riflessioni sulla propria realtà, sul mondo dello spettacolo (“the business they call show”) e di conseguenza sulla propria carriera e band, senza però le tendenze dell’altro suo progetto, i Last Shadow Puppets. Il carisma e il comportamento spavaldo del frontman non oscurano le altre personalità della band che, con la batteria di Matt Helders, la chitarra ruffiana, accondiscendente e precisa di Jamie Cook, e il basso di Nick O’Malley, tessono e colorano il tappeto sonoro di “The car”. “Sculptures Of Anything Goes” regala uno dei momenti più interessanti e curiosi del disco con la sua solennità sorretta da sintetizzatori e una ritmica elettronica oscura, mentre gli arpeggi e i tocchi di pianoforte della title track enfatizzano l’idea di viaggio. Con le conclusive “Mr Schwartz” e “Perfect Sense” la dimensione orchestrale si apre maggiormente e la band accentua il carattere affascinante del suo nuovo album, un lavoro realizzato con attenzione e precisione, da ascoltare bevendo una bottiglia di vino rosso o un bourbon liscio piuttosto che della birra a una festa, oppure dal mangiacassette su una Toyota Corolla come nella fotografia della copertina del disco realizzata da Helders.

Tracklist

01. There’d Better Be a Mirrorball (04:25)
02. I Ain’t Quite Where I Think I Am (03:11)
03. Sculptures of Anything Goes (03:59)
04. Jet Skis on the Moat (03:18)
05. Body Paint (04:51)
06. The Car (03:19)
07. Big Ideas (03:58)
08. Hello You (04:05)
09. Mr Schwartz (03:30)
10. Perfect Sense (02:47)
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