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I tre enfant terrible del pop-punk sono tornati per smentire chi, dopo l'avvento dei Blink-182, li dava per morti e sepolti...

Un passaggio in Italia a dir poco trionfale, quello dei Green Day, a dimostrazione che i tre ragazzini pestiferi di Rodeo, California, hanno ancora molte frecce al proprio arco. La principale si chiama rock’n’roll – mi scusino gli appassionati di punk, ma i Green Day delle istanze libertarie e dei furori nichilisti di quel genere hanno poco, mi viene da dire che si muovono più come gli eredi del rock’n’roll alla Chuck Berry e Jerry Lee Lewis, più una versione turborock del rockabilly degli Stray Cats che gli epigoni anni ’90 dei Clash, dei quali pure dimostrano di conoscere parecchi accordi. Dopo gli esordi vissuti nell’underground californiano, con tanto di contratto discografico con una punk label per eccellenza, la Lookout, i tre – Billie Joe Armstrong (voce e chitarra), Mike Dirnt (basso e cori) e Tree Cool (batteria e cori, subentrato a John Kiftmeyer) – hanno dovuto sopportare prima il processo pubblico celebrato a loro danno dai fans che li accusavano di aver tradito la causa per firmare con una major (la Reprise), poi lo stralunante successo di “Basket case” e, più in generale, dell’album “Dookie”, uscito nel 1994 e, a seguire, lo strascico di successo dei successivi album, sempre in difficoltà nel dare un naturale seguito a quel capolavoro. In questo senso “Nimrod”, ultima prova di studio datata 1997, consegnava alle stampe il ritratto di una band vitale, potente, contagiosa. Tre anni dopo, con “Warning”, i Green Day dimostrano di saper fare ancora egregiamente il proprio lavoro, firmando una manciata di canzoni che suonate dal vivo sono sinonimo di divertimento ed energia. Nel frattempo il mondo del rock si è popolato di altre ‘strane’ creature, in primis gli ‘odiati’ Blink-182, ma anche altri. C’è ancora spazio per Billie Joe e compagni. «Se sei vero, non hai problemi...», giurano loro. Ecco il racconto della loro giornata Milanese di qualche giorno fa...

Allora, cosa avete fatto in questi tre anni?
Ah, be’, ci siamo fermati un po’...abbiamo dipinto, passato del tempo con gli amici o la famiglia, siamo usciti la sera, abbiamo dato da mangiare ai piccioni...un paio di volte a settimana ci si vedeva per suonare, poi magari si suonava ancora di più durante il fine settimana. Fondamentalmente abbiamo fatto questo: vita da rockstar, feste, donne...no, scherzo!

Nella vostra biografia c’è scritto che per questo album avete ascoltato molto Bob Dylan, specialmente quello elettrico di “Bringing it all back home”: è vero?
In realtà no, o comunque non completamente...

Ma come? E’ la vostra biografia allegata al disco e a quanto pare l’ha anche scritta un vostro amico...
Sì, lo sappiamo, la verità è che noi abbiamo citato diverse cose che ascoltavamo al momento di scrivere il nuovo album e, tra quelle, lui ha citato solo Dylan. Non si può certo dire che noi siamo dei grandi fans di Bob Dylan, anche se di sicuro apprezziamo la sua musica. Ma da qui a fare un paragone tra le nostre canzoni e le sue...

C’è una canzone, “Warning”, molto particolare, visto che è anche la title-track: avete voglia di raccontarcela?
E’ una canzone che parla di come oggi si cresca in mezzo a un mare di cose molto materiali, dove tutti sono molto influenzati dalla televisione, dai giornali, dal modo in cui le cose vengono presentate. Prende spunto da quegli avvertimenti che vengono scritti ovunque, in nome della tua felicità e della tua sicurezza. La gente cresce accumulando aspettative che difficilmente verranno poi realizzate. Così la canzone parla proprio di questo, e cerca di offrire un po’ di speranza a quanti non hanno intenzione di farsi fregare dalle bugie che girano intorno.

