 L’ultima volta che i Millencolin sono passati dall’Italia, per il tour 
promozionale di “Pennybridge pioneers”, si sono trovati di fronte a un 
pubblico sorprendentemente vasto. Segno che il passaparola funziona ancora, 
visto che la band svedese non ha certo goduto di un’esposizione mediatica 
massiccia. Il nuovo album “Home from home” mostra il quartetto intento ad 
aggiornare la formula melodico/aggressiva imparata dai Bad Religion con un 
pizzico di furia in meno, senza per questo darne una versione rammollita. Il gruppo, nei prossimi giorni, tornerà in Italia per presentarlo dal vivo con due due date, il 3 maggio a Milano e il 4 a Roma.
     L’ultima volta che i Millencolin sono passati dall’Italia, per il tour 
promozionale di “Pennybridge pioneers”, si sono trovati di fronte a un 
pubblico sorprendentemente vasto. Segno che il passaparola funziona ancora, 
visto che la band svedese non ha certo goduto di un’esposizione mediatica 
massiccia. Il nuovo album “Home from home” mostra il quartetto intento ad 
aggiornare la formula melodico/aggressiva imparata dai Bad Religion con un 
pizzico di furia in meno, senza per questo darne una versione rammollita. Il gruppo, nei prossimi giorni, tornerà in Italia per presentarlo dal vivo con due due date, il 3 maggio a Milano e il 4 a Roma.Se il passaparola (con l’appoggio della Epitaph) dovesse funzionare anche negli Stati Uniti, potrebbe essere il grande momento per il gruppo. I Millencolin però non ne sono così sicuri, e comunque non se ne preoccupano granché: sono più che contenti di come stanno andando le cose, come ci ha spiegato il chitarrista Erik Ohlsson.
Perché avete scelto il titolo “Home from home”?
Il titolo si riferisce al fatto che la musica è la casa quando non siamo a casa. In pratica il gruppo è la nostra seconda famiglia. Nikola (Sarcevic, bassista e cantante) è come un fratello per me e, soprattutto in tour, sul bus insieme al road manager e al gruppo, l’atmosfera è esattamente la stessa che provi quando sei a casa.
Mårten Cedergran dei Bombshell Rocks canta nel pezzo che dà il titolo all’album. E’ anche lui uno di famiglia, visto che il suo gruppo è stato a lungo in tour con voi?
Volendo, si può anche considerare la cosa in questo modo. In realtà la collaborazione è nata diversamente. I Bombshell Rocks hanno un pezzo, “Microphone”, che parla della musica con lo stesso nostro punto di vista. Quindi Nikola ha deciso di scrivere insieme a lui il testo di “Home from home”. Visto che è coautore, Mårten ha partecipato anche alla registrazione del pezzo.
Questa volta gli arrangiamenti sembrano un po’ più orientati verso il rock, non sembrate cercare a tutti i costi la velocità. Era vostra intenzione allontanarvi almeno parzialmente dal punk?
Il modo in cui suoniamo dal vivo ha influenzato la registrazione dell’album. Penso che i nostri concerti siano diventati più rock, in un certo senso. Abbiamo imparato come esprimere più energia sul palco: a volte, limitarsi a suonare veloci mette in secondo piano il groove. Questo ha un po’ cambiato il nostro modo di suonare. Comunque le canzoni sono state scritte alla solita maniera. Il suono è più rock in effetti ma penso che chi ci ha già ascoltato non farà fatica a riconoscerci.
La scelta del produttore è stata determinata da questa direzione più rock?
No, è stata una questione di conoscenze comuni. Siamo entrati in contatto con Lou Giordano tramite i Samiam, con cui ha lavorato. Ci hanno parlato molto bene di lui: Lou ha registrato molti musicisti diversi e sa come ottenere un buon suono in qualsiasi situazione. Noi volevamo avere un suono potente ma non troppo pulito. Quando i suoni sono troppo curati si ha sempre l’idea di una produzione eccessiva. Ci piace mantenere un po’ di ruvidezza.
“Afghan” sembra un commento alle conseguenze degli attentati dello scorso settembre.
Se non fosse per il titolo, potrebbe anche non sembrarlo: se leggi il testo non ci sono riferimenti diretti e non viene citato nessun nome. In effetti, descrive una situazione che si verifica in qualsiasi scuola tutti i giorni: il ragazzo più forte a volte deve fare mostra della sua forza su quelli più deboli. Sfortunatamente, questo accade anche su una scala più larga: chi comanda il mondo sente di dovere riaffermare il proprio ruolo di leader e questo procura sofferenza a molta gente. La canzone parla di questo: l’odio genera altro odio. Gli attentati di settembre sono stati orribili e hanno causato sofferenza. Come conseguenza, gli afgani, abitanti di uno dei paesi più poveri del mondo, sono stati bombardati. Nessuno sa con certezza quanta gente sia morta, perché c’è uno stretto controllo sui media. George Bush doveva riaffermare il proprio potere e alla fine i risultati sono questi. Amo l’America, ma non mi piace Bush. Naturalmente è necessario combattere i terroristi, ma siamo sicuri che bombardare un intero paese sia il metodo migliore? La cosa buffa è che il titolo “Afghan” era semplicemente quello che usavamo mentre lavoravamo alla canzone e lo abbiamo scelto solo perché la parte di chitarra era ispirata agli Afghan Whigs. Il pezzo è nato prima dell’11 settembre, poi ci sono stati gli attentati, Nikola ha deciso di tenere il titolo e il testo è diventato quello definitivo.
