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Courtney Taylor ce la racconta dall'Oregon, con un saluto particolare alle modelle di Milano...

Sono le 11 di mattina. Orario inusuale per fare un’intervista. Ancora più inusuale se si pensa che, dall’altra parte del ricevitore, chi chiama è Courtney Taylor, leader di Dandy Warhols. Che c’è di strano, direte voi? Nulla, a parte il fatto che Courtney vive a Portland, Oregon, dove, nel momento in cui ricevo la telefonata, sono le 2 di notte. Un orario alquanto bizzarro per fare un’intervista ma assolutamente in linea con il titolo del nuovo album (il terzo della band americana): “Thirteen tales from urban Bohemia”. Tredici racconti da una presunta suburbia dove Dandy Warhols, i nuovi bohemienne, si muovono. Tredici racconti in cui, rispetto all’album precedente, “Dandy Warhols come down”, non sembrano esserci in vista hit single planetari come “Not if you were the last junkie on earth”. Ma a Courtney tutto questo non interessa. Non fa parte dei pensieri di un bohemienne come vuole essere lui. Tant’è che l’intervista inizia subito con una dichiarazione da “urban Bohemia” che più “glam” di così non si può….

Allora, Courtney. Strano orario per fare un’intervista……
Sì, però durante il giorno non è consigliabile parlare con me. Direi un sacco di cazzate. Invece a quest’ora, sdraiato sul letto, con le droghe che mi stanno scendendo, forse si riesce a fare un’intervista come si deve…… Fa una pausa, Courtney. Poi pensa che forse l’ha sparata un po’ troppo grossa e, riaggiustando il tiro, dice….....Hey, chiaramente sto scherzando. Non scrivere niente di quello che ho detto…. Okay, gli dico, anche se, nonostante questa dichiarazione, la voce pastosa e un po’ alterata fa pensare proprio a un tipo strafatto……Ma forse tutto questo fa parte del gioco, di un’immagine che Courtney si vuole cucire addosso. Allora passo oltre e gli faccio la prima vera domanda.

Courtney, sono passati tre anni dall’uscita di “Dandy Warhols come down”. Come mai ci avete messo così tanto tempo a pubblicare un nuovo album?
Semplice. Siamo stati in tour per un anno negli States. Poi abbiamo fatto un altro anno in giro per l’Europa. Eh, sì…. siamo stati on the road per una vita. Ora che ne parlo mi rendo conto di quanto abbiamo suonato. E poi, dopo centinaia di concerti, ci siamo ritrovati in studio e ci siamo messi al lavoro. Ed è passato un altro anno……

La realizzazione di questo disco ha risentito in qualche modo di questo vostro tour de force?
Credo di sì. Sarebbe stupido negarlo. Il fatto di stare insieme per così tanto tempo, a stretto contatto come sei quando vai in tour, sicuramente ha creato delle dinamiche più compatte tra di noi. In questo senso credo che il tour abbia influito sulla realizzazione di questo disco. Per quanto invece riguarda la scrittura dei pezzi, beh, penso che non sia cambiato molto dai dischi precedenti. Il mio modo di scrivere è immutato, nonostante anni di concerti in giro per il mondo…

Quali credi che siano le differenze tra questo disco è il precedente?
Non molte. Soprattutto è cambiato il modo di produrre i pezzi. Il suono è molto più pulito che non in “Dandy Warhols come down”. E poi abbiamo usato meno strumenti. Abbiamo arrangiato molto meno le canzoni.

Quando ho sentito per la prima volta “Thirteen tales from urban Bohemia” ero lì ad aspettare un altro hit single, un altro classico pop come è stato senza dubbio “Not if you were the last junkie on earth”. E alla fine, ad essere sincero, non mi sembra di aver sentito nulla di simile…..
In effetti, con “Thirteen tales….” volevamo fare un disco rock più che una raccolta di pop song. Abbiamo fatto finta di non essere nel 1999 ma bensì nel 1971 e quindi catturare, cercare di far rivivere la forza del rock di quegli anni. “Thirteen tales…..” è proprio questo. Un disco di classic rock, non più un album pop.

Parli del 1971, di classic rock. Io credo che questo disco sia una sorta di viaggio attraverso diverse sfumature del rock. Ci sono pezzi che fanno pensare a Lou Reed, altri che sono chiari tributi a Rolling Stones e Iggy Pop, al glam. Ma ci sono anche brani, come “Nietsche”, che sono assolutamente legati allo shoegazing, a gruppi come My Bloody Valentine…..
Sì…non posso negare che My Bloody Valentine e certo rock dell’inizio anni 90 sia stato importante per me. Ma questo disco è un album di rock anni 70…..

“Nietsche” è il pezzo preferito e, credo, uno dei più riusciti dell’album. Cosa mi dici di questo pezzo?
Dunque….cosa ti posso dire…….Nietsche è stato un filosofo molto influente. Aveva queste……..

Hey, lo interrompo io, so chi è Nietsche…..
Okay. Stavo scherzando. Seriamente, “Nietsche” è un pezzo che ho scritto per un mio amico. Lui se sta giornate intere a sentire i dischi di Jesus & The Mary Chain e Spiritualized. Tutte le volte che lo andavo a trovare c’era lo stereo “a palla” con questi dischi di Jesus & The Mary Chain. Così ho pensato di scrivere un pezzo dedicato a questa scena inglese e al mio amico. La spiegazione più semplice è questa. Quella un po’ meno semplice è che questo pezzo ha a che fare con gli alieni. Io credo negli alieni e ho pensato che un pezzo come questo potesse avere a che fare con loro.

Cosa mi dici di “Cool scene”. E’ una scena che esiste veramente o è qualcosa di inventato?
No, no. Sto parlando di qualcosa che esiste veramente. Non una scena ma un gruppo di persone, di stronzi, che una volta erano miei amici. Quando sono tornato dal tour le cose erano un po’ cambiate per me. Non ero più il ragazzo appena uscito dal college. I miei amici invece erano rimasti tali e quali. Stupidamente educati, perfetti. Pretendevano che anch’io fossi come loro, che mi atteggiassi come un puritano, come un ragazzino di buona famiglia. Ho detto a tutti loro di andarsene affanculo.

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