“Hold on” è una canzone molto triste...
Sì, e dipende dal fatto che tre nostri amici sono morti quest’anno. Sono stati momenti molto difficili, per tutti noi, e ad un certo punto sembrava che un’altra persona che frequentavamo, anche in seguito a questi lutti, avesse deciso di lasciarsi andare. Così è nata questa canzone, che vuole essere un invito a resistere, a tenere duro nonostante tutto.

Avevate promesso di scrivere canzoni per i giovani, eppure le tematiche di questo album sembrano più adulte: avete rotto la promessa?
Scriviamo canzoni per noi, e le cose che ci interessa raccontare sono quelle che ci circondano. Se la gente ha voglia di ascoltarle bene...ma anzitutto dobbiamo concentrarci su quello che ci interessa, e non elaborare un manifesto ideologico relativo alla nostra musica da tenere immutato nel tempo. Ad esempio “Minority” è una canzone che parla alle generazioni più giovani, a quanti non hanno ancora deciso cosa fare della propria vita. Ma in definitiva l’importante è essere onesti con se stessi e con quello che si fa, senza cercare di essere di moda a tutti i costi. La spontaneità è molto importante per noi. Inutile tirare fuori i piatti da scratch e mettersi a fare hip hop, se non è nella tua natura...

Quali sono i vostri valori?
La famiglia, l’amicizia, tenere me stesso lontano dall’iconografia delle rockstar...

C’è qualcosa nella vostra musica che ritenete in qualche modo sociale, oppure si tratta soltanto di intrattenimento?
Anche se scriviamo una canzone di aspetto molto pop o melodico, ci chiediamo sempre che tipo di parole ci stiamo mettendo dentro. Non siamo capaci di scrivere parole che suonano bene con la canzone senza chiederci altro. Per cui c’è sicuramente attenzione in quello che scriviamo: in questo album “Warning” è un esempio perfetto di brano apparentemente pop dietro cui ci sono parole molto studiate, relative alla false promesse di cui parlavamo prima.

Credete che anche la musica, per come trattata dal business, abbia le sue responsabilità nel generare false promesse e false libertà?
Sì, nella misura in cui ci sono artisti che considerano la propria immagine più importante di qualsiasi altra cosa. Però non è certo quella la gente che frequentiamo noi, né è quello il nostro tipo di problema...difficile dare delle valutazioni che valgono per tutti. A noi interessa soprattutto essere veri, credibili...

Cosa ci dite della musica di questo album? Sembra diversa, a tratti, dalle vostre cose passate...
Sì, è vero, anche noi facciamo qualcosa di diverso, ogni tanto...non c’è molto da dire, in realtà, se non che siamo sempre noi e che le canzoni si sono quasi scritte da sole...abbiamo suonato molto, fatto diverse jam per capire dove ci sarebbe piaciuto andare, ma questo è quello che facciamo sempre, prima di fare un disco...

”Warning” è un album che si può leggere quasi come una galleria di personaggi: siete maggiormente influenzati dalle persone o dalle situazioni, quando scrivete una canzone?
Da tutto, in realtà. A nostro parere molte delle band in voga all’inizio degli anni ’90 avevano focalizzato troppo la propria attenzione sui disagi interiori, sulla propria depressione, sul peso di essere una rockstar. Ecco, quel tipo di scrittura non ci appartiene per niente: ci piace scrivere cose anche tristi, ma cercando di mantenere lo sguardo diretto verso ciò che è fuori di noi, scrivere canzoni non solo per noi ma anche per il pubblico.

