
Il vostro primo hit, "Sultans of swing", rimane un tributo alle band che non hanno avuto il vostro stesso successo, e che hanno continuato ad amare la musica...
A quei tempi bivaccavamo in un pub quasi deserto dalle parti di Deptford: era praticamente vuoto e il gruppo che suonava era veramente messo male in arnese, faceva questi standard dixieland di Louis Armstrong, come sempre. Sono gente interessante, questi gruppi fatti da persone che nella vita di tutti i giorni fanno tutt’altro, vero? Sono postini, disegnatori, qualsiasi cosa, sorveglianti, maestri, altre cose e suonando in un gruppo riescono comunque ad esprimersi. Voglio dire, c'è una cosa che mi colpisce, che in qualsiasi modo mi potessi sentire nel vederli, il modo in cui dicevano ‘grazie’ era commovente; sai, "I Sultani dello Swing", con un nome così...non erano un gruppo di musicisti altezzosi, anzi al contrario, sembravano dei poveri cristi stanchi con i loro pullover addosso (risate).
Consolidavate la vostra fama nei pub e nei club, e contemporaneamente "Sultans..." era già un hit in Europa, Australia e negli States prima ancora di diventarlo in Gran Bretagna.
Devi abituarti all’idea di suonare di fronte ad un pubblico che a volte può essere persino meno dei componenti della band. Mi ricordo di una volta alla Dundee University, quando l’addetto all’organizzazione degli spettacoli per gli studenti ci scritturò per una serata ma scelse una data successiva alla fine dell’anno accademico, così quando arrivammo lì...credo fosse Dundee, o forse Aberdeen, non ricordo bene, ma fu veramente divertente. Suonammo di fronte a 7 persone - e dopo le invitammo tutte nei camerini per bere qualcosa insieme (risate). Mentre i punk per dimostrarci che gli piacevamo ci sputavano addosso in locali come The Hope e Anchor. Ho sempre amato l’atmosfera dei club, davvero, e in alcuni locali abbiamo finito per diventare quasi degli ospiti fissi. In molti posti facevamo anche quattro o cinque serate di fila, fino a quando siamo arrivati a fare un tutto esaurito al Marquee con circa 1000 persone. Il nostro ingaggio ammontava a 105 sterline ma ne spendemmo 100 per i manifesti, così ci rimasero i soldi per una birra (risate).
"Lady Writer" venne pubblicata come singolo - di cosa parla la canzone?
Avevo visto una donna parlare in tv, è questo ciò che racconta, lei che parlava in tv. Credo che in quel periodo iniziassi a pensare di poter scrivere su tutto quello che mi veniva in mente e così via. Credo che queste sono cose che influenzavano, ad esempio, uno come Dylan, che può scrivere quello che vuole e metterlo in una canzone popolare. Così molte delle mie canzoni erano, e sono, solo degli esperimenti e, sai... nel nostro mestiere gli errori si fanno in pubblico: le cose purtroppo vanno così.
Una delle canzoni più romantiche dei Dire Straits è "Romeo and Juliet": si tratta di una canzone che hai scritto per te? A quel tempo vivevo a Camberwell (risate) ed ero seduto sul pavimento - non avevo mobili e mi ero spostato da Deptford: mi ricordo di me che scrivevo seduto sul pavimento, con un disperato bisogno di mobili. Mi chiedevo che tipo di personaggio dovesse essere Romeo, e pensavo a qualcosa di divertente, perché comunque sai che prima o poi viene un momento bello, anche se qualcuno ti ha lasciato, e così mi piaceva l’idea che Romeo, la cui figura ricorda la tragedia di Shakespeare, in quel caso lì fosse qualcosa di più divertente, e malizioso.
