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Alexandre Ciarla - BATTISTI-PANELLA, DA “DON GIOVANNI” A “HEGEL” - la recensione

Recensione del 23 mag 2016 a cura di Franco Zanetti

(232 pagine, autopubblicato, 15 euro su Amazon)

Voto 8/10

La recensione

Conoscendo il mio interesse per la produzione discografica di Lucio Battisti con Pasquale Panella, l’autore di questo libro ha avuto la grande gentilezza di farmelo avere. L’ho letto con molto interesse in un weekend – credetemi: è materiale denso, e a volte ostico – e sono pronto a riferirvi il mio parere.


L’ultima fase della produzione discografica di Lucio Battisti, quella dei cinque “dischi bianchi” (e aggiungiamoci anche “E già”, che dei Bianchi è il prodromo, insieme a “Oh! Era ora” di Adriano Pappalardo, pure con testi di Panella), è solitamente poco considerata per ragioni di scarsa popolarità delle canzoni e di non clamorosi esiti commerciali di quei dischi. E sono pochissimi i libri che la trattano nello specifico: anzi, prima di questo ce n’era solo un altro, “Specchi opposti – Lucio Battisti, gli anni con Panella”, pubblicato da Ivano Rebustini per Arcana nel 2007 (ci sarebbe anche “L’ornamentale destino” di Lorenzo Alberti, ma esiste solo in formato Kindle, e allora no, grazie, io i libri li leggo su carta).

A differenza di quello di Rebustini, nel quale, come fa notare Ciarla con un lieve peccato di superiorità, “l’autore ha preferito limitarsi ad una presentazione dei testi senza produrre una vera e propria analisi”, in questo i testi si analizzano, eccome. Semmai il problema – e di questo vanno avvisati i potenziali lettori – è che a dispetto dello strillo di copertina, “Analisi e spiegazione di tutte le canzoni”, è che Ciarla si occupa solo ed esclusivamente dei testi, senza interessarsi delle musiche su cui sono stati scritti (nel caso di “Don Giovanni”) o delle musiche (da “L’apparenza” in avanti) che per essi sono state scritte, né del canto che li ha eseguiti/interpretati; quindi, non delle canzoni.


In altre parole, Ciarla considera i testi di Panella come un corpus “indipendente” dalle canzoni ai quali appartengono. Una scelta, una presa di posizione, con la quale non posso concordare, ma della quale prendo atto con rispetto, benché a mio avviso sia decisamente arbitraria (le canzoni hanno senso in quanto fusione di testo e musica, l’uno e l’altra non possono essere considerati separatamente).

Ciarla, da quel poco che so di lui, non è un giornalista né uno scrittore: è uno studioso dei testi di Pasquale Panella, e questo è appunto il libro di uno studioso (per questo vi dicevo che è roba tosta). A tratti potrebbe essere una tesi di laurea; ma non una di quelle tesine che si fanno adesso, all’acqua di rose: una tesi seria, documentata, ricchissima di rimandi e riferimenti. Avrebbe anzi meritato una correzione di bozze più meticolosa, e un editing più attento. E come altri studiosi, Ciarla è fermamente convinto che la sua interpretazione sia corretta. Non magari l’unica corretta, ma, insomma, quasi.
E qui vengo il punto – il “mio” punto, almeno.
A me, da ascoltatore appassionato dei dischi “bianchi”, sinceramente è sempre importato pochissimo di cercare di capire cosa ci sia dietro le parole di Pasquale Panella. Trovo che siano parole bellissime, ora eleganti e ora popolari, che “suonano” meravigliosamente grazie anche alla voce di Battisti (ascoltate per confronto il disco di Adriano Pappalardo di cui dicevo prima), e che i testi di Panella siano affascinanti a prescindere – anzi, esagero: trovo che siano ancora più affascinanti proprio perché il loro significato - se ce l’hanno, un significato - non è evidente. Hanno soprattutto, secondo me, un valore fonetico (quello del suono), che sovrasta quello semantico (quello del significato).

E così non so se sono davvero contento di essere, dopo aver letto Ciarla, abbastanza convinto della sua interpretazione del testo di “Madre pennuta”, che mi ha sorpreso e stupito, perché adesso ogni volta che riascolto “La strada che curva e l’insegna notturna...”, cioè l’inizio della canzone, mi riconnetto mentalmente all’interpretazione di Ciarla secondo la quale la canzone si riferisce a un incidente stradale – e questo non mi piace: lo confesso, avrei preferito non saperlo. Come d’altra parte non sono convinto che “Dalle prime battute” non possa che essere ambientata a Sanremo, come invece sostiene apoditticamente Ciarla; mi pare che, in questo caso, ci troviamo di fronte, come a volte capita, ad una forzatura, ad un piegare l’esegesi ad un pre-concetto.


Come però – e vedete che il libro è fecondo di spunti, suggestioni, provocazioni, il che ne giustifica ampiamente la lettura – mi sento arricchito dal poter cogliere, adesso che mi sono state indicate, le connessioni di certi testi di Panella con “Il giovane Holden” (“dove vanno le anatre quando il lago gela?” / “ecco dove l’anatra sparisce quando il lago s’è ghiacciato” – il primo virgolettato è dal libro di Salinger, il secondo dal testo di “Caroline e l’uomo nero” di Pappalardo).
Poi, per dire, non sono d’accordo con la lettura di Ciarla – la lettura “letterale”, intendo – di un verso di “Tutte le pompe” – che secondo me dice “e suo marito in cravatta color lingua”, e non “e suo marito in cravatta con la lingua”, come sostiene lui.
Ma insomma, il bello è che con Ciarla (e con Renzo Stefanel, che ha scritto la prefazione del libro) sento che potremmo passare ore e ore a discutere - contrastandoci amabilmente avviluppati in sofismi - dei lavori di Lucio Battisti e Pasquale Panella. Magari spesso non essendo d’accordo: ma questo è il bello del discutere, no?


Franco Zanetti

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