Due anni fa, Nikola mi ha detto che era molto toccato dalla guerra nella ex-Jugoslavia, anche perché aveva ancora dei familiari lì, ma non aveva intenzione di scrivere nessuna canzone sull’argomento, lo considerava troppo pesante. Adesso invece non avete esitato a toccare un tema politico.
Abbiamo sempre avuto delle opinioni e delle posizioni politiche. Personalmente, sento di non avere le basi per trattare in modo approfondito argomenti politici, come fa invece Dennis Lyxzén degli (International) Noise Conspiracy. Nel suo caso, la politica è uno dei suoi interessi più grandi, per me è diverso: sono informato ma non sono certo il tipo che legge tutte le riviste e tutti i libri che parlano di teorie e questioni politiche. Penso però che le nostre canzoni siano sempre state politiche, anche se a un livello personale. Parliamo della politica che riguarda quello che ti circonda, i tuoi amici, te stesso, le situazioni che devi affrontare mentre cresci.
Veniamo alla copertina, che hai realizzato tu. Perché sul ritratto di Nikola c’è la scritta “La storia di un giovane cantate slavo che pensava sempre che l’erba fosse più verde dall’altra parte”?
E’ una specie di scherzo, ma in effetti lui è un po’ così. E’ sempre alla ricerca di qualcosa che possa farlo stare meglio. E’ sempre stato così. Una volta pensa che spostarsi in campagna in una fattoria con la sua ragazza sia la scelta di vita perfetta per lui, quindi lo fa e dopo un po’ di tempo si rende conto che gli manca quello che faceva prima. Penso che il testo di “Greener grass” sull’album spieghi bene il modo in cui Nikola si sente.
Tu invece ti sei ritratto come una specie di eroe fra “Guerre stellari” e “Top gun”. E’ ironico, spero.
Ovviamente sì. E’ stato l’ultimo che ho fatto. Ho cominciato con quello di Mathias (Farm, l’altro chitarrista), per divertimento. Sono un grande appassionato di poster cinematografici, ho un sacco di libri sull’argomento ho realizzato l’immagine di Mathias ispirandomi alle locandine dei film di arti marziali e l’esperimento mi è piaciuto. Poi sono passato a Fredrik (Larzon, il batterista), che ho disegnato come uomo-lupo, mezzo essere umano e mezzo animale. Questo perché è un tipo tranquillo, ma ogni tanto quando beve si trasforma in una bestia e mi divertiva ritrarlo in quel modo. A quel punto mi è venuta l’idea che avremmo potuto avere un poster per ognuno, e ho fatto Nikola usando la grafica di un poster comunista, visto che viene dalla ex-Jugoslavia. Ovviamente, è solo divertimento, non c‘è nessun messaggio politico in questo. Mancavo solo io e non mi veniva in mente niente di buono. All’ultimo momento ho optato per questa soluzione, giusto per avere quattro generi di poster diversi.
Dopo l’album, partite per il solito tour, che passerà in Italia a Maggio. Si può dire che tornate a casa?
In un certo senso sì, come ti spiegavo prima. Staremo in giro per diversi mesi e sinceramente non vedo l’ora. Abbiamo fatto gli ultimi concerti lo scorso settembre, come supporto per i Blink-182 e gli Offspring negli Stati Uniti e ormai mi sono abituato a viaggiare molto: restare a casa per troppo tempo comincia a darmi sui nervi (risata). Certo, nel frattempo siamo stati molto occupati a registrare l’album, ma a me diverte molto girare in altri paesi, quindi avevo voglia di riprendere con quella vita.
Eppure ormai siete sulla scena da un po’ di anni, altri gruppi comincerebbero a stancarsi. Pelle, il cantante degli Hives mi ha detto che loro vogliono fare al massimo un altro paio di album e poi scomparire...
L’ha detto davvero?
Sì, ma in effetti era prima che avessero successo in Inghilterra. E comunque non mi sembrava particolarmente serio quando l’ha detto.
Gli Hives sono molto divertenti. Diciamo che hanno un’immagine e ci giocano... Conosco Pelle da diversi anni, quando aveva 14 anni invadeva il palco ai nostri concerti e cantava al microfono le nostre canzoni. Penso che gli Hives siano un grande gruppo e sono contento che le cose si stiano mettendo bene per loro. Quando entri in classifica in Inghilterra - boom - esplodi.
Già. Voi però avete probabilmente più possibilità di attirare attenzione negli Stati Uniti.
Forse sì, ma non voglio fare paragoni con loro. Veniamo dalle stesse radici ma siamo due gruppi diversi. Comunque, non pensiamo al fatto di poter funzionare in un paese o in un altro, prendiamo le cose come vengono. Sono molto orgoglioso dei nostri fan, c’è un sacco di gente che ci segue da paesi diversi, si collegano in tanti al nostro sito web e ci mandano messaggi. Sono contento che le cose vadano così e questo è l’importante.
(Paolo Giovanazzi)