Un’altra delle canzoni più celebri di "Making Movies" era "Tunnel of Love"
Sì, c’erano dei riferimenti incrociati tra New York, Rockaway Beach e la baia di Whitly dove ero solito andare quando ero bambino, in un posto che si chiamava Cullercoates. Mi sedevo sulla spiaggia e giocavo, facevo castelli di sabbia e gli correvo intorno. C’era un parco dei divertimenti da quelle parti, la ‘città spagnola’, chiamata così perché era un posto esotico. Aveva queste torri bianche che sembravano quasi minareti o qualcosa del genere e tutti la chiamavano ‘spanish city’ e io pensavo che fosse un posto fantastico. C’era anche un altro luna park che arrivava fuori Newcastle una volta all’anno ed era il più grande parco dei divertimenti d’Europa, mi affascinava in modo incredibile. Amavo tutta quella situazione, era come se mi parlasse, l’odore, il diesel, le caratteristiche ‘macho’ dei tipi che azionavano l’autoscontro e la musica da waltzer. Credevo fosse una cosa splendida. La vita che io stavo vivendo con la band, facendo concerti in continuazione e lavorando duro, doveva essere simile all’essere sparato in uno di questi viaggi nel tunnel dell’amore, sbattendo e urlando per tutto il viaggio. Cos’altro mi ricordo...ah, sì, c’era un waltzer che canticchiavo sulla spiaggia a Cullercoates e inizia con una melodia che ero solito gorgogliare con la gola facendo l’imitazione di un Wurlitzer, che era l’organo con cui è suonata l’introduzione di "Tunnel of Love". Probabilmente l’ho scritta e messa insieme in un periodo di tempo abbastanza lungo trascorso tra Londra e New York, come del resto ho fatto con tutte le canzoni di quel disco. Sai che impieghiamo molto tempo per scrivere così può capitare che nel frattempo si sia cambiata nazione prima ancora di aver finito. Alcune canzoni si scrivono da sole molto velocemente. Altre ci mettono di più. Non esiste una formula.
Ai tempi in cui si parlava ancora di LP, "Telegraph road" si trovava sullo stesso lato di un brano chiamato "Private Investigations". So che è stata ispirata dal celebre scrittore del crimine losangelino, Raymond Chandler...
Sì, in un certo senso è una cosa nel suo stile, deriva semplicemente dalle mie letture. Hai presente questo senso di esaurimento totale, di spossatezza e poi "cosa hai ottenuto/alla fine della giornata"? Niente, in realtà. Sai, una cosa che ami tanto come è la musica, può anche farti soffrire molto. Con la musica i picchi sono veramente alti, e di conseguenza anche quando tocchi il fondo vai veramente in basso. La California ritratta da Chandler è veramente in bancarotta dal punto di vista della morale e tutto sembra andare avanti senza più fede in niente. E’ così quando ti accorgi di una serie di cose che procedono parallelamente al tuo cammino. Il music business, ad esempio, è una cosa completamente differente dalla musica, ma è anche e soltanto una parte del tuo crescere. I sogni di quando eri bambino se ne vanno.
La cosa successiva che avete registrato è una sorta di gioioso tributo al rock’n’roll, l’EP "Twisting By The Pool"
Credo che fosse una reazione al periodo di "Love Over Gold", in cui avevo lavorato moltissimo in studio. Volevo fare qualcosa che portasse via poco tempo, un giorno, il tempo necessario per suonarla e niente altro. Ecco perché suona così - questo è il motivo, oltre al fatto che in quel periodo ascoltavo molto un EP degli Everly Brothers. In seguito loro registrarono un mio brano, e ricordo di essermi emozionato molto quando una volta l’abbiamo suonato insieme sul palco, in Tennessee. Hanno avuto una grande influenza su di me, quando ero giovane. E da allora ho sempre pensato che più vai indietro e nella musica e più scopri chi, a loro volta, ha influenzato loro: non molta gente in Inghilterra ha mai sentito parlare dei Wilbur Brothers. C’è un po’ di Bo Diddley in quel brano, soprattutto nella chitarra, che ha un ritmo pazzesco.
Di cosa parla "Love Over Gold"?
Il titolo viene da un graffito che ho visto scritto su un muro a Deptford e che mi ha colpito. Il fatto di vivere in questo posto orribile e di sapere che qualcuno ha scritto sul muro una frase così mi ha dato un’emozione fortissima. E poi lì viveva una ragazzina che sembrava sempre essere sull’orlo di un pericolo, mi dava di per sé l’idea di una vita sul margine. Sarebbe stata capace di sbattere addosso a una porta piuttosto che aprirla. E’ una cosa che mi ha dato da pensare.
Credo che una delle canzoni più toccanti che i Dire Straits abbiano mai registrato sia "So Far Away", presente sull’album "Brothers In Arms". Un brano molto semplice, romantico in un’accezione non retorica.
Sì, c’è un’altra cosa da dire a proposito dell’andare in tournée e del registrare, ed è che quando fai il musicista e passi molto tempo lontano da casa alla fine ti capita spesso di scrivere canzoni del genere. Ci sono canzoni che riguardano il sentirsi fuori posto e altre che toccano il tema della separazione. Molte canzoni che affrontano questi argomenti, scritte da altri autori, sono tra le mie preferite di sempre, e per questo credo di aver scