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Ed O'Brien e Phil Selway raccontano perchè i Radiohead, con il nuovo 'Hail to the thief', sono rinati come band...

I Radiohead sono senza ombra di dubbio uno dei gruppi più seguiti del rock. Ogni mossa viene monitorata con attenzione da schiere di fan, che hanno identificato il gruppo nell’icona musicale dell’ultimo decennio. E non si contano più le nuove band che prendono a modello i suoni e le vocalità rese famose da Thom Yorke, Ed O’Brien, Jonny e Colin Greenwood e Phil Selway.
Naturale che un disco nuovo del gruppo di Oxford non passasse inosservato. Dopo il processo sofferto e un po’ contorto che ha portato alla nascita di “Kid A” (e del suo gemello “Amnesiac”), “Hail to the thief” è nato con molta più spontaneità, ma non con meno aspettative da parte del pubblico. Tanto che il disco è finito in rete a tre mesi dalla sua pubblicazione ufficiale. Abbiamo intervistato Ed O’Brien e Phil Selway per farci raccontare “Hail to the thief”, partendo proprio da questo chiaccheratissimo evento.


Il vostro disco, o meglio, una versione non definitiva, è finita in rete con grande anticipo sull’uscita. E voi vi siete arrabbiati non poco…
Phil Conway: Il fatto è che abbiamo un processo di lavorazione lungo, e non ci piace che la gente senta la nostra musica prima che noi non ne siamo soddisfatti al 100%. Quella versione del disco è stata intercettata un bel po’ prima della nostra approvazione: le canzoni non erano mixate né masterizzate. E’ questo che ci è dispiaciuto.

Vi siete fatti un’idea di come sia potuto succedere?
Ed O’ Brien: No, ma lo scopriremo… C’è chi sostiene che la possibilità di trovare il disco in rete in anticipo sia un fattore positivo: i fan lo ascoltano, poi lo comprano…
Ed: potrebbe essere così, per certi versi, soprattutto se il disco è difficile. “Kid A” è finito in rete un mese prima e questo ha permesso di far capire la sua complessità. Ma se il disco è più accessibile, forse è un danno. Credo che, alla fine, tutto questo dibattito sia molto simile a quello degli anni ’80, quando l’industria discografica aveva coniato lo slogan “Home taping is killing music”, le cassette stanno uccidendo la musica. Sono cavolate: se ti piace un disco te lo compri. Forse oggi le cose sono cambiate, perché la qualità è maggiore, ed il problema vero è che è per noi trentenni è difficile capire come ragiona al proposito un ragazzino di 15 anni: gli bastano gli MP3 o vuole anche il disco originale?

Credete che “Hail to the thief” sia un disco più accessibile, e che quindi sia stato sfavorito dalla sua comparsa in rete?
Phil: E’ sicuramente un disco più lungo dei precedenti, che chiede più tempo per essere digerito. Se prendi le canzoni individualmente, sono sicuramente più dirette. Ha un feeling più schietto perché nasce dall’esperienza live, dal modo in cui ci siamo ridefiniti come band imparando a suonare dal vivo canzoni complicate come quelle di “Kid A” e “Amnesiac”.
Ed: E’ vero, è sicuramente un disco con più energia che nasce dalla gioia di suonare assieme. Con questo album ci siamo rimessi in gioco.

Ad un primo ascolto, “Hail to thief” sembra unire l’immediatezza di “Ok computer” alle sperimentazioni di “Kid A”. Siete d’accordo?
Ed: Sostanzialmente sì. Come diceva Phil, è un disco che riflette il suono dei Radiohead dal vivo. Ma è anche vero che ogni disco dei Radiohead è nato dalla ricerca di nuovi tessuti sonori e di nuovi modi di registrarli. In questo caso è cambiata la cornice: nelle session di “Hail to the thief” ci siamo lasciati andare, ed è da qua che è nato lo spirito di questo album. Non ci siamo fatti troppi problemi, questa volta.

