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Damon Albarn, Dave Rowntree e Alex James presentano 'Think tank'. E di Graham Coxon dicono che...

Blur, quattro anni dopo. “13” usciva all’inizio del 1999, e sembrava un album di rottura definitiva con il passato “Brit pop”, sospeso com’era tra sperimentazioni alla Radiohead e una ricerca di nuove identità musicali. Questa rottura si è consumata ancora di più in seguito: dopo un “best”, i Blur si sono lanciati in progetti personali - su tutti Damon Albarn con i Gorillaz e con il disco registrato in Mali, ma anche gli album solisti di Graham Coxon. Insomma c’era da pensare che i Blur erano definitivamente dispersi, ed anche quando sono arrivate le notizie del ritorno in pista, le previsioni non erano rosee. Soprattutto perché quasi immediatamente Coxon –chitarrista considerato l’anima musicale del gruppo – è stato estromesso con grande clamore.
Invece no: in questi giorni esce il nuovo album, “Think tank” e dimostra che i tre “superstiti” Damon Albarn, Alex James e Dave Rowntree sono vivi, vegeti ed in grado di produrre ottima musica, sperimentale e tradizionale allo stesso tempo. Rockol li ha incontrati …


In questi quattro anni, c’è mai stato un momento in cui avete pensato che non vi sareste più trovati a parlare di un nuovo disco della band?
Damon Albarn: Si, ce ne sono stati molti.
Alex James: Stiamo girando l’Europa da più di un mese: Madrid, Parigi, Berlino… Spesso la sera suoniamo. E’ un grosso lavoro, ed hai la sensazione che non basti mai, che dovresti incontrare il triplo delle persone per spiegare quello che hai fatto.

Che effetto vi fa essere di nuovo una band in pista a tutti gli effetti?
Dave Rowntree: Bello, ovviamente. Ma è una cosa che non proviamo solo ora che il disco sta uscendo. Ci siamo rimessi insieme tempo fa, per cui questa sensazione di essere di nuovo una band la proviamo già da un bel po’ di tempo, da quando abbiamo iniziato a lavorare all’album.
Damon: Semmai la cosa buffa è che andiamo in giro a parlare di “Think tank” e presumibilmente gli unici che avrebbero dovuto sentirlo sono i discografici e i giornalisti. Invece il nostro nuovo disco è in rete da qualche settimana e tutti l’hanno già sentito. Una volta andare in giro a fare interviste prima dell’uscita di un album era come svelare un mistero, far circolare le prime notizie su qualcosa che nessuno conosceva o aveva ancora ascoltato.

Vi ha fatto arrabbiare il fatto che “Think tank” sia finito in rete con così tanto anticipo sull’uscita?
Damon: No, per niente.

Pensavo ai Radiohead: quando il loro album è finito in Internet tre mesi prima dell’uscita, prima si sono detti contenti. Poi hanno fatto marcia indietro, iniziando a dire che non era la versione definitiva, e così via.
Damon: Già, l’ho ascoltato, e lo comprerò quando esce. E’ così che dovrebbe succedere, in questi caso. Quanto alla loro reazione, non voglio giudicarli, ma un po’ di qualità sonora nella compressione si perde comunque, per cui probabilmente avrebbero dovuto semplicemente non contraddirsi e rimanere della prima opinione…

Sempre a proposito di Internet e dei media: negli ultimi mesi si è parlato di voi più per la separazione da Graham Coxon che per il fatto che stavate per pubblicare un disco… Vi ha infastidito?
Dave: Lo sapevamo, e sapevamo che questo argomento sarebbe saltato fuori nelle interviste. Per questo motivo abbiamo fatto un disco così dannatamente bello… Era l’unico per far parlare di noi, non del gruppo…
Damon: Graham si presentato in modo molto esplicito come la vittima della situazione. A dire la verità, ha avuto questo atteggiamento fin dal 1995, per cui era una parte che conosceva bene… L’unico modo in cui potevamo sopravvivere era di dimostrare con la musica che c’è vita dopo Graham, di modo che i media se ne facessero una ragione. Graham probabilmente non pensa davvero la metà delle cose che dice, ma c’è stata una tendenza generale a rappresentarlo come quello che ci teneva alla musica, e noi saremmo quelli che se ne fregano.
E’ stupido, perché alla fine l’unica cosa che conta è la musica, e chi se ne frega se la stampa un giorno ci attacca, il giorno dopo ci attribuisce il singolo della settimana. La stampa inglese è fatta così…

Per esaurire la questione: qual è stato il contributo di Graham al disco?
Damon: Ha co-firmato e suonato la chitarra in una canzone, l’ultima del disco, “Battery in your leg”.

Originariamente si parlava di Norman Cook, alies Fatboy Slim, come produttore di tutto il disco. Poi ha finito per produrre solo qualche canzone. Cos’è successo?
Damon: Il produttore del disco, fin dall’inizio, doveva essere Ben Hillier, e così è stato. Con Norman ci siamo divertiti un sacco, ma in realtà non avevamo piani precisi. In realtà non ha molta esperienza nel lavorare come produttore con una band, anche se in fin dei conti faceva parte degli Housemartins un sacco di tempo fa…
Alex: Già, gli Housemartins, i veri nonni del brit pop… Ora chi se li ricorda più? E chi si ricorda più che Norma faceva parte di una delle prime indie guitar band?
Damon: Alla fine abbiamo in comune molto di più di quanto la gente creda. Ma l’ultima cosa che voleva fare con noi era musica elettronica, voleva suonare con una band. Oltretutto, quello è stato un periodo difficile per lui, perché le notizie sulla sua separazione dalla moglie erano su tutta la stampa.

Il disco suona molto diverso da quello che avete fatto in passato, e sembra molto complesso nella stratificazione dei suoni. Prima di iniziare a registrare, avevate un’idea della direzione che volevate prendere?
Damon: Noi solitamente non registriamo in studi tradizionali. E, in questo disco in particolare, abbiamo lavorato in posti molto particolari. L’abbiamo inciso in parte a Londra, e in parte in Marocco, dove abbiamo messo in piedi un nostro studio. La nostra libertà nel processo di registrazione è fondamentale, perché ci permette di prendere qualsiasi strada che ci venga in mente… Una volta stavamo registrando in una villa, abbiamo sentito uno strano rumore, lo abbiamo registrato quel suono e lo abbiamo usato come base per una canzone, "Gene by gene". Queste non sono cose che puoi prevedere, ovviamente… E questo disco è molto giocoso, pieno di suoni come quello.

Non c’è il rischio che questo processo vi porti in direzioni molto diverse tra loro, magari facendovi tralasciare un’omogeneità di fondo?
Damon: E’ vero. Ogni canzone di questo disco potrebbe essere una percorso a se stante, che avrebbe potuto portare ad un album intero su quella falsariga.

Quale di queste strade prendere in futuro, allora?
Damon: Nessuna di quelle già provate… Ce ne inventeremo di nuove.

Il disco sembra avere alla base un’anima fortemente politica, che viene esplicitata in diverse canzoni come “We’ve got a file on you” o il singolo “Out of time”. Concordate?
Alex: Si, ma non credo si possa parlare di “politica” in senso stretto. Quando usi questa parola, i giovani scappano. Credo che sia più giusto di parlare di “valori”, o di punti di riferimento. In questo senso si, è un disco che esprime delle idee forti.
Damon: La musica si è spesso dimenticata di questa dimensione ultimamente, mi pare. Forse è per questo che tutti sentiamo la mancanza di uno come Joe Strummer, per lui incarnava perfettamente questa idea.

(Gianni Sibilla)

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