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I 10 migliori batteristi della storia del prog

I "signori del tempo" che hanno reso questo genere ancora più speciale
I 10 migliori batteristi della storia del prog

Il progressive è un genere complesso. Lo è volutamente, perché è nella complessità che trova la sua massima espressione. Lo sanno bene i batteristi, che hanno l'obbligo di sapersi orientare nella giungla delle poliritmie. In un'ipotetica classifica dei migliori batteristi della storia del prog, dunque, l'abilità tecnica è senza dubbio un criterio di giudizio fondamentale... ma non l'unico. Ecco i nostri dieci signori del tempo preferiti.  

10. Marco Minnemann

Dove lo metti, sta. E ti stupisce. Trent'anni di carriera accanto a nomi enormi: Alex Lifeson, Steven Wilson, Nick Beggs, Tony Levin, Roine Stolt, Jonas Reingold e Joe Satriani. Più una breve militanza nel gruppo death metal (!) Necrophagist a testimoniare la sua versatilità. Marco Minnemann riesce a essere eclettico e riconoscibile allo stesso tempo, a fondere jazz, metal e funk e ha un controllo assoluto del tempo e del corpo. I suoi lavori con gli Aristocrats sono da studiare a scuola.

9. Phil Collins

Un nome che in questa lista non può mancare e che non ha bisogno di presentazioni. Il batterista che ha scandito il tempo d'oro dei Genesis, dalla velocità e dalla tecnica di "Nursery Cryme" fino al synth-pop degli anni Ottanta. Dire "batteria negli anni Ottanta" è come dire Phil Collins. È a lui che dobbiamo il "gated reverb", quel suono artificiale, quasi spaziale tipico del periodo e particolarmente evidente nella sua “In the Air Tonight”. 

8. Nick D'Virgilio

Si è fatto notare con gli Spock’s Beard, il grande gruppo prog fondato dai fratelli Neal & Alan Morse: dieci anni di equilibrio tra emozione e tecnica. Versatile e con un grande senso della melodia (sa anche cantare e comporre), Nick D'Virgilio fa ora magie con i Big Big Train, tra i più apprezzati gruppi del prog contemporaneo. I più scettici trovano qui sotto una sua performance di quasi 18 minuti che farà loro cambiare idea.

7. Mike Portnoy

Come si fa a non inserirlo in classifica? Mike Portnoy è una delle colonne portanti del prog metal. Tratti distintivi sulla carta d'identità? La precisione e la capacità di passare da tempi dispari a blast beat in un attimo. Dare del tu al doppio pedale è la sua specialità. E guai a sottovalutare la sua visione compositiva, tra metal, jazz e prog classico. La "Dance of Eternity" con i Dream Theater dovrebbe essere oggetto di culto per chiunque ami impugnare le bacchette.

6. Gavin Harrison

Gavin Harrison rappresenta l’evoluzione moderna della batteria progressiva. Il suo approccio è basato sulla precisione estrema (non suoni con i Porcupine Tree, i King Crimson e i Pineapple Thief, se non sei un maniaco della precisione), sulle poliritmie e sul controllo impeccabile del suono. Nei Porcupine ha portato la batteria a un livello di raffinatezza assoluto, fondendo rigore tecnico e sensibilità; nei Crimson ha proseguito il lavoro di Bill Bruford e Pat Mastelotto, creando dialoghi ritmici complessi e fluidi. Harrison è anche un grande teorico del ritmo e un educatore, autore di libri e video didattici fondamentali per comprendere l’arte della batteria contemporanea. Maestro.

5. Nick Mason

Spesso sottovalutato quanto Ringo Starr, Nick Mason ha l'unica colpa di non essere ipertecnico come la maggior parte dei batteristi prog. Mason ha sempre privilegiato l’essenzialità. Le sue parti non cercano mai di dominare la canzone, ma di sostenerla in equilibrio tra precisione e atmosfera. La sua forza è nella dinamica, nel controllo dei volumi e nel modo in cui lascia “respirare” ogni battuta, contribuendo all’ipnosi sonora tipica dei Pink Floyd. La sua è una batteria psichedelica, che usa pattern lenti, rullate soffuse e un tocco morbido. Negli ultimi anni, con il progetto Saucerful of Secrets, ha recuperato lo spirito sperimentale degli esordi, confermando il suo ruolo di batterista "atmosferico". E l'atmosfera che creò a Pompei nel 1971, soprattutto in "Set The Controls For The Heart Of The Sun", è una magia che non si può imparare: devi avercela dentro.

