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Sanremo 2022, Rkomi: “La fame di conoscenza è il motore del mio viaggio”

A bordo di una vecchia Mustang, l’artista racconta il suo percorso: il prosieguo di “Taxi driver”, l’Ariston, Vasco Rossi e i Calibro 35, Marina Abramović, la muay thai e l’importanza della musica suonata.
Sanremo 2022, Rkomi: “La fame di conoscenza è il motore del mio viaggio”
Credits: Ufficio Stampa

In corso San Gottardo è parcheggiata una Mustang del 1967. Le luci squarciano il buio di Milano. La musica di Rkomi si nutre della notte perché è in quel momento della giornata che i sentimenti corrono più veloci, fra riflessione e malinconia. Il suo “Taxi driver” è stato l’album più venduto dello scorso anno. Ma la strada continua, le curve e le salite anche: tutto porta al Festival di Sanremo dove presenterà “Insuperabile”. Canzone che fa parte della continuazione del suo disco a cui si aggiungono otto nuove tracce. Saliamo a bordo della Mustang insieme a Mirko, con giacca elegante e scarpe a punta, per farci raccontare il suo viaggio personale e artistico, che dalle radici dell’hip hop è arrivato al rock, al cantautorato e al pop in un susseguirsi di salti e sgommate che lo hanno trasformato.

Che percorso facciamo?
“Facciamo un giro in centro. Saremmo dovuti partire da Calvairate, ma sarebbe stato troppo lungo. Per me quel quartiere è tutto, anche se negli anni si sono accumulate tante esperienze diverse. Io non amo fossilizzarmi. Lì ho aperto una palestra, ci sono le mie radici, ma non penso che una sola zona, un solo luogo possa raccontarmi”.

Ti senti sempre in viaggio?
“Sì. Se penso alle mie scelte di vita e artistiche, mi rendo conto di essere cambiato tanto. La mia musica è frutto di quel cambiamento. Parto dal rap, ma ho abbracciato tanti diversi pianeti. Non mi sento di appartenere a un solo genere musicale. Da qualche mese ho iniziato a studiare perfino pianoforte”.

Hai paura di rallentare?
“Mi metto sempre alla prova perché la vita è un dono. Io ho una grande paura di sedermi, di fermarmi. Questo non vuol dire che io non sappia stare fermo o in silenzio, ma per me la fame di conoscenza è il vero motore del viaggio”.

Qual è il punto di partenza?
“Tutto forse parte dalla curiosità. È lei che mi ha portato verso nuove strade. Io arrivo da un’infanzia con tante lacune sotto diversi aspetti. Ma ho capito che per cambiare bisogna anche sbatterci la testa: non è detto che si vinca, ma è importante farlo. Se domani mi svegliassi e mi impuntassi di scalare una montagna, mi metterei subito a fare pratica di arrampicata. Farcela o non farcela non è così importante, tutto per me è in quella volontà di provarci”.

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Il 28 gennaio farai uscire un prolungamento di “Taxi driver” con otto nuove tracce fra cui “La coda del diavolo” con Elodie e inediti come “Maleducata” con Dargen D’Amico. Quando hanno preso forma?
“Dopo ‘Taxi driver’ mi ero imposto di non scrivere per un po’. L’uscita del disco fu una liberazione, volevo godermela senza tornare in studio. Spesso dopo un’uscita si ha subito voglia di comporre nuovi brani. I primi pezzi di ‘Taxi driver’, infatti, nacquero proprio immediatamente dopo ‘Dove gli occhi non arrivano’. Questa volta mi imposi di non scrivere. Per qualche mese l’ho fatto. Poi però sono arrivate delle canzoni nuove che per me, però, non formano una repack. È proprio la continuazione del viaggio e l’ho affrontata come un disco nuovo di zecca”.

C’è anche il brano che porterai a Sanremo.
“‘Insuperabile’ è di grande grinta. È un ibrido. C’è il rock, c’è elettronica e il ritornello è pop. Rappresenta molto il cuore di ‘Taxi driver’. Racconta una storia d’amore conflittuale: paragono un’auto sportiva a una donna bellissima, ma difficile da gestire e pericolosa. ‘L’ultima curva insuperabile’ può essere lei, può essere il mio percorso, può essere tutto quello che l’ascoltatore vuole che sia”.

La band e gli strumenti sono diventati irrinunciabili compagni di viaggio?
“Assolutamente, sono diventati centrali per me. Parte tutto da due persone con cui ho collaborato: Jovanotti ed Elisa. Rimasi stregato dal Jova Beach Party, dalla sua dimensione strumentale. Elisa invece mi ha colpito perché sa gestire la musica in ogni aspetto: scrive, si produce, si registra. Voglio anche io raggiungere quel tipo di controllo”.

