Steve Winwood in Italia: 'Addio al cd, le prossime canzoni le metto su iTunes'

C’è ancora tempo, forse, per segnalare a Steve Winwood la canzone che si vorrebbe ascoltare in uno dei suoi prossimi concerti: l’ex ragazzo prodigio del rock inglese con la voce da soul man purosangue è in partenza per un tour europeo (il 2 ottobre al Teatro degli Arcimboldi di Milano, il 3 all’Auditorium Parco della Musica di Roma) con un nuovo quartetto che include un batterista italiano, Davide Giovannini, e tramite il suo sito invita i fan a suggerirgli pezzi da includere nella setlist. “In verità è un’arma a doppio taglio”, spiega al telefono dal suo studio di registrazione immerso nelle Cotswolds, profonda campagna inglese. “Avendo quarant’anni di carriera sulle spalle è logico che non posso stipare in un unico show tutto quello che mi viene richiesto. Inevitabilmente, qualcuno sarà un po’ deluso. Comunque è un esperimento divertente e interessante, tengo nota dei suggerimenti e delle proposte. Perciò potete aspettarvi qualche sorpresa, in scaletta: come al solito mischierò le canzoni del nuovo millennio, quelle di ‘Nine lives’ e di ‘About time’ con il mio vecchio repertorio solista degli anni ’80 e ‘90, i Traffic con lo Spencer Davis Group di inizi, metà anni ’60”.
Un po’ come accade in “Revolutions”, il box set antologico uscito quest’anno per Universal (“Fortunatamente abbiamo risolto molte delle nostre divergenze e ho collaborato volentieri alla realizzazione del cofanetto”, spiega Steve) che è anche l’occasione per fare un bilancio: come sintetizzerebbe la sua carriera, mr. Winwood? “Oddio, non so proprio come rispondere a una domanda del genere. Diciamo che l’unica risposta che posso dare è questa: venite a vedermi suonare in Italia, la sintesi della mia carriera la troverete nelle due ore di concerto. Ho avuto la fortuna di suonare con tanti grandi musicisti…Da Jimi Hendrix al grande jazzista Eddie Harris, da John Martyn a George Harrison, da Lou Reed a Eric Clapton. Da tutti ho imparato molto. E oggi, che ho sessantadue anni, continuo a imparare.” Con Clapton ha ripreso anche quest’anno a suonare in tour, rinverdendo un sodalizio che risale ai Sixties: non si sentì tradito, quando il chitarrista abbandonò di punto in bianco i Blind Faith? “Ho letto quello che Eric ha dichiarato alla stampa, a proposito, e lo ha ripetuto anche a me. Ma sinceramente non credo debba farsene una colpa, se allora il gruppo si sciolse. Eravamo tutti alla ricerca di qualcosa e incerti sul da farsi, non credo che all’epoca i Blind Faith fossero il veicolo giusto di espressione né per lui né per me. Da allora Eric è cambiato molto: è diventato un ottimo cantante e un bandleader. Mentre nei Blind Faith non cantava e lasciava a me il compito di guidare il gruppo”. Il 2010 ha visto Winwood condividere il palco con un altro mostro sacro della sua generazione, Carlos Santana. Qual è il punto di contatto? “Ovviamente Carlos è un grande musicista, e una gran persona. Trovo geniale quel che ha fatto negli anni ’60, mischiare il rock alla musica latina: ne scaturì qualcosa di magico, di molto ispirato. E lo fa ancora oggi, aggiungendo altri ingredienti… Lo sento vicino perché con i Traffic ho cercato di fare qualcosa di simile, provando sostanzialmente a combinare il rock con il folk e il jazz, con un pizzico di latino e di musica orientale. In un certo senso siamo sempre stati sulla stessa lunghezza d’onda. E io stesso continuo a seguire quella strada. Nel mio ultimo album di studio, ‘Nine lives’, c’erano ritmi caraibici, sequenze di accordi di impronta brasiliana, melodie celtiche combinate alla mia voce inconfondibilmente inglese. La cosiddetta world music, che ai tempi dei Traffic non si chiamava così, mi interessa ancora molto”.
A quando un nuovo disco? “Sto scrivendo qualcosa, raccogliendo un po’ di idee. Ma onestamente non sento il bisogno di fare un altro album, un nuovo cd. Penso piuttosto di mettere delle canzoni in vendita su iTunes man mano che le registro. E’ in corso una rivoluzione industriale, nel music business. E’ normale cambiare prospettiva”.