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«RIDE INTO THE SUN - Brad Mehldau» la recensione di Rockol

“Ride into the sun”, Mehldau riscopre Elliott Smith

Ma il nuovo album del pianista è molto più di un semplice disco di cover

Recensione del 30 ago 2025 a cura di Gianni Sibilla

Voto 7.5/10

La recensione

Elliott Smith e Brad Mehldau hanno molto più in comune di quello che si può pensare: da un latom un cantautore simbolo dell’indie-rock degli anni ’90 e primi 2000, dall'altro  uno dei più amati pianisti jazz degli ultimi 30 anni. “Musicalmente non era un semplice cantautore: mi piacciono in particolare le sue armonie – è qualcosa che mi ha sempre commosso immediatamente fin dalla prima volta che l’ho sentito”, mi ha raccontato Mehldau quando l’ho intervistato qualche settimana fa. "Ha un modo di suonare la chitarra unico, come Neil Young, o come Nick Drake o Joni Mitchell. C’è un approccio quasi orchestrale, c’è una profondità nelle sue canzoni che è più di tre semplici accordi”. Ad unirlo, oltre all'approccio musicale,  c’è la depressione: quella che ha portato Smith al suicidio nel 2003 e che Mehldau ha attraversato anche recentemente.
Il risultato di queste affinità è “Ride into the sun”: un album interamente dedicato a Smith in cui Mehldau sposta il suo percorso di rielaborazione della canzone pop-rock in chiave jazz su un terreno nuovo e personale. L’eredità musicale di Smith viene celebrata non solo con reinterpretazioni ma anche con nuove composizioni, per un album complesso ed emozionante. 

Un disco dalle molte anime

In scaletta ci sono i brani di Smith, a “Better Be Quiet Now” a “Between the Bars”, accanto a “Thirteen” dei Big Star (che lo stesso Smith aveva inciso) e a “Sunday” di Nick Drake, nume tutelare della sua poetica. A questi si affiancano brani originali di Mehldau: così da "Sweet adeline" sfocia in una “Sweet Adeline Fantasy” e la title track è fatta di  due movimenti originali, che prendono spunto da una strofa di "Colorbars": “è un messaggio meravigliosamente ambivalente tra l’amore e la tristezza: non è chiaro se si parla di salvarsi o di morire. È in questo spazio che è vissuta la sua musica”, spiega Mehldau. Scelte che ampliano il linguaggio di Smith fino a trasformarlo in maniera orchestrale e pianistica e ampliano anche quello di Mehldau, avvicinandolo anche alla forma-canzone compiuta, grazie alla presenza di una band e di voci cantanti: con lui ci sono Chris Thile al mandolino e voce, Daniel Rossen (Grizzly Bear) a chitarra e voce, Matt Chamberlain alla batteria, i bassisti Felix Moseholm e John Davis. Una formazione che amplia lo spettro sonoro e gli arrangiamenti, porta le canzoni di Smith in nuovi spazi e recupera le varie anime della musica di Mehldau, che non è solo un bravissimo interprete di standard, ma un grande compositore e arrangiatore.

Un nuovo standard?

Se negli anni passati Mehldau ha mostrato come il pop-rock potesse diventare materiale da standard, con “Ride into the sun” compie un passo ulteriore. Qui convivono almeno tre anime: la cover, la canzone e la scrittura originale. È un disco che invita a riscoprire Elliott Smith, ma che allo stesso tempo riafferma Mehldau come uno dei musicisti più capaci di abbattere i confini tra generi, trasformando il jazz in un linguaggio che ingloba e rilancia la musica del nostro tempo.

Tracklist

01. Better Be Quiet Now (04:03)
02. Everything Means Nothing to Me (05:19)
03. Tomorrow Tomorrow (feat. Daniel Rossen) (04:02)
04. Sweet Adeline (03:21)
05. Sweet Adeline Fantasy (04:44)
06. Between the Bars (05:01)
07. The White Lady Loves You More (04:40)
08. Ride into the Sun: Part I (03:19)
09. Thirteen (04:01)
10. Everybody Cares, Everybody Understands (04:01)
11. Somebody Cares, Somebody Understands (03:48)
12. Southern Belle (feat. Daniel Rossen) (03:52)
13. Satellite (03:52)
14. Colorbars (feat. Chris Thile) (05:23)
15. Sunday (03:33)
16. Ride into the Sun: Conclusion (09:38)
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