Dentro la stanza dei segreti dei Radiohead

“I Radiohead sono una chiesa con festività, precetti, riti, peccati ed eretici”. Il nuovo libro del giornalista e scrittore Fernando Rennis “Pop is dead - La storia dei Radiohead”, uscito per la cada editrice Nottetempo, conduce il lettore dentro quel tempio magico, entrando nella stanza dei segreti della band di Thom Yorke. A quarant’anni dai primi tentativi nelle sale di musica della scuola di Abingdon, la band è ormai circondata da un’aura mitologica e schiere di adepti, ma non cessa di essere “un disturbo, un’anomalia che rischia di incantarci”. Restano aspetti ancora poco conosciuti della storia e del “fenomeno Radiohead”, stereotipi da smontare, contraddizioni da approfondire, indizi da sondare: come ha fatto Fernando Rennis, che da anni è sulle tracce dei cinque di Oxford e ha parlato con i loro insegnanti e compagni di scuola, intervistato musicisti, registi, giornalisti e collaboratori che hanno incrociato le loro vicende. Attraverso una ricerca rigorosa e uno sguardo appassionato, questo libro ci guida in un viaggio documentato e coinvolgente nel cuore inquieto della musica contemporanea. Grazie alla casa editrice Nottetempo, qui sotto, è possibile leggere un estratto che fa luce sul modus operandi della formazione, sempre lontano dai riflettori. Un’atmosfera di mistero che avvolge da sempre la formazione, pronta a solcare nuovamente i palchi d'Europa in questo 2025.
Nella seconda parte di marzo, per un paio di settimane i Radiohead sono allo studio Mayfair, di Londra, dove Nigel Godrich è impegnato nei missaggi provvisori dei nuovi brani - molti di questi diventeranno definitivi -, per capire a che punto sono i lavori. La segretezza è ai massimi livelli: il gruppo si è portato una cassaforte dove custodire nastri e hard disk; dall'alto dei suoi quasi due metri, Ed O'Brien sorveglia che il personale dello studio non faccia copie delle tracce, rimanendo poi fino a tarda notte per mettere tutto sottochiave. L'ultimo giorno, durante i saluti finali, Yorke ribadisce il concetto: "Non dite a nessuno cosa stiamo facendo". I Radiohead lavorano per quasi dodici ore al giorno, registrano con le luci soffuse, nelle pause giocano a Scrabble.
Stanley Donwood è rintanato in una delle cabine di registrazione e appende alle pareti le tele, man mano che vengono concluse. Gli archi vengono ripresi al Rak, dall'altra parte di Primrose Hill, con il Millennia Ensemble diretto da Everton Nelson. Al Mayfair il gruppo, che stima di avere in tasca 1'80% del nuovo album, riceve la visita di Edge e Hufford. I due hanno ribadito più volte alla band che non vogliono parlare con alcuna etichetta discografica prima che il disco venga chiuso, anche perché, se si tratta di uno dei loro "art house projects" un basso profilo con una realtà indipendente potrebbe essere la scelta migliore, magari optando per una versione esclusivamente digitale in vendita su Internet.
Manager e gruppo si siedono a cerchio in un incontro a porte chiuse. Appurato che la nuova musica non è ostica, Edge e Hufford condividono un'idea accarezzata per la prima volta attorno al 2004, mentre stavano fumando uno spinello seduti sul divano. Avevano ripreso una chiacchierata sul concetto di "valore nell'era digitale" con il loro amico di lunga data Millree Hughes, artista di origine gallese trasferitosi a New York. I tre si erano incontrati al bar dell'Hotel Tribeca Grand, e Edge e Hufford avevano spiegato all'amico che i Radiohead potevano fare qualsiasi cosa adesso che il loro contratto con la EMI era terminato. "Stavamo parlando di un sito web dove si potessero scaricare i brani e l'artwork di un album con una sorta di abbonamento", ricorda Hughes. "Una piattaforma a cui iscriversi per ricevere nuovo materiale, man mano che veniva prodotto" L'unica cosa che aveva infastidito Yorke nell'operazione The Eraser era stato il solito leak apparso in rete prima dell'uscita.
Per il cantante è questo il punto. Il bug del sistema si annida per forza di cose nel passaggio dal mastering dell'album alla produzione in serie negli impianti di stampa. Jonny Greenwood odia quei tre mesi di stallo tra la chiusura del disco e la sua uscita. Ed O'Brien è seccato dalla cecità dell'industria musicale, ormai sempre meno attenta allo "spirito" artistico e costantemente interessata a capitalizzare, lucrando sui back catalogues. Selway è infastidito da quel processo frenetico in cui si punta tutto sulla prima settimana di uscita di un disco per sfruttare la spinta verso il primo posto. Per Colin Greenwood "sta diventando tutto terribilmente prevedibile", non c'è più entusiasmo nella musica.
