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«CROSSROADS - VITA E MUSICA DI ERIC CLAPTON - SCHUMACHER, MICHAEL» la recensione di Rockol

SCHUMACHER, MICHAEL - CROSSROADS - VITA E MUSICA DI ERIC CLAPTON - la recensione

Recensione del 01 gen 1998

Arcana, £ 32.000

La recensione

"Le luci si abbassano e le fiamme di innumerevoli accendini cominciano a fluttuare in aria, brillando nell'oscurità come migliaia di candele votive che tremolano in una cattedrale. La gente è in piedi, grida e applaude; l'arena è percorsa da un flusso di energia. Dietro il palco, Eric Clapton combatte con l'agitazione che lo assale sempre prima dei concerti. Ama suonare in pubblico, ma è sempre nervoso prima di entrare in scena. Si propone a ogni concerto di controllarsi, ma non si rilassa finché non ha tirato fuori almeno un buon assolo. Questa volta, è la sua vera identità a salire sul palco. E' il suo
Nothing but the blues tour e, per la prima volta nelle sue molte apparizioni negli States, non suonerà letteralmente altro che blues". Ci porta subito nel vivo, l'apertura di questo libro di Michael Schumacher, giornalista americano e grande appassionato di Clapton che della carriera di "Slowhand" ha ripercorso le tappe salienti. Dal trauma iniziale relativo alla sua infanzia (Clapton era stato cresciuto dai nonni e fino ai sei anni pensava che fossero loro i suoi genitori) fino alla recente tranquillità, pagata comunque a caro prezzo, il libro mette in luce quella che di Clapton è la caratteristica fondamentale, anzi, potremmo definirla una sindrome palese, quella della Rockstar Riluttante. Riluttante era Clapton ai tempi degli Yardbirds, quando le istanze pop degli altri prevalsero sulla sua voglia di blues, riluttante rimase nei Bluesbreakers di John Mayall, voglioso in quell'occasione di tornare a suonare per un pubblico da megastar come di fatto fece con i Cream. Poi arrivarono i Derek & The Dominos, band riluttante di una riluttante rockstar in fuga dalla pressione dei Cream, e così via, attraverso i saliscendi del successo, tra la voglia di stare sempre in seconda linea e l'ansia segreta di voler essere illuminato - d'improvviso e a tradimento, ma illuminato - da uno spot che inquadrasse soltanto lui, "Slowhand", "manolenta", "Clapton is God", mentre andava via su uno dei suoi assoli.Clapton è ancora così, e se ha fatto qualche progresso nella gestione del suo personaggio è perché troppe volte è stato sul punto di perdere tutto: rimane comunque un musicista senza personalità, rispetto a colleghi che delle loro cadute hanno fatto uno stile di vita. La discografia solista di Manolenta è, per molti versi, da dimenticare in toto, fatte salve alcune doverose eccezioni, ma del resto è ormai la sua figura ad essere più importante della musica. Clapton ha sostituito al guitar-hero la figura dell'eroe riluttante, l'uomo che chiede salva la propria anima andando in assolo, cercando di strappare qualcosa in più ad una tecnica nient'affatto impressionante. A fare questo è sempre stato il più grande, a bussare alle porte del paradiso è sempre stato il primo: il più umano dei chitarristi, il più chitarrista degli umani. Non l'ha stuprato come Hendrix, non l'ha maledetto come Beck, non l'ha intuito come Page, ma l'ha cercato sempre, questo sì. "Crossroads" lo racconta, con la giusta misura e la necessaria intensità, per incuriosirvi e svelarvi quali trappole si possono nascondere nella testa di un uomo che a vent'anni vedeva il suo nome scritto accanto a quello di Dio su tutti i muri di Londra.

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