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«TELL TALES - Thom Yorke» la recensione di Rockol

“Tall Tales”, il bellissimo delirio di Yorke, Pritchard e Zawada

Una collaborazione che ha portato degli ottimi frutti - e speriamo che non si fermi qui

Recensione del 10 mag 2025 a cura di Giuseppe Fabris

Voto 7/10

La recensione

In attesa di sapere le prossime notizie sulla reunion dei Radiohead, Thom Yorke distoglie l’attenzione dalla sua vecchia band, per presentare un nuovo progetto che lo vede impegnato dal 2020, in piena era Covid, con altri due artisti, Mark Pritchard e Jonathan Zawada. Il primo è una divinità della musica elettronica, fondatore della mitica etichetta Warp e autore di musica sotto vari nomi; il secondo è un visual artist che già in passato aveva collaborato con Pritchard ed è considerato un membro effettivo in quanto ha realizzato tutta la parte visuale, compreso il film proiettato nelle sale di tutto il mondo l’8 maggio - Rockol era a Londra per la proiezione presso il cinema Curzon al centro del quartiere di Soho.

Il film si apre con l’immagine di un faro che scruta con la sua luce nella notte alla ricerca di storie da raccontare, mentre il mare sembra agitarsi sempre di più, vorticando attorno al faro come un vinile al perno centrale. La musica accostata a queste immagini è la title-track “Tall tales”, storie esagerate, almeno per quelli che non vedono con gli occhi di questi artisti. È il brano più inquietante del disco: la voce di Yorke è filtrata, manipolata, distrutta; le parole che percepiamo sembrano avvisarci di cosa ascolteremo e vedremo subito dopo.

“Tell us
Continue
Oh, they thought they were so clever
Desperation
Pick a face
There were these two clowns
Twirling, twirling
Twirling, twirling
Cheap disappearing tricks
Cheap disappearing tricks
Pick a face in the crowd and tell us what you see”

Finita la prima scena, ci troviamo su un’isola rappresentata come un videogioco in trigonometria, con un uccellino antropomorfo che da lì in poi ci porterà lungo la mappa nei punti che rappresentano ogni singolo video. Quindi veniamo catapultati a filo d’acqua con una vista da un oblò di una nave accompagnata da “Ice shelf”: mareggiate sonore accompagnano quelle che si riversano contro la nave, mentre Yorke canta di un pericolo illusorio da cui scappare. È immediatamente chiaro dove vogliono arrivare i testi del cantante dei Radiohead e le immagini di Zawada: i temi sono quelli già affrontati in passato da Yorke, l’uomo che distrugge sé stesso e la natura, la grande illusione del capitalismo e la perenne diffidenza nei confronti delle macchine, a cui si aggiunge un aspetto nuovo che verrà affrontato più avanti.

Nel frattempo siamo arrivati a riva, e una moneta con il logo del duo Yorke e Pritchard rotola sulla battigia accompagnata dalla canzone “The men who dance in stag’s heads”, che è quella che più si distacca dal mood del disco, sembrando quasi un tributo ai Velvet Underground: una ballata lenta con la voce di Yorke che raramente abbiamo sentito toccare note così basse.

Il video seguente, basato sulle note acide di “Gangster”, ci porta in un mondo di corpi distorti tipico di Zawada: probabilmente, se Hieronymus Bosch fosse ancora vivo, realizzerebbe allo stesso modo questo girone infernale in cui vediamo umani incastrati in posizioni assurde; chi non riesce a mettere via niente perché c’è qualcuno che glielo ruba, chi non riesce a togliersi i coltelli nella schiena, immagini che mettono una grande ansia.
“Happy days”, introdotta da un rullo di tamburo molto militare, propone uno Yorke che sembra leggere comunicazioni da banche o dall’Agenzia delle Entrate, per poi cantare nel ritornello:

“Happy days,
happy days
Death and taxes”

Sullo schermo si accavallano dei filmati di una città distrutta da qualche guerra, in cui i bambini svuotano le case per costruire un grande falò, e spezzoni di un film in stop motion molto inquietanti.
Come avrete capito, il film non segue la tracklist del disco, e questo piccolo cambiamento, con l’accompagnamento delle immagini, produce un’esperienza completamente diversa dall’ascoltare solo la musica.
“The white cliffs” è l’estremo sforzo di ergersi in difesa della natura: sullo schermo vediamo contrapposte immagini sull’inquinamento, sulla guerra, sul consumismo, e splendidi panorami naturali.

Il video di “Fake in a faker’s world” si pone come critica a un tema molto caldo, quello dell’intelligenza artificiale: centinaia di braccia robotiche vengono riprese mentre riproducono copie perfette di quadri in tutti gli stili. Nel brano, una base incessante fa da contraltare al canto in falsetto di Yorke, che sentenzia: “Our day will come”.
Seguono i due singoli che hanno anticipato questo disco: “Back in the game”, un brano che profuma un po’ di anni ’80, con le immagini di persone che camminano vestendo maschere deformate e inquietanti, come dei mostri creati dall’AI. Il video di “This conversation is missing” ci porta all’interno di un centro smistamento, ripreso come fossimo all’interno di un pacco che viaggia sui nastri trasportatori, mentre sulle altre scatole vediamo dipinti panorami naturali: un’ennesima critica al consumismo alla base del disastro ecologico che vediamo ogni giorno.

“The spirit” è forse una delle canzoni e dei video più belli: uno scheletro balla sulla sua barca dove raccoglie le anime che vibrano alla stessa frequenza della melodia; i riferimenti alla morte e al Caronte dantesco sono limpidi, ma anche nel testo della canzone si capisce da dove Zawada si sia ispirato.

“I’m still here waiting in line
I keep my boat tied up (Passed from me to you)
Tied up (What we know is true)
I keep my spirit light
There’s a brain in there somewhere
I drink this bottle dry
They can’t break me if they try”

In “Bugging out again” troviamo il personaggio che ci ha guidato nella mappa nella sua forma più grande, mentre attraversa un territorio che cambia continui biomi e incontra personaggi che sembrano bloccati nelle loro azioni, come quelli visti in “Gangster”. Il finale ci concede il meritato riposo su “Wandering genie”, che propone una stratificazione molto complessa di suoni che tendono continuamente a dipanarsi e su cui la voce di Yorke ripete all’infinito “Sto cadendo”. Perfetta colonna sonora per quello che vediamo sullo schermo, dove veniamo fatti precipitare in un vortice di colori e forme indistinte, tratteggiate come un disegno a pastelli.
Un finale che conclude un’esperienza musicale e visiva totalmente avvolgente.

È difficile immaginarlo, ma l’apporto di Zawada risulta veramente necessario per migliorare la percezione che si ha del disco. Se si può indicare qualche difetto, è forse la poca omogeneità tra le singole opere e non si capisce perché non sia stata mantenuta la stessa tracklist anche nel disco: dopo aver visto il film è difficile tornare ad ascoltare le canzoni in un altro ordine.
L’album, dal canto suo, mostra uno Yorke molto rilassato nel farsi manipolare e deformare da Pritchard, mentre nei testi è tornato ad essere più politico e incavolato che mai.

Una collaborazione che ha portato degli ottimi frutti, e speriamo che non si fermi qui.

Tracklist

01. A Fake in a faker's world
02. Ice shelf
03. Bugging out again
04. Back in the game
05. The white cliffs
06. The spirit
07. Gangsters
08. This conversation is missing your voice
09. Tall tales
10. Happy days
11. The men who dance in stag's heads
12. Wandering genie
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