Insomma, tra i Radiohead serpeggia una generale insoddisfazione. Il gruppo è stanco di una stampa in crisi che copia e incolla le prime recensioni di un disco o riporta, male, stralci di interviste, ma è anche provato dalla lunga gestazione dell'album. Due anni prima era stato messo di fronte a una grande verità: "Dovete essere onesti se non funziona. Bisogna avere passione per quello che fate", si era sentito dire dal management che, vedendo una band alla deriva e senza una direzione artistica definita, aveva suggerito di considerare sul serio la possibilità dello scioglimento. Ci voleva una scossa, qualcosa di "coraggioso e stravagante".
La EMI non è più quella di inizio anni Novanta, e dal 2000 cercava una fusione con la Warner. Le due case discografiche si facevano reciproche offerte di acquisto, ma a gennaio c'era stato il quinto nulla di fatto. Se la storica casa discografica non nascondeva le paure per "un livello di declino del mercato senza precedenti", nemmeno l'industria musicale è quella di un tempo. La rivista Entertainment Weekly pubblica puntualmente articoli in cui suggerisce brani da scaricare da Internet, alcuni tramite acquisto, altri gratuitamente. Perché, allora, non far uscire un disco direttamente in digitale, mettendosi alle spalle il supporto fisico? John Harris lo scriveva fin dal 1999 e i dischi, i Radiohead, se li registrano già comodamente nel loro studio. Possono fare anche il passo successivo?
Ad aprile Godrich si sposta con il gruppo all'Hospital di Covent Garden per ulteriori missaggi, a maggio la EMI accetta la proposta della private equity Terra Firma, fondata dall'imprenditore Guy Hands. I suoi 2,4 miliardi di sterline permettono alla major di "ottenere denaro contante subito, senza incertezze normative". Si tratta di una pessima notizia. Questa è gente che non ha esperienza nel musicbiz e non ne sa nulla. Avrebbe pensato solo a far quadrare i conti. Sarebbe stato un "bagno di sangue". Bryce Edge e Chris Huttord erano stati chiari con Wadsworth, Wozencroft e Hands: i Radiohead preferivano contrattare un disco alla volta. Non volevano rendere disponibile la loro musica su iTunes, che puntava a vendere singoli brani, mentre per loro era ancora importante il concetto di album. Ma i punti cruciali sono i diritti digitali e la proprietà del catalogo. Guy Hands si rifiuta di cedere su entrambe le questioni ed è ottimista.
Nel frattempo, Thom Yorke e Richard Russell, musicista e producer, si sentono spesso. Nel febbraio del 1992, mentre i Radiohead stavano registrando al Courtyard 'Pablo Honey', il capo della XL figurava al settimo posto della classifica britannica con The Bouncer, singolo del duo di cui faceva parte, i Kicks Like a Mule. Al cantante dei Radiohead era piaciuto il bassissimo profilo dell'etichetta indipendente per l'uscita del suo debutto solista. Il sito theeraser.net era già pronto mesi prima della pubblicazione dell'album, Yorke aveva siglato un contratto per un solo disco, in piena armonia con Russell, convinto che il rapporto con gli artisti sia più importante di qualsiasi altra cosa. Per questo aveva cominciato a collaborare con Martin Mills, fondatore e direttore del Beggars, distributore-ombrello di etichette indipendenti tra cui la XL, delegandogli trattative, contabilità e gestione degli affari. Yorke, poi, era rimasto affascinato dal fatto che Russell si prefissasse come unica strategia quella di "far uscire dischi buoni". C'è chi sta lì a pensare al copyright, alla pirateria: tutto questo agli autori non importa, e nemmeno alla XL: "Non offriamo certo soluzioni per l'industria musica”, sostiene Russell. Ma, allora, non si potrebbe replicare per i Radiohead quanto fatto con The Eraser? Certo, con qualche problema in più da risolvere: il gruppo vuole pubblicare il disco da sé, quindi, una volta chiuso l'album, deve provvedere alla parte tecnica e a quella burocratica.
Attorno al tavolo del quartier generale della band è riunito il suo cerchio magico. E in atto una discussione sulla proposta di Edge e Hufford a cui il gruppo ha detto sì, pur avanzando l'idea di non abbandonare completamente il formato fisico. Probabilmente, nel corso del confronto Jonny Greenwood condivide la sua esperienza: passa infatti ore e ore sui forum della compagnia di sviluppo software Cycling '74, dove gli utenti si scambiano patch, consigli e si offrono di controllare e riparare codici chiedendo in cambio un'offerta libera. A qualcuno viene in mente che nel 1994 il duo elettronico Kopyright Liberation Front aveva bruciato 1 milione di sterline sull'isola scozzese di Jura. Non si è mai capito se fossero veri, ma il gesto era eloquente. Ora, se il banco non lo fai saltare, non rimane che mettere le carte in mano a chi sta dall'altra parte del tavolo. E se le persone fossero libere di stabilire il valore di un album?