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Odiati dalla stampa inglese ma amati dal pubblico, Brian Molko e soci raccontano il nuovo 'Black Market Music'...

I Placebo sono tornati. Checché ne dica la stampa inglese, che non li ha mai amati, il loro nuovo disco è un piccolo capolavoro di rock fuori dagli schemi. “Black Market Music”, in uscita il 6 ottobre, segue a più di due anni di distanza il malinconico “Without you I’m nothing” e rinnova il suono di Brian Molko e soci con una miscela decisamente più aggressiva. Le chitarre e la tipica voce nasale rimangono il marchio di fabbrica del trio, ma l’atmosfera è decisamente cambiata. In questa chiaccherata, Molko, Stefan Olsdal e Steve Hewitt raccontano il nuovo disco, la strana collaborazione con David Bowie, la deludente partecipazione al film “Velvet Goldmine” e i contrastati rapporti con la stampa inglese.
“Black Market Music” è molto diverso dal disco precedente. E’ una differenza voluta?
Questo album è molto più rock. “Without you I’m nothing” era troppo malinconico e sovraprodotto. Per questo motivo "Black Market Music" lo abbiamo prodotto da soli. Volevamo fare un grande disco di rock, con le nostre idee e le nostre soluzioni. Un cambiamento cercato anche nei testi, “Without you” era molto più cupo, questo è molto più diretto. Siamo “romantic people”, però. Una componente oscura è sempre presente nelle nostre canzoni. La musica ha a che fare con il lato oscuro delle emozioni. La nostra musica è “dark romanticism”.

Le liriche di questo disco sembrano più rivolte verso l’esterno che verso l’interno...
Sicuramente quando stavo scrivendo il disco precedente ero in un periodo in cui ho messo in atto una ricerca più profonda di me stesso. Era quasi una sorta di esorcismo. Questo è successo molto tempo fa. Poi la gente cambia e cambia anche il modo di scrivere. Credo che capiti anche agli scrittori. Questo disco è più proiettato verso il mondo fuori da me. Credo che anche dal punto di vista della scrittura sia più maturo. Questo è un disco di “fuck-off” rock!

Per anticipare il disco avete scelto un brano come “Taste in men” abbastanza particolare rispetto al resto del materiale. Per di più, l’inizio ricorda molto un brano dei Chemical Brothers...
Abbiamo voluto confondere tutti, specialmente la stampa inglese. Avranno pensato ‘Oh, gli Smashing Pumpkins’. Non rappresenta per niente l’album, invece.... La somiglianza con i Chemical non è voluta, è venuta fuori casualmente cercando un big beat, cosa in cui loro effetivamente sono molto bravi a trovare.

In “Spite & malice” avete unito rock e rap in un modo che uno s’aspetterebbe da un gruppo come i Placebo. Come è nata questa idea?
Volevamo riempire quella canzone, così abbiamo pensato di chiamare Justin Warfield. Gli abbiamo spiegato la canzone e lui ha fatto il resto. In realtà c’è un secondo aspetto, che riguarda la nostra passione per il hip-hop. Non tanto il gansta rap, ma più quello intelligente, stile Public Enemy. E Justin Warfield è molto “letterario”, per cui si adattava perfettamente alla nostra idea di crossover e di sfidare l’ascoltatore.

Da dove arriva il titolo del disco?
Non volevamo un titolo che derivasse da una canzone. Sulla copertina c’è la foto di uno di qulle “music box” che sono state tra i primi metodi per fare musica... Era bella l’idea di attualizzarla in tempo di MP3 e mercato “illegale” della musica. Con un po’ di ironia., ovviamente..
Prima di questo disco avete fatto due collaborazioni importanti. Quella al film “Velvet Goldmine” e il duetto con David Bowie sulla title-track di “Without you I’m nothing”. Come sono andate?
Sono state una fantastica e una no. Seconde te quale è andata bene e quale no?

Dimmelo tu ...
L’esperienza con Bowie è stata surreale, ma molto bella. Ci ha contattato e ci ha detto: “voglio cantare su questo brano. O lo facciamo assieme o lo farò da solo. Cosa volevi fare? Siamo andati in studio ed è stato incredibile. E’ molto esigente artisticamente, ma è allo stesso tempo un uomo d’affari. Ma è stata una cosa incredibile, un vero onore per noi.
Velvet Goldmine, invece, è nata da una richiesta del regista Todd Haynes, ma si è rivelato un boomerang. Non sapevamo bene come funzionava il film, che alla fine è diventato una via di mezzo tra la fiction e il documentario. Ci hanno chiesto di suonare una canzone che diversamente non avremmo mai inciso, quella dei T-rex. E, per questo motivo, alla fine ci hanno detto ‘oh, ora siete una band di glam-rock’. I giornalisti sono pigri e non si sforzano molto di indagare. Ma si limitamo a fare collegamenti superficiali.

A proposito di stampa, i media inglesi sembrano più interessati alla vostra immagine sessuale, che non alla musica...
Esattamente. Siamo musicisti, ma parlano delle nostri abitudini a letto. Sono attacchi personali che durano da due anni. Non parlano mai dei nostri dischi. La stampa inglese è così: ti costruisce per buttarti giù. Devi andartene da lì per fare interviste intelligenti. Hanno quell’atteggiamento da “sono stronzi, ma fanno buona musica”. Ma alla fine si sta rivoltando tutto contro, perché finiscono per farci pubblicità lo stesso. La stampa inglese è frustrata, perché cerca di mettere in luce sé stessa piuttosto che la musica di cui parla. Abbiamo molti più fan di quanto non si capisca dai loro articoli e loro lo sanno perché ricevono vagonate di lettere di protesta ogni volta che parlano male di noi.
(Gianni Sibilla)

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