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«AMY, MIA FIGLIA - Mitch Winehouse» la recensione di Rockol

Mitch Winehouse - AMY, MIA FIGLIA - la recensione

Recensione del 09 lug 2012

(Bompiani, 339 pagine, euro 17.50)

Voto 8/10

La recensione

Se Mitch Winehouse non avesse deciso di devolvere l'incasso derivato da questo libro alla Fondazione benefica istituita nel nome della figlia, avrebbe fatto per sempre la figura dell'avido. Per fortuna così non è. "Dono tutti i proventi da questo libro alla Amy Winehouse Foundation per aiutare bambini e giovani ad affrontare le difficoltà", chiarisce già in apertura mister Mitch per sgomberare il campo dalle malignità. La parte più interessante del volume è indubbiamente quella iniziale, privata, familiare, nascosta, quella che sfugge a Wikipedia (perlomeno finora) e che logicamente possono conoscere i soli parenti stretti. Ma ci sono chicche anche fino alla pubblicazione di quello che sarà il secondo ed ultimo album di Amy: da lì in poi, quando il successo bacia del tutto l'artista, c'è poco che già non abbiamo letto sui siti, sui quotidiani, sulle riviste. Perché da "Back to black" e sino alla fine Amy è stata cinta d'assedio, braccata, inseguita dai famelici tabloid londinesi, e la sua esistenza si è quasi completamente svolta sotto ai riflettori; tallonata anche quando andava al Chippie, il fish & chips della sua zona, paparazzata anche quando faceva solo un salto all'off licence per una bottiglia e le sue amatissime caramelle. "Iniziò a camminare il giorno del suo primo compleanno e da allora divenne abbastanza ingestibile", scrive Mitch. Forse l'uomo non se ne è reso conto, ma è una frase che la dice lunga. E' bello, anche se forse un po' voyeuristico, apprendere com'era Amy quando non era nessuno. "Se cominciava a cantare, non c'era verso di farla smettere", scrive il babbo che, apprendiamo, era cresciuto in Commercial Street, East End di Londra, zona che poi affascinerà la figlia. Si scopre che Amy era una bella rompiballe. "A scuola disturbava e cercava sempre di attirare l'attenzione (...) era indisciplinata". Ma anche precocemente interessata alla musica. "Da piccola le piacevano le TLC e le Salt'n'Pepa, più tardi Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan". Imparò a ballare il tip tap ad una scuola di Barnet, nel settembre 1994 passò alla scuola Ashmole di Southgate. Indisciplinata anche lì. A dodici anni e mezzo eccola alla Sylvia Young Theatre School, mica pizza e fichi, una scuola pubblicizzata solamente sulla bella rivista "The Stage" e che fu frequentata anche da Emma Bunton delle Spice Girls. Lì rimase per tre anni. A 16 anni va alla Brit School di Croydon. Mitch: "Doveva fare un viaggio allucinante di 3 ore". La carriera gliela avvia un amico - amico e basta - che si chiama Tyler James. Quando arrivò il primo vero provino, Amy vendeva abbigliamento fetish al mercato di Camden. Tutto inizia a girare attorno a Camden, dove poi andrà ad abitare e dove la sua vita si concluse. Primo contratto a 17 anni, mentre già porta a casa qualche soldo collaborando con l'agenzia stampa online Wenn. La prima etichetta fallisce, ma ecco la botta di fortuna: Amy viene rilevata dalla 19 Management di Simon Fuller che gestisce le Spice Girls. Le danno 250 sterline alla settimana. Quindi c'è l'anticipo per "Frank": 250.000 sterline. Poco dopo la pubblicazione del primo album mister Mitch si accorge che la figlia inizia a bere. Estate 2004: "Il suo rapporto con l'alcool iniziò a preoccuparmi". "Amava cantare, ma ho sempre avuto la sensazione che non le piacesse davvero esibirsi". Poi la svolta. In peggio. Un peggio che non sarebbe mai finito. Amy fumava erba e beveva, ma era contrarissima alle droghe pesanti. Amy non morì nel luglio 2011, iniziò a morire nei primi mesi del 2005 quando conobbe (al Good Mixer di Camden) quella canaglia che, accecata da chissà cosa, avrebbe pure sposato: Blake Fielder-Civil. Un drogato marcio, mentitore e vigliacco. Il 6 agosto 2007 il primo collasso, poco dopo le nozze improvvise con Blake, l'uomo che la iniziò alle meraviglie del crack e dell'eroina. Blake, sempre Blake, ancora Blake quando l'uomo finisce in galera per aver selvaggiamente pestato il gestore di un pub. Quante volte Amy giura al padre di voler diventare "pulita", quante volte lui la abbraccia, quante volte il giorno dopo Amy è strafatta. Non sono due o tre o dieci o venti, sono dozzine e dozzine. Amy mente a tutti, e prima ancora a se stessa. Mitch la beve. Spesso, anzi sempre. Le crede spesso, anzi sempre. Una volta prende a calci nel sedere Blake: avrebbe dovuto prendere a calci nel sedere sua figlia. Amy come artista è grande, grandissima, ma ha una volontà piccola, piccolissima. Grandiosa e meschina. Quando si esibisce, spesso miracolosamente, è fantastica o imbarazzante. Non ha vie di mezzo. Se beve, non si accontenta di una birretta al pub: si alza alle otto di mattina e si scola subito una bottiglia di vino. L'astinenza, il Subutex, va a lungo a Santa Lucia, sta meglio, beve ancora, si allontana sempre più da Blake ma non riesce e toglierselo dalla mente. E quante altre volte in clinica. Tre, sette, otto, dieci, ormai per lei la "rehab" è come pernottare in un albergo qualsiasi. Smette di farsi. Incredibile. Ma il corpo e la mente hanno bisogno di un'altra dipendenza. E' quella da alcool. Le cose migliorano solo nella primavera 2011, sia con la frequentazione di Reg Traviss che le fa (quasi) scordare Blake, sia con il suo arrivo nella nuova casa di Camden Square. Poi si avvita sempre più nella spirale dell'alcolismo. Quello brutto, cattivo. Rimane per qualche giorno senza bere, poi riprende. Beve in quantità industriali. Arriva l'estate 2011. E sappiamo tutti come è andata a finire. Mitch (forse fin troppo presente nella vita di Amy) non è uno scrittore, non è Hemingway, non è Proust. E' un tassista. Ma il volume si fa leggere, anche tutto d'un fiato, e questo è naturalmente un grande pregio. Meritevole la traduzione, con qualche sbavatura secondaria. Il libro fila. Difficile, sinceramente, chiedere di più. (Franco Bacoccoli)

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