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Non è il caso di avere paura del 'Reverendo': ecco perché....

Anche quando deve incontrare i giornalisti, Brian Warner non rinuncia a indossare l'elaborata maschera di Marilyn Manson. Dietro al pesantissimo make-up e le lenti a contatto colorate c'è comunque un uomo di spettacolo che sa bene come controllare la sua messinscena. Non è difficile vedere un po' di megalomania nelle sue parole (a volte sembra convinto di combattere da solo contro il conservatorismo americano) e nei riferimenti artistici e culturali che tira in ballo per raccontare il nuovo album "The golden age of grotesque", ma in fondo si tratta di un vizio comprensibile per una rockstar. Se qualcuno si ricorda il Bowie del periodo Ziggy Stardust o Alice Cooper nei suoi anni ruggenti, non è difficile trovare delle analogie. Insomma, non è proprio il caso di avere paura del "reverendo Manson".

Nei testi parli di ribellione senza causa, ma in questi ultimi anni il mondo giovanile sembra avere trovato dei motivi forti per ribellarsi. Un esempio può essere il movimento no global. Non pensi che l'immagine di una società senza valori sia datata?
Gran parte del materiale che ho scritto per i miei dischi è basato su quello che vedo accadere soprattutto in America, in ambito religioso e politico. Penso che il mio lavoro di artista debba essere quello di sfidare tutto questo, quindi ho spesso fatto dichiarazioni forti in questo senso. In questo album ho preferito concentrare la mia politica e la mia religione nella musica ed è questo l'ambito in cui le rivoluzioni esistono. Non credo che la mia musica sia rivoluzionaria, se non nel senso che io scrivo di quello che rivoluziona me stesso e quello che faccio può avere lo stesso effetto su altri.

I testi dei tuoi brani sono spesso polemici. Non hai mai considerato la possibilità di un approccio più propositivo alla soluzione di certi problemi?
Nei tre album precedenti ho lanciato molte sfide, non solo a quello che vedevo accadere nel mondo ma anche a me stesso. Ho cercato di dire al pubblico che è importante combattere per quello in cui si crede e penso che con quei tre dischi si sia chiuso un capitolo della mia vita. In questo album per la prima volta parlo di quello in cui credo e per cui mi batto. Non ho soluzioni da offrire, semmai posso indicare una direzione. La gente deve trovare da sola le soluzioni.

In "Use your fist and not your mouth" ci sono allusioni alla Casa Bianca ("I'll wipe the white of your house") e ti dichiari impegnato in una campagna elettorale. Si può considerare una canzone politica in qualche misura?
Ho cominciato a scrivere questo album quando non c'era la guerra ma gran parte dell'ispirazione mi è venuta dal fatto che sono americano ma vengo spesso attaccato dal mio paese. Questo non significa che io sia antipatriottico. Se l'America entra in guerra, non sono nella posizione per poter dire se sia una decisione sensata. Ma se ci battiamo per la democrazia, come artista penso di dover esprimere la mia opinione. Credo che negli Stati Uniti in questo momento sia molto importante battersi per il diritto di espressione. Mi sono molto ispirato agli anni '30, quando sono accadute molte cose che hanno trasformato l'arte e Hollywood ne è rimasta influenzata. "Use your fist and not your mouth" è ispirata a quel periodo e l'idea di base era quella di scrivere una canzone sarcastica sulla classica distinzione americana fra "colletti blu" e "colletti bianchi". Quindi, ho scritto una canzone dei "colletti neri" in senso sarcastico. Il brano si presta però a venire interpretata in modo diverso adesso che la situazione in America è cambiata e penso che sia una gran cosa quando l'arte si evolve in sintonia con ciò che la circonda.

Hai un'opinione sulla guerra contro l'Iraq?
E' uguale alle altre guerre. L'uomo ha un istinto naturale a distruggere se stesso e gli altri. E' difficile essere obiettivo per me, visto che vengo spesso descritto come antipatriottico, come dicevo prima. La cosa più patriottica che posso fare è essere me stesso. "The golden age of grotesque" mi sembra perfetto per questo periodo. Se posso offrire qualcosa che può servire alla gente come un momento di fuga e che può spingere a pensare in modo diverso, ho fatto il mio lavoro.

Ti presenti con un aspetto che ricorda sia "Arancia meccanica" sia il cabaret berlinese e fai riferimenti agli anni '30, non solo americani. Usi questo tipo di immagine perché pensi che ci troviamo alla vigilia un nuovo olocausto o di un evento catastrofico?
E' facile per molti guardare all'America e fare paragoni con il fascismo ma credo che non sia corretto, soprattutto nei confronti di chi ha vissuto sotto quel tipo di dittatura e ha sofferto. Vivere in America non è affatto la stessa cosa. Penso che il mio compito di artista sia quello di insistere sul diritto di espressione e non permettere che un paese che promuove la democrazia abbia poi una censura così forte. Dopo la mia intervista nel film "Bowling for Columbine" ho avuto molte più possibilità di sottolineare quanto sia stupida l'idea che la violenza sia incoraggiata dallo spettacolo. Per fortuna, la libertà di parola in America non è stata abolita, così il mio lavoro è cercare di allargarne i confini.