In Italia, negli ultimi due mesi, sono successe cose strane nel mondo dei concerti rock: gruppi come Methods of Mahem, Blink 182 e, un caso tutto italiano, Lùnapop, sono stati presi a sassate o sonoramente fischiati una volta sul palco. Da cosa pensate che possa dipendere questo atteggiamento del pubblico?
Dal fatto che i gruppi fanno schifo! Può dipendere dal fatto che il pubblico sia ad un festival soltanto per vedere la propria band preferita, e passi il tempo a tirare sassi sugli altri, ma in questo caso non credo che si possa fare molto. Noi ad esempio abbiamo aperto un concerto per Die Toten Hosen in Germania e il pubblico non ci ha lasciato in pace per un attimo, e la stessa cosa succederebbe a loro se venissero ad aprire per noi negli States. Ad un festival è molto difficile intervenire su una cosa del genere, ma mi risulta difficile credere che in Italia la gente tiri sassi tanto per fare, perché mi sembra sempre un pubblico pieno d’energia e di motivazioni. Un altro motivo per cui i musicisti possono essere contestati sta nel fatto di voler diventare delle celebrità, vedi il caso di Tommy Lee...la gente è stanca delle celebrità, vuole musica vera! Comunque se ti sbatti per far divertire la gente, se fai musica capace di trascinare, non dovresti avere problemi, anche se non è sempre così. Ad esempio, quando ci siamo esibiti a Woodstock, che era un contesto politicizzato rispetto al nostro abituale target, hanno cominciato a tirarci palle di fango...la cosa spiacevole è che da quel giorno, nel proseguire il nostro tour negli States, ovunque andavamo hanno continuato a tirarci fango, perché pensavano fosse pittoresco...

Quale è stato il momento peggiore della vostra carriera e cosa vi ha insegnato?
Credo che sia stato il momento in cui abbiamo dovuto interrompere il nostro tour europeo per esaurimento fisico e mentale. E’ successo a Berlino, era il 1997, e ci è sembrato fosse veramente un momento disastroso. Anzitutto perché nella nostra vita non avevamo mai lasciato niente a metà. E poi perché ci sembrava veramente di essere al punto in cui uno di noi avrebbe potuto rimanerci secco da un momento all’altro...eravamo distrutti. Inoltre, per tenere fede a tutte le date prese eravamo stati costretti a eliminare le nostre vite private dall’agenda, per cui bisognava tirare dritto e passare da un concerto all’altro, e quando non c’erano concerti fare promozione, radio, tv, interviste, foto...il tutto ad un ritmo inumano. In questi giorni uno di noi ha la nonna all’ospedale, e ci dispiace non poter essere a casa, ma sappiamo che tra qualche giorno saremo comunque lì. In quel periodo era terribile. Quello è stato il momento peggiore della nostra carriera: avevamo un pessimo manager, e licenziarlo è stato uno dei momenti migliori della nostra carriera! E’ stata un’esperienza da cui abbiamo imparato molto, comunque. Adesso ci pensiamo bene prima di sacrificare qualcosa della nostra vita privata...

Avete qualcos’altro da dire sul vostro nuovo album, “Warning”, rispetto a quelli che lo hanno preceduto?”
Sì. Ogni canzone è separata dalle altre da qualche secondo di silenzio.
In copertina, c’è una foto di noi tre, mentre sul precedente c’era una nostra foto sul retro di copertina.
Ci sono parecchie canzoni.
Nessun concept.
Il disco era già quasi finito prima ancora di entrare in studio, visto che non ci piace stare molto in studio. Per il resto non è facile spiegarlo a parole, sarebbe meglio ricevere delle domande specifiche. I testi sono molto curati, visto che non ci siamo nascosti dietro le tipiche assonanze che vanno bene in tutte le canzoni. Comunque è un disco pensato come un tutto unico, non come una raccolta di singoli o roba del genere. Ha un suono unico, a tratti diverso dal solito.

Cosa pensate di Napster?
Questa sta diventando una domanda noiosa...non ce ne frega niente, in realtà, così come dei bootleg. Noi siamo acquirenti dei nostri bootleg, ed alcuni sono davvero buoni...basta non comprare i dischi dei Metallica su Napster! Non siamo né a favore, né contro...non ce ne frega niente, tutto qui.

Andrete in tour?
Sì crediamo di sì, forse a dicembre. Non lo sappiamo ancora, ma andremo in tour prima in Europa, questo è sicuro.

(Luca Bernini)

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