4. Carl Palmer

I Cream hanno fatto scuola: quando grandi musicisti provenienti da band diverse uniscono le forze, nascono quelle forze della natura che sono i supergruppi. Come Clapton-Baker-Bruce nel rock, il power trio composto da Emerson, Lake & Palmer ha fatto la storia del prog. Carl Palmer ha portato il virtuosismo classico nel rock progressivo. La sua tecnica travolgente, la rapidità delle mani e il gusto per la spettacolarità hanno reso i concerti degli ELP leggendari. Palmer ha fuso l’energia del rock con la disciplina della musica sinfonica, suonando spesso con timpani, gong e batterie di dimensioni orchestrali. Il suo stile è diretto ma allo stesso tempo estremamente articolato, capace di passare da marce militari a passaggi jazzati.

3. Bill Bruford

Bill Bruford è il batterista intellettuale per eccellenza del progressive rock. Formatosi su basi jazz, ha portato nella musica rock un senso dell’irregolarità che rompeva gli schemi del tempo. Negli Yes ha creato architetture ritmiche cristalline, mentre nei King Crimson ha esplorato territori più sperimentali, anche improvvisando. Bruford è stato anche un pioniere nell’uso delle percussioni elettroniche e nella fusione tra jazz e rock, soprattutto nei suoi progetti solisti e con gli Earthworks. Sotto le sue bacchette, la batteria diventa un cervello pensante.

2. Danny Carey

Danny Carey non è un batterista: è un ingegnere. Ma un ingegnere spirituale: nei suoi groove coesistono calcoli matematici e simbolismo, poliritmie e influenze etniche. Con i Tool costruisce veri e propri labirinti ritmici, giocando con tempi irregolari e modulazioni metriche. La sua batteria diventa spesso la spina dorsale dei brani, sostenendo le complesse strutture del gruppo. Carey utilizza un vasto arsenale di percussioni, sintetizzatori e strumenti personalizzati che uniscono tecnologia e tradizione. È un batterista tanto tecnico quanto filosofico, simbolo del prog più mistico e introspettivo. Mike Portnoy, il numero sei della nostra classifica, ha impiegato quasi tre ore per decifrare (e provare a replicare) la partitura di Carey in "Pneuma". Perché quelle di Carey non sono partiture: sono teorie di matematica pura. Un visionario.

1. Neil Peart

È universalmente considerato - a ragione - uno dei più grandi batteristi della storia del rock. Dotato di una tecnica ineccepibile e di una mente compositiva, Neil Peart ha costruito la sua fama orchestrando la batteria come un insieme di strumenti melodici. Ogni pezzo dei Rush porta la sua impronta, fatta di pattern intricati, poliritmie e cambi di tempo perfettamente bilanciati. Oltre all’aspetto tecnico, Peart era anche un artista concettuale, autore dei testi della band, spesso ispirati alla filosofia, alla fantascienza e all’individualismo. La sua influenza sul drumming prog e metal è incalcolabile. "Neil Peart aveva le mani di Dio. Fine della storia" disse una volta Taylor Hawkins, il compianto batterista dei Foo Fighters. Come dargli torto.

Menzioni speciali: Terry Bozzio e Pat Mastelotto. Terry Bozzio è uno dei batteristi più virtuosistici e teatrali della storia del rock e del prog. Ha iniziato con Frank Zappa negli anni ’70, imparando a leggere e a suonare partiture ritmiche complesse e in tempi assurdi (del resto, per stare dietro al genio di Zappa, ci vuole un altro genio). Il suo stile è al confine tra percussione orchestrale e performance solista, tra poliritmie estreme e gestualità spettacolare davanti a set di batteria mastodontici. Un mito. Pat Mastelotto è un innovatore silenzioso, capace di unire il rock, l’elettronica e la sperimentazione in un linguaggio unico: il suo approccio “ibrido” combina batteria acustica, trigger, campionamenti e loop. Dai Crimson di Robert Fripp agli Stick Men di Tony Levin, Mastelotto sa sempre come lasciare il segno.

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