Pensi che il film abbia contribuito a cambiare il modo in cui il pubblico americano ti considera? E cosa ne pensi delle dichiarazioni di Michael Moore durante la cerimonia degli Oscar?
Penso che sia un lavoro molto importante. Non sono del tutto d'accordo con il contenuto del film, che esprime posizioni politiche molto forti. Ad esempio, si potrebbe osservare che l'attacco a Charlton Heston è, da una posizione diversa, qualcosa di simile agli attacchi subiti da me. Ma il fatto stesso che io, pur partecipando al film, abbia qualche obiezione è per me un indice della grandezza del lavoro, perché spinge la gente a discutere e a riconsiderare le proprie opinioni. Quanto alla cerimonia degli Oscar, non mi è piaciuto molto il fatto che Moore abbia in un certo senso cercato di giustificare la sua opera. Credo che un artista non debba mai farlo, semmai devono essere le tue opere a spiegare quello che sei.

Però i punti di contatto con Moore sembrano comunque forti. Ad esempio in "Holy wood" e nei tuoi concerti c'erano riferimenti all'uso delle armi.
Sì. E questo vale per il concetto stesso che sta alla base del nome Marilyn Manson e di quello che faccio. Posso essere americano e allo stesso tempo evidenziare il fatto che a volte gli aspetti più odiosi dell'America possono essere quelli che ne fanno un grande paese. Per questo è importante che io sia un artista americano: l'America ha bisogno di me tanto quanto mi odia.

In "Better of two evils" parli di "paparazzinazis". Hai avuto rapporti tesi con la stampa scandalistica?
In questo album uso molte espressioni inventate e mi sembrava interessante fare qualcosa che potesse essere compreso in un modo simile ai film muti, scrivere canzoni comprensibili anche a chi non conosce l'inglese. "Better of two evils" è un mio commento sui media. Trovo ironico che l'America ami odiarmi e ami trovare personaggi come me da etichettare come "arte degenerata", come accadeva agli artisti della Berlino degli anni '30. Il testo non è da prendere in senso letterale, è soprattutto un tentativo di creare immagini attraverso le parole.

Anche in altri paesi ci sono segni di ostilità. Il previsto concerto di giugno a Monza ad esempio ha causato polemiche fra le forze politiche locali. Ti capita anche in altri paesi di suscitare reazioni apertamente ostili?
Non credo che sia la stessa cosa dappertutto. In Italia la situazione è molto diversa dal resto d'Europa, perché si tratta di un paese molto religioso. Quindi il fatto che io abbia rilasciato dichiarazioni provocatorie o posto domande su argomenti religiosi può spingere qualsiasi movimento conservatore a chiedere l'intervento della censura. Penso che sia lo stesso motivo per cui la mia musica ha suscitato reazioni così forti in Italia, sia quelle positive del fans che quelle negative causate dagli scandali che ho sollevato. Ma questo è un buon motivo per venire a suonare qui.

Quanto è faticoso convivere con una personalità pubblica controversa come la tua? Altri in passato hanno sentito a un certo punto il bisogno di staccare e rientrare nella normalità. Pensi che in futuro arriverà il momento di uccidere Marilyn Manson?
Sarebbe molto facile arrivare a quel punto della mia carriera. Il fatto è che non mi sento uno che ha trent'anni, sento di averne dieci. Questo disco per me segna una specie di nuovo inizio. Questa volta, oltre a lasciare da parte tutte le regole comunemente accettate, ho ignorato anche le regole che io mi impongo quando scrivo un album. Di fatto, ho la sensazione di avere appena cominciato.

C'è un evidente contrasto fra il modo in cui si presenta il personaggio Marilyn Manson e la tranquillità con cui rispondi alle domande. E' chiaro che sei consapevole di quello che fai e di quello che metti in scena. Possibile che in America si pensi ancora a te come a uno che a casa si mette a fare rituali satanici?
Marilyn Manson è un mostro che ho creato per me stesso, come Walt Disney ha creato Topolino. La cosa difficile da comprendere è che non voglio che venire capito su larga scala. Una volta che qualcosa viene definito in modo univoco, perde la sua qualità. Qualsiasi arte che si offre a una comprensione di massa, di fatto non ha valore.

(Paolo Giovanazzi)

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