“Kid A” e “Amnesiac”, in effetti, suonano come dischi molto più dolorosi, al confronto.
Phil: E’ cambiato il nostro grado di sicurezza. Al tempo eravamo preoccupati di non ripeterci, di allontanarci da quello che avevamo fatto in passato, soprattutto lavorando in modo nuovo. Non è che non credessimo in quello che stavamo facendo, ma ci siamo trovati prima in difficoltà nel trovare il bandolo della matassa in tutte quelle idee, quindi nel prendere quelle canzoni e suonarle dal vivo, su un palco.
Ed: La pressione che abbiamo subito arrivava principalmente da noi stessi. E, certamente, non c’era un’atmosfera gioiosa in studio, mentre stavamo registrando “Kid A”.

In “Hail to thief” siete tornati verso la forma-canzone, dopo averla un po’ rinnegata nei dischi precedenti…
Ed: La cosa importante è che non devi annoiarti mentre fai musica. Per questo motivo è vero quello che dici. Però poi, ad un certo punto, ti rendi conto che se il tuo obbiettivo è quello di comunicare qualcosa a qualcuno in tre minuti, certe strutture sono quelle che funzionano meglio. In “Hail to thief” ci sono canzoni molto sperimentali e complesse, ma anche canzoni strutturate più tradizionalmente. In fin dei conti ci piace lavorare sulle strutture, anche solo per sovvertirle. Ma sono convinto che, in fin dei conti, una canzone sia buona se ha anima.

In questo disco ci sono anche molte più chitarre. Ed, sarai contento…
Ed: Si! Non è che non lo fossi in precedenza, anzi. Solo che in “Kid A” mi ero stufato di suonare sempre allo stesso modo. E’ proprio una questione fisica: i gesti che fai, i modi in cui li fai, esprimono la convinzione che senti nel farli. In quel periodo suonare la chitarra sempre allo stesso modo non mi convinceva per niente. Il punto, comunque, non è tanto che ci siano le chitarre in questo albu,. Non siamo più una indie guitar band. Siamo una band, però, molto di più che al tempo di “Kid A”. Per esempio, il suono della batteria ora è determinante: più che adattarsi alla voce di Thom, come in passato, è la voce che si adatta al ritmo.

Passando al titolo, anch’esso ha fatto molto discutere. “Hail to the thief”, oltre che un verso di “2+2=5” è uno slogan anti-Bush.
Ed: Non siamo la band che va in giro urlando “questo è un disco anti-Bush!”. Però ogni disco riassume un periodo, quello in cui l’hai concepito, e il titolo è fondamentale in questo senso. E’ successo con “Kid A”, è successo con i dischi precedenti. Semmai, nell’ultimo periodo, Thom si è guardato molto di più verso l’esterno nello scrivere i testi, e questo si nota anche nella scelta del titolo. Si, è uno slogan usato da chi riteneva illegittima l’elezione di George W. Bush a Presidente degli Stati Uniti. Ma riguarda una delle tante cose successe in questi anni che hanno costruito il senso di paura che contraddistingue il presente e che riguarda il futuro.
Phil: Thom ci diceva, mentre scriveva le canzoni, che aveva in mente un senso di oppressione, come se qualcosa di enorme fosse all’orizzonte. Un cataclisma ambientale, umano, che si è verificato nel frattempo, purtroppo.
Non avete paura che questo venga definito come un disco politico? Ho fatto questa stessa domanda ai Blur, e mi hanno risposto che è meglio parlare un disco che parla delle cose in cui credere, perché la politica ormai allontana la gente.
Ed: Uau! Questa risposta è buona, posso segnarmela? Comunque, Thom non ha mai pensato che “Hail to the thief” fosse un disco politico. Forse noi, leggendo i suoi testi durante la lavorazione, ci rendevamo conto meglio di quanto questi testi avessero riferimenti precisi a quello che stava succedendo.

(Gianni Sibilla)

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