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Musica, scrittura e tante canzoni: il presente e il futuro di Enrico Ruggeri...

"L'uomo che vola" è l'ultimo capitolo della ormai ventennale carriera discografica di Enrico Ruggeri, il primo dopo il passaggio alla Sony. Riappropriatosi con "L'isola dei tesori" dei brani da lui scritti nel corso di questi anni in qualità di autore per altri interpreti, a tre anni di distanza da "Domani è un altro giorno", Ruggeri riprende il filo dei suoi pensieri e delle sue riflessioni su quello che sente e vede succedergli dentro e intorno. A tratti disincantato, ma sempre incuriosito da quel mondo complesso e sorprendente che è ogni essere umano, Ruggeri riflette nelle sue canzoni su una società che spesso sente lontana ma che desidera continuare a esplorare, magari alzandosi a qualche metro da terra...

"L'uomo che vola" è un disco con un filo conduttore piuttosto delineato, quello di uno sguardo critico sulla società che ci circonda. Fa eccezione la canzone "Gimondi e il cannibale", dove descrivi il coraggio e l'eroismo di un campione, capace di restare grande di fronte alla sconfitta. Come è nata l'idea di questo brano?
La vicenda della rivalità tra Felice Gimondi e Eddy Merckx è a mio avviso una metafora delle grandi battaglie della vita. Gimondi è un eroe umano, che viene sconfitto ma che continua la sua corsa fino a tornare a vincere. Non c'è la fortuna a dargli una mano: deve conquistarsi i suoi traguardi con il sudore. E' questo che mi affascina del ciclismo, il fatto che, sì è vero, puoi magari forare a pochi metri dal traguardo, ma normalmente il fattore fortuna incide in minima parte sul risultato. Il ciclismo è, da questo punto di vista, più onesto del calcio, dove la fortuna spesso decide le sorti di una partita.

Come nell'ultima finale degli Europei, con il goal della Francia a una manciata di secondi dalla fine e la sconfitta dell'Italia. Hai seguito la partita?
Devo confessare che, anche se di solito sono piuttosto tiepido quando ci sono le partite, questa volta mi sono lasciato coinvolgere. L'ho vista mentre ero in Canada e ho capito quanto la Nazionale sia importante per gli italiani che vivono all'estero. Ho fatto davvero il tifo.

Idealmente, allora, eri in mezzo alla folla, come nella copertina del tuo ultimo disco. Che abbonda di citazioni.
La citazione principale è quella degli occhiali bianchi, a lungo parte irrinunciabile della mia immagine. Quanto alla scelta di rappresentarmi in mezzo alla folla, per rendere l'idea dell'"Uomo che vola" avevamo due strade: la prima era rappresentarlo direttamente, cosa impossibile, però, perché l'uomo che vola è un sogno, qualcosa di surreale. Per questo abbiamo pensato di ritrarre quelli che lo guardano.

Ma chi è per te "L'uomo che vola"?
Ripeto, è un sogno, qualcosa di surreale. Sono io ma in fondo lo siamo un po ' tutti. L'uomo che vola è un essere che non è contento del mondo in cui vive. Per questo cerca di sollevarsi un po' da terra, ma non ci riesce poi molto. Giusto quei cinque, sei metri: quanto basta per vedere le cose in modo un po' più distaccato.

Nel tuo disco ti "sollevi" a un certo punto dalla forma classica di canzone e ti ricavi uno spazio musicalmente diverso, quello della "suite" delle "Sette sorelle", per affrontare un tema interessante, quello dei vecchi vizi che oggi, in fondo, finiscono per essere delle virtù. Com'è nata l'idea?
Nel mondo di oggi i grandi peccatori sono i mercanti d'armi o gli spacciatori. Sono altri, insomma, non più inquadrabili nelle categorie dei vecchi vizi. Che invece assumono sfumature inaspettatamente positive in un mondo sempre più falsato da logiche poco umane. L'idea della suite, cioè, è nata per ché sentivo il bisogno di esprimere le mie opinioni su questo argomento in modo articolato. In sintesi, se peccare di gola vuol dire rifiutare l'ottica del "siamo tutti belli", ben vengano quelli che hanno tre chili in più perché sono stati a cena con gli amici. Lo stesso per la pigrizia: se vuol dire recuperare il piacere dell'ozio, del fare le cose con calma in un mondo sempre più frenetico, non può fare che del bene. Anche l' ira è positiva, nel momento in cui ti spinge a non accettare i compromessi e le brutture.

Musicalmente come ti sei trovato a comporre un pezzo articolato, che si snoda per quindici minuti abbondanti?
E' stato facile, perché tutto è nato molto spontaneamente. Siccome ero consapevole di fare una cosa anomala, la mia creatività era assolutamente libera. Ho composto pezzi di un minuto e quaranta, seguiti da brani di tre minuti. E poi, sapevo di non scrivere una canzone in senso tradizionale: quando ti metti a scrivere una canzone, anche senza volerlo sei assoggettato a delle regole, a una struttura. Cosa che in questo caso non è successa. Nella realizzazione dell'album è stata la parte senza dubbio più divertente e quella che oggi riascolto più volentieri.

