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Il cantautore milanese lancia qualche coltello, ma non per ferire...

Lanciare coltelli, per disegnare la realtà, non per ferire o uccidere. Roberto Vecchioni ha scelto questa metafora per dare il titolo al suo nuovo album. Un artista, il lanciatore di coltelli, più paragonabile ad un pittore che ad un maestro d'armi.
Un disco diviso tra canzoni pubbliche (la definizione di Berlusconi come “Il mago di Oz” ha già fatto notizia) e private, in cui si parla d’amore come della salvezza del singolo, che verrà portato in tour a partire dal 3 febbraio prossimo (prima data a Faenza, chiusura il 29 aprile a Brescia). In questa intervista, il cantautore milanese parla del nuovo disco, della collaborazione con Mauro Pagani, del suo nuovo impegno letterario. E da bravo “padre” del cantautorato italiano, parla dei “figli” armati d’ironia…


Partiamo dal titolo “Il lanciatore di coltelli”, un’immagine molto forte… A chi vorresti lanciare questi coltelli?
I coltelli si lanciano contro il male, l’ipocrisia, l’incapacità di capire gli altri, il chiudersi in se stessi. I coltelli si lanciano non solo per colpire, ma anche per delineare una sagoma, per mettere in evidenza una realtà. Il vero lanciatore di coltelli non tira per far male, ma per fare vedere i contorni di una persona o di qualcosa. E’ una sorta di pittore, per certi versi.

A proposito di dipingere, una delle tue canzoni ritrae Berlusconi come il “Mago di Oz”. Come è nato questo “dipinto”?
Quando ho riletto il romanzo di Frank Baum l’ho trovato attualissimo e ho pensato che eravamo nella stessa situazione: quella di qualcuno che promette e non mantiene. Una cosa che capita spesso con chi detiene il potere. Così è nata questa tarantella scritta con Mauro Pagani.

Anche “Figlio, figlio, figlio” parte da un riferimento letterario, a Jacopone da Todi. Nella canzone cerchi di superare la classica idea del “gap generazionale” a cui si rifanno tutti quando parlano della questione.
La verità è che non c’è “gap generazionale” perché siamo tutti nella stessa merda! Abbiamo le stesse ombre e gli stessi dubbi, padri e figli. Noi padri dobbiamo sapere che i figli ci attaccheranno comunque e non ci daranno sempre ragione. Tuttavia concepisco un rapporto dialettico e pacificato tra gli adulti e le nuove generazioni, purché i più anziani siano coscienti che i giovani debbano fare le loro esperienze. In un certo senso si può dire che i figli debbano metaforicamente uccidere i genitori, che, a loro volta, devono assumere un atteggiamento autorevole, non autoritario. Bisogna aiutarsi, dobbiamo dare una mano ai nostri figli, aiutarli quando cadono, ma non sorreggerli sempre perché devono trovare la loro strada. Dobbiamo sapergli dire di no, ma senza falsi moralismi: devono credere in noi perché siamo credibili, non perché imponiamo loro di farlo.

Tornando alla musica, prima accennavi alla collaborazione con Mauro Pagani. Come ti sei trovato a lavorare con lui?
Benissimo. Abbiamo studiato insieme ogni cosa, non è mai andato contro alle mie idee e non ha mai esagerato con il tentare di impormi sue soluzioni troppo personali. Non ha voluto musicare troppo le canzoni con fronzoli inutili. Mi anche aiutato con i testi, dandomi consigli su quali parole tenere, quali eliminare e quali aggiungere.

Hai presentato questo disco come diviso tra canzoni “pubbliche” e canzoni “private”…
Alcune canzoni parlano di problemi di oggi e di sempre: Dio, questa guerra infinita vista da un ragazzo ebraico, l’omosessualità, il potere. Sono temi che in realtà non ho mai affrontato in passato, visto che mi sono concentrato su miti, storia, questione lontane nel tempo e lontane dal tempo, magari lette in nel presente. Nelle canzoni “private” ho scelto di parlare di me, del mio modo di vedere l’amore, soprattutto quello con la mia compagna, come unica difesa contro il senso della vita che è non è mai certo.

Nei tuoi progetti futuri, oltre alla musica, c’è anche un ritorno alla scrittura dopo i due romanzi pubblicati per Einaudi?
Farò un terzo libro, sempre per la Einaudi. Ad aprile finito, il tour, inizierò a scrivere un nuovo romanzo che si intitolerà “Finistére”. Sarà una storia un po’ particolare, che parlerà di persone che credono in Dio in diversi modi. Sarà un libro futurista: queste persone saranno emarginate in un mondo lontano perché il nostro vive solo di razionalità. Comunque la mia occupazione principale rimarrà sempre quella del cantante e musicista.

C’è qualche giovane cantautore che ti piace particolarmente per la scrittura dei testi?
Mi piace tutto quello che è innovativo, ma io sono uno della generazione di Guccini, De André, Dalla, DeGregori… Il rapporto tra musica parole nel quale mi ritrovo è quello che si è fatto strada negli anni ’70. Penso invece che l'ironia sia l'arma principale delle “nuove leve” della canzone d'autore: i nostri “temi caldi” erano la politica e la società, mentre oggi le opere migliori nascano da un approccio più sarcastico nei confronti della vita. Mi viene in mente Olmo, o Elio e le Storie Tese: adoro le loro canzoni.

(Davide Poliani/Gianni Sibilla)

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