Hai registrato al Teatro Dal Verme l’Mtv unplugged di “Taxi driver”. Che tappa è stata?
L’Mtv unplugged è stata una sfida che non credo di aver vinto del tutto. Ma ho imparato qualche cosa di importante. Credevo che ci fosse un palco preferito, un palco a cui ambire, pensavo fosse quello di uno stadio. In realtà non la penso più così. Ogni palco, dal più piccolo al più grande, ha la sua energia. Una sacralità”.

Ammettere i propri limiti ormai è un tabù. Gli artisti sembrano dover essere dei supereroi.
“Io sono consapevole dei miei attuali limiti artistici, ma questo non vuol dire non crederci, non approfondire. C’è tanto da imparare? Sì. E io voglio farlo. Sono certo che tutto questo ripagherà”.

Che cosa stai approfondendo in questo periodo?
“Adesso sono in fissa con Marina Abramović perché mi sta offrendo degli strumenti per vedere l’arte in modo diverso. Lo sguardo, l’energia, la performance. Mi piace tuffarmi in mondi che non conosco, da cui trarre degli insegnamenti”.

Il successo di “Taxi driver” ti ha fatto sbandare oppure oggi tieni il volante più saldamente?
“Non penso mai al successo di ‘Taxi driver’. Questo non vuol dire fregarsene. Non è questo. Sono riconoscente e soddisfatto. So godermi la felicità. Ma per me un successo è come farsi la barba. Non voglio rimanere fossilizzato su una mia rappresentazione. C’è da ripartire subito, c’è da lavorare. Penso sempre a un nuovo presente”.

Interpreterai “Fegato, fegato spappolato” di Vasco a Sanremo nella serata delle cover. Sarà un medley anche con altri brani dell’artista. Perché?
“Io sono un grande fan di Vasco e del cantautorato italiano. In un primo momento ho pensato a Dalla, poi a Battisti e a Rino Gaetano. Poi avevo in testa ‘A muso duro’ di Bertoli, ma la porta in gara Sangiovanni. Allora sono planato su Ivano Fossati, che al momento per me è uno dei punti fermi più importanti, ma non trovavo il pezzo giusto. Alla fine ha vinto Vasco perché si avvicina di più a quello che sono: canta, ma non è solo un cantante. Rappa, ma non è un rapper. Vorrei assomigliargli”.

Come è entrato nella tua vita?
“Me lo ha fatto conoscere mio fratello e un grandissimo amico che ha fatto quasi tutte le date possibili di Vasco da quando l’età glielo ha permesso. Un ultras di Vasco e anche ultras del Milan”.

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Con te ci saranno i Calibro 35, musicisti straordinari.
Tommaso Colliva è un genio, ha lavorato con i Muse e con altre band pazzesche. Tutti i Calibro, presi singolarmente, sono dei geni. Li apprezzo perché in questi ultimi anni ho capito l’importanza della musica suonata. Non ero certo che avrebbero accettato quando li ho chiamati. Il brano che avevo proposto in un primo momento era un altro. Lo abbiamo lavorato per settimane a distanza, poi ci siamo visti in studio per registrarlo. Ma abbiamo stravolto tutto e abbiamo fatto Vasco: provato e tirato giù in un paio d’ore. Assurdo, ma è andata così. Hanno vinto due ore di energia pura in studio contro settimane di prove a distanza”.

Che cosa rappresenta per te Sanremo?
“Sanremo è importante, ma non indispensabile per una carriera. Per me è soprattutto un’esperienza formativa. Lavorare con un’orchestra è tutt’altro che semplice. Fa crescere, fa venire paura, è sfidante. E questo è quello che davvero mi interessa”.

Sogniamo: la macchina su cui siamo seduti può volare. Dove vorresti andare?
“Vorrei tornare in Thailandia. Per me l’Oriente ha un grande fascino, vorrei girarlo interamente quando i soldi lo permetteranno. Tutto parte dal mio amore per la muay thai”.

Sei una persona spirituale?
“Credo in un’energia, sento una forza che proviene dall’essere umano e dall’universo. In Thailandia non ho fatto il turista. Andai con la palestra: il mio maestro, che è un fratellone, ha la moglie thailandese. Non ho visto i luoghi più classici, siamo andati nelle campagne più sperdute. Mi sono allenato tutti i giorni, dalle 6 alle 9 del mattino. Poi i più giovani di quei posti vanno a scuola o al lavoro e alle 14 riprende l’allenamento. Questo è il piano dell’atleta. È un’arte sacra che permette di scappare dalla povertà”.

Che cosa ti ha dato a livello artistico l’arte del combattimento?
“Ho capito la potenza della curiosità. Ho iniziato a leggere, sono partito da libri sportivi per finire ad approfondire tanto altro. E poi questo maestro, questo fratellone, è stato ed è fondamentale nella mia vita. Mi ha fatto anche da padre. E la palestra è la mia famiglia. La muay thai porta a capire meglio te stesso e il prossimo, a dare un peso a più lati della tua vita”.

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