Il fatto di essere uscito dalla dimensione un po' ristretta della canzone ti ha messo addosso la voglia di fare qualcosa di diverso, magari in qualche altro campo artistico?
Per il momento ho scritto un libro, che uscirà a settembre per la casa editrice Feltrinelli. E' stata un'esperienza diversa, anche in questo caso di grande libertà. Il problema delle canzoni è proprio che ti lasciano uno spazio limitato per dire le cose che vuoi raccontare. Non dover pensare alla musica ti permette un respiro più ampio. Il libro dovrebbe intitolarsi "Piccoli mostri" ed è una raccolta di racconti brevi che descrivono situazioni, persone, tipologie di esseri umani scaraventati nel mondo di oggi, con i suoi risvolti drammatici, grotteschi, a volte assurdi. Come al solito, ho preso spunto dalla realtà e poi ci ho aggiunto la poesia e l' immaginazione. Ho scelto la forma dei racconti perché il romanzo è un passo ulteriore: nel racconto, il narratore può descrivere il carattere del personaggio ma nel romanzo bisogna farlo venire fuori attraverso le pagine. E' un salto ulteriore che spero un giorno di sentirmi di fare, ma non è semplice.

Nelle canzoni di "L'uomo che vola" hai spesso uno sguardo amaro sulla realtà di oggi ma mai disperato o completamente negativo. Che cosa salvi nel quadro piuttosto cupo che tracci della società in cui viviamo? E cosa invece fai sempre più fatica a sopportare?
Salvo l'essere umano, la sua simpatia, la sua creatività, la voglia di stare a galla comunque; salvo anche il rovescio della medaglia, quello dei suoi difetti, il barcamenarsi, le piccole cialtronerie. Visti in una certa ottica, anche questi sono lati teneri, se non proprio positivi. Al contrario, faccio sempre più fatica a sopportare la televisione. E' davvero di pessimo gusto.

Com'è il tuo rapporto con le nuove tecnologie?
Trovo sempre difficile parlare di nuove tecnologie, perché si rischia di prendere delle cantonate. Diciamo che le guardo con attenzione, con un po' di sospetto ma in fondo anche con curiosità. Non uso molto Internet: ho un sito e rispondo alle e-mail dei fans, dettando le risposte. Però intuisco le grandi potenzialità della Rete. Il rischio che vedo è che magari si passa la notte a chattare con uno di Sidney e poi non si saluta il vicino di casa.

In un brano del tuo album, "Niño no", ti racconti a tuo figlio. Racconti le tue scelte, le tue delusioni. Nella realtà com'è il tuo rapporto con lui?
Mio figlio è un bambino di oggi. Ha la Playstation e va pazzo per i Pokemon. Lui la familiarità con la tecnologia ce l'ha nel Dna. E' curioso delle cose, impara in fretta. E' simpatico, cerca di spiegarmi cose che io devo davvero sforzarmi di capire. Ma questo è un bene. Lo so che il problema di mio figlio sarà il fatto di avere un padre famoso. Che lui sia migliore di me in certe cose è confortante. Il pericolo è infatti che mi veda come un essere perfetto, riuscito. Mostrargli le mie goffaggini lo trovo un comportamento positivo.

Nel brano "Le ragazze di 40 anni" parli del nuovo modo in cui le donne vivono la loro maturità, con più libertà e curiosità. Ti senti anche tu un ragazzo di 40 anni?
"Le ragazze di 40 anni" è una canzone positiva. Il mondo è cambiato in fretta e i quarantenni non sono più, come era nella mia infanzia, quelli che ormai viaggiano su binari ben definiti. Un tempo i quarantenni erano gli adulti e basta. Oggi i quarantenni si innamorano si separano, si innamorano di nuovo, fanno figli, vanno a ballare, cambiano lavoro, rimorchiano. Fanno una serie di cose che un tempo erano impensabili e che li obbligano a rimettersi in gioco, con i vantaggi e gli svantaggi del caso.
C'è qualcosa che oggi ti attrae e ravviva la tua curiosità?
A pensarci, oggi ho più voglia di viaggiare. Una volta ero appagato dallo stare in mezzo alla gente: oggi ho anche voglia di vedere un po' di luoghi. Probabilmente è l'età, sento mancarmi il terreno sotto i piedi. Non vorrei morire senza aver visto il deserto.

Suonare dal vivo ti piace sempre?
Sì, è un'emozione alla quale non ci si abitua mai. Anche quest'anno suonerò per tutta l'estate. D'altronde, vado in giro a suonare con gente che conosco da vent'anni e probabilmente sarebbe la stessa con cui andrei in vacanza. E' una zingarata, mi piace e lo faccio ancora volentieri.

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