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L’estasi al ritorno dei Radiohead

L’innovazione che ora suona classico: il racconto del primo concerto a Bologna di Thom Yorke e soci
L’estasi al ritorno dei Radiohead

È un incontro di generazioni quello che prende forma con l’arrivo dei Radiohead a Bologna. Già agli ingressi dell’Unipol Arena ragazzi e adulti, italiani e stranieri, si ritrovano dentro un’energia che supera l’attesa dell’evento e si radica nella memoria di ciò che la musica di Thom Yorke e soci ha rappresentato per ciascuno in momenti generazionali differenti. Una volta dentro il palazzetto, l’impatto arriva da un dodecagono rialzato, incastonato al centro della sala come un corpo geometrico immerso in una gabbia di pannelli LED che lo circondano e si alzano sopra un palcoscenico circolare. Il pubblico, disposto in sezioni anche nel parterre, osserva quella struttura che riscrive lo spazio anziché dominarlo, suggerendo già l’idea di un concerto che non vuole offrire un fronte privilegiato né un'esperienza stabile. Alle 20.15 le luci si abbassano, lasciando che il ritorno dei Radiohead prenda forma gradualmente, come un prologo che conduce all’inizio vero e proprio dello spettacolo. I LED iniziano a pulsare tracciando rettangoli che rispondono alle distorsioni elettroniche e che illuminano le varie sezioni dell'Unipol Arena, dal pit agli spalti, sollevando una fragorosa risposta dal pubblico. I bar del parterre vengono addirittura chiusi su richiesta del gruppo, dicono gli addetti, per permettere di riprendere la serata. L'attesa smette di essere tale, mentre i fan sono pronti ad applaudire a una band che aspettavano da anni di rivedere, inseguita nei suoi silenzi, nelle indiscrezioni, e finalmente riemersa. Approda così, la sera del 14 novembre, il tour che ha preso il via da Madrid e che passa ora dalle nostre parti per riportare la formazione di Oxford in Italia, dopo otto anni di assenza.

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Quando alle 20.30 la struttura si accende in un unico lampo e il boato si solleva da ogni direzione, gli strumenti appaiono oltre i pannelli. Su un acuto di synth emergono le sagome dei Radiohead, prima che il loro ingresso coincida con l’attacco di chitarra di “Planet telex”, brano scelto per aprire la prima delle quattro date bolognesi. I LED proiettano ora immagini negative e stilizzate dei musicisti, come presenze filtrate da un’altra dimensione racchiuse al suo interno. La band decide di non concedersi ancora completamente, nascondendosi dietro le pareti che la circondano e muovendosi dentro all’interno di una matrice visiva che richiama forme e comunicazioni aliene. "2+2=5” spinge quindi il ritmo e le proiezioni si fanno più nitide, fino a quando la struttura non si solleva e lascia apparire completamente Yorke, Jonny Greenwood, Ed O’Brien, Colin Greenwood e Philip Selway, affiancati dal secondo batterista Chris Vatalaro. Su “Sit down, stand up” il frontman si sposta al piano mentre l’arena si tinge di rosso, per poi lasciare lo strumento e raggiungere il bordo del cerchio in una danza tesa, punk, quasi nervosa. Greenwood passa dallo xilofono ai synth con precisione millimetrica, prima che “Bloom” dispieghi le sue tre linee di percussioni e rincorra il tappeto elettronico fino a una lunga sospensione vocale che porta i presenti in uno stato contemplativo. Pur mantenendo un’esecuzione magistrale, il suono del palazzetto non restituisce ancora pienezza e immediatezza, ma quando la resa cambia in modo tangibile, si entra in uno stato di estasi e si torna al respiro interiore per seguire la musica, mentre si osserva e si ascolta il crearsi di un tessuto sonoro stratificato e artigianale. L’innovazione dei Radiohead diventa così scuola, raggiungendo ora lo status di classico.

