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La battaglia solista tra i fratelli Gallagher l'ha vinta Liam

Oggi l'ex cantante degli Oasis compie 50 anni
La battaglia solista tra i fratelli Gallagher l'ha vinta Liam

Nell'estate del 2009 un violento litigio tra Liam e Noel Gallagher portò allo scioglimento degli Oasis. Orfani della band, i due fratelli nati a Manchester - il cantante il 21 settembre 1972 (oggi compie 50 anni), il chitarrista il 29 maggio 1967 – si sono messi in proprio ed hanno avviato la carriera solista. In realtà Liam, prima di firmare musica con il suo nome, nel 2010, ha dato vita ai Beady Eye che hanno pubblicato due album, "Different Gear, Still Speeding" e "BE" (2013), prima di sciogliersi a loro volta nel 2014; mentre Noel ha fatto uscire tre dischi (più alcuni EP) con la sigla Noel Gallagher's High Flying Birds: "Noel Gallagher's High Flying Birds" (2011), "Chasing Yesterday" (2015), "Who Built the Moon?" (2017) più i tre EP "Black star dancing" (2019), "This is the place" (2019), "Blue moon rising" (2020).

I rapporti tra i due non sono certo migliorati da quando hanno chiuso il gruppo che avevano fondato, negli ultimi tredici anni non hanno infatti mancato di prendersi in giro ed insultarsi l'un l'altro più o meno pesantemente, lasciando poche speranze a quanti (e sono moltissimi) vorrebbero rivedere gli Oasis nuovamente insieme su un palco come ai tempi d'oro del Brit-pop, laggiù negli anni Novanta.

Proprio per questi motivi lo scorso anno stupì parecchio una intervista rilasciata da Noel Gallagher dove ammetteva (numeri alla mano, carta canta) che il fratello Liam sta avendo una carriera solista di maggiore successo rispetto alla sua: "Sta facendo concerti enormi, vende più dischi di me e vende più biglietti di me".

Per festeggiare il mezzo secolo di vita di Liam Gallagher, rileggiamoci la recensione del suo ultimo album solista, il terzo, "C'mon you know" che abbiamo pubblicato al tempo della sua uscita lo scorso mese di maggio. Che seguito "As You Were" (2017) e "Why Me? Why Not" (2019). Tutti e tre gli album solisti di Liam Gallagher in Gran Bretagna hanno raggiunto il primo posto della classifica di vendita.

“I’ll admit that I was angry for too long”, “Ammetto che sono stato arrabbiato per troppo tempo”: è ad un coro di voci bianche, all’inizio di “More power”, il brano stile “You can’t always get what you want” dei Rolling Stones che apre il suo nuovo disco, che Liam Gallagher affida il racconto del suo riscatto personale, se così vogliamo chiamarlo.

Svolta zen, per l’ex cantante degli Oasis? Certo che no: basta ascoltare uno dopo l’altro gli altri pezzi che compongono “C’mon you know”, terzo album da solista del più piccolo dei fratelli Gallagher dopo l’esperienza post-Oasis dei Beady Eye. Liam non rinuncia alla sua rock attitude, alla sua personalità tagliente, ma è come se, in questa fase della sua vita (alle porte dei cinquant’anni – li compirà a settembre), volesse fare pace con il mondo: “So let’s start living, be thankful and give in / we’re only here for a short while”, canta nella title track.

È un’ode alla vita, questo “C’mon you know”, che arriva a tre anni dal precedente “Why me? Why not” ed è attesissimo dai vecchi fan degli Oasis e da quelli di Liam Gallagher, che lo ha annunciato addirittura lo scorso ottobre, svelandone subito anche la copertina (bellissima: è una foto scattata sotto il palco di uno dei suoi concerti, con Liam che si confonde tra i ragazzi del pubblico).

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Il rocker britannico archivia rabbia e frustrazione e racconta la sua maturità, aiutato nella composizione dei brani da autori e produttori come Andrew Wyatt, l’ex leader dei Cherry Ghost Simon Aldred, Ezra Koenig dei Vampire Weekend, Anthony Rossomando e addirittura la svedese Tove Lo, già al fianco di popstar come Ellie Goulding, Katy Perry e Demi Lovato (co-firma “Better days”). L’ispirazione comincia a mancare? Forse. Ma c’è da dire che Liam Gallagher non è mai stato un vero e proprio autore di canzoni (le hit degli Oasis, come noto, portano tutte la firma di Noel), e qui si affida ad alcune delle firme più interessanti della scena rock contemporanea.

La squadra che lo ha affiancato in studio di registrazione è la stessa di “As you were” e “Why me? Why not”: oltre allo stesso Wyatt ne fa parte anche Greg Kurstin, già collaboratore di Adele, Paul McCartney e Foo Fighters (a proposito, in “Everything’s electric” c’è lo zampino di Dave Grohl, che suona naturalmente anche la batteria). Aveva anticipato che sarebbe stato un album più sperimentale rispetto ai due precedenti e l’ascolto lo conferma: è una raccolta di pezzi rock miscelati con altri generi musicali, dal blues all’elettronica (in “I’m free” ad un certo punto compare pure una cassa in quattro), e una manciata di ballate. Non mancano riferimenti ai suoi miti di sempre. “Oh sweet children” strizza l’occhio al John Lennon del periodo “Mind games”. “Better days” cita esplicitamente “Tomorrow never knows” dei Beatles, che tornano anche in “World’s in need” (con un mezzo riferimento a “Within you without you”).

E se dev’essere davvero un album per fare pace con il mondo, allora non può mancare un riferimento al fratello-coltello Noel. Liam lo cita – senza chiamarlo per nome – nell’ultima canzone del disco, “Wave”: “My brother don’t like me, he’s said it before”. Della serie: ce ne faremo una ragione.

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