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«CANZONI (STORIE DELL’ITALIA LEGGERA) - Edmondo Berselli» la recensione di Rockol

Edmondo Berselli - CANZONI (STORIE DELL’ITALIA LEGGERA) - la recensione

Recensione del 10 apr 2000

Editrice Il Mulino, L. 18.000

La recensione

Noi che tiriamo a campare scrivendo di canzonette (pop o rock che siano, sempre di canzonette si tratta) proviamo una curiosa sensazione quando della materia si occupa qualcuno che non è del “giro”. Specialmente se quel qualcuno è un giornalista “vero”, uno che di solito scrive di cronaca o costume o (addirittura) di politica. Se poi ci troviamo per le mani nientemeno che un libro, benché di sole 180 pagine; se infine apprendiamo, leggendo la quarta di copertina, che l’autore è “editorialista politico al quotidiano «Il Sole 24 Ore»”, noi supponiamo, legittimamente, di poterci attendere un pallosissimo saggio sull’inutilità della musica leggera, sulla sua mancanza di capacità educative, sulla sua povertà di contenuti artistici.

Un paio di mesi fa, girellando in libreria, mi è capitato fra le mani questo libro; che, per fortuna, non era cellofanato. Così, sbirciando e sfogliando, ho notato che come incipit della prefazione l’autore aveva scelto la breve frase che intitola una canzone di Paul McCartney, e nemmeno delle più note: “Silly love songs”. Il che mi ha incuriosito; così - favorito dalla tolleranza dei commessi - ho cominciato a leggiucchiare qua e là. E - caspita! - mi sono reso conto che questo Berselli, che non conoscevo (e non conosco) come editorialista politico, è uno che, quando scrive di musica leggera, si capisce che ne capisce, eccome. E ne scrive bene, e con passione. Sicché, alla fine, ho pagato, mi sono portato a casa il libro e me lo sono letto in una sera. Trovandomi spesso in accordo con le considerazioni di Berselli (particolarmente nei capitoli sul Battisti con e senza Mogol, e in quello su Max Pezzali), a volte parzialmente in disaccordo (nel capitolo su Mina e Adriano Celentano), a volte semplicemente interessato e incuriosito per mancanza di esperienza diretta (“Shel e gli altri”: quando Shapiro e i Rokes facevano tendenza, ero ancora abbastanza giovane per non portare i capelli lunghi. Adesso che sarei abbastanza vecchio, non ho più abbastanza capelli da far crescere).

Forse il capitolo che ho meno apprezzato è quello intitolato “Re Vasco e il divo Claudio”: a mio avviso troppo generoso con il primo e forse troppo severo con il secondo. Ma la scrittura è sempre brillante, a volte spruzzata di umorismo, i pareri sono sempre stimolanti, le citazioni (numerose) di versi di canzoni sono sempre puntuali e - cosa non da poco, credete - precise.
Dunque, questo libro di Edmondo Berselli è un bel libro? Certamente sì. Merita la spesa? Sicuramente sì. Vi consiglio di leggerlo? Di tutto cuore: ma solo se siete convinti di saper accettare, benché provenga da un non-specialista, qualche critica anche feroce a canzoni e interpreti che vi è capitato di amare sperticatamente.
Oh, attenzione: ci vuole anche un po’ di pazienza per leggersi tutte le note al testo (che sono succose ma che, abbastanza scomodamente, anziché essere a piè di pagina sono raccolte alla fine di ogni capitolo) e bisogna essere disposti a fare un po’ di fatica per afferrare appieno qualche passaggio un po’ ostico. Ma ne vale la pena, fidatevi.

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