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Il concerto procede come un flusso compatto, scandito da venticinque brani che, riproponendo la stessa scaletta del 7 novembre a Madrid, si succedono con puntualità assoluta per attraversare l’intera storia del gruppo, tra pezzi più noti e più rari. Prima di “Lucky”, Yorke si concede a uno dei pochi, brevi, convenevoli e saluta rapidamente il pubblico in italiano: “Ciao a tutti, come va?”. “Ful stop” lo porta a compiere il giro completo della piattaforma, mentre su “The gloaming” crea una danza di loop tra voce e movimento. “There there” schiera due batterie e due postazioni percussive in un unico corpo ritmico, prima che “No surprises” riporti Yorke all’acustica e Greenwood allo xilofono, aprendo il primo grande momento corale. “Videotape” sospende nuovamente il tempo con il frontman al piano e una vocalità angelica, mentre i colpi netti di batteria per mano di Selway e Vatalaro costruiscono l'ambiente sonoro. “Weird fishes/Arpeggi” accende il boato e presenta uno dei movimenti scenici mentre i musicisti si spostano continuamente fra tastiere, microfoni e postazioni distribuite lungo tutto il cerchio, permettendo a ogni settore dell’arena di vivere una propria prossimità. “Everything in its right place” vede Yorke prima seduto alle tastiere e poi di nuovo in piedi a trascinare la sala in una danza contemporanea prima di “15 Step”, “The national anthem” e “Daydreaming” alternando esplosioni ed estraniamenti, con i LED che costruiscono griglie luminose bianche e Yorke che interrompe un attimo per chiedere alla folla: "Si sente bene?”, quando qualcuno nel parterre ha un malore.

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Ogni brano diventa un ambiente sonoro autonomo, portando il pubblico dentro atmosfere e stati d'animo sempre diversi. Dall’intimità di “Subterranean homesick alien”, ci si trova quindi in una corsa elettrica con “Bodysnatchers”, prima del vortice di “Idioteque” con Yorke che torna danzatore in un corpo ritmico capace di modulare i battiti della sala. In questo fluire trova spazio anche il senso più profondo del tour: un ritorno che non si appoggia a un nuovo disco, ma alle traiettorie che la band ha saputo tracciare in precedenza e che ciascun membro percorre dal 2018 anche con progetti paralleli. L’ultimo capitolo discografico dei Radiohead rimane “A moon shaped pool” del 2016, ma ciò che il gruppo porta a Bologna è un ritrovo di energie che ogni percorso individuale ha permesso di sviluppare, dall’immersione di Thom Yorke in “Anima” al desiderio di sottrarsi alle pressioni con The Smile insieme a Tom Skinner e il sodale Jonny Greenwood, quest’ultimo visto attraversare anche altri passaggi narrativi con Nick Cave, oltre ai progetti di Ed O’Brien, Philip Selway e Colin Greenwood. Ogni percorso separato diventa, dentro questo dodecagono illuminato, una forma di continuità che si regge su una presenza mai statica. Proprio per questo, il palco circolare non costruisce un altare, ma apre un cerchio che respira, si chiude, si apre di nuovo, ricorda che un concerto dei Radiohead è un luogo in cui le presenze appaiono e scompaiono per poi tornare trasformate.

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Il finale si avvolge su se stesso come un’ultima rotazione. Dopo una breve pausa, per “Fake plastic trees” la struttura torna a chiudersi, la band si raccoglie all’interno del proprio guscio luminoso e poi lo riapre in un momento di canto collettivo mentre le torce dei cellulari si accendono. “Let down” scatena l’euforia già dalle prime note, “Paranoid android” riempie la sala di linee taglienti, “You and whose army” si allarga come una provocazione quieta, “A wolf at the door” affila i contorni ritmici, “Just” apre un varco più dritto, e “Karma Police” conclude tutto con la sua formula di smarrimento e riconoscimento. Yorke ripete: “For a minute there. I lost myself, I lost myself.” E davvero, alla fine di un concerto dei Radiohead, ci si perde. Per poi ritrovarsi con più profondità, dentro un luogo che non chiede certezze, ma disponibilità a tornare in sé con uno sguardo diverso. A conclusione, la band si congeda in italiano con un “Grazie, buona notte!”. L'uscita degli spettatori viene quindi accompagnata dagli articoli della “Dichiarazione universale dei diritti umani” che iniziano a scorrere sui megaschermi, a partire dal primo, il diritto all'uguaglianza, a ricordarci che - sotto ogni forma e ogni voce - siamo tutti anime.

Ecco la scaletta della prima data di Bologna, il 14 novembre 2025:

Planet Telex
2 + 2 = 5
Sit Down. Stand Up.
Bloom
Lucky
Ful Stop
The Gloaming
There There
No Surprises
Videotape
Weird Fishes/Arpeggi
Everything in Its Right Place
15 Step
The National Anthem
Daydreaming
Subterranean Homesick Alien
Bodysnatchers
Idioteque

BIS

Fake Plastic Trees
Let Down
Paranoid Android
You and Whose Army?
A Wolf at the Door
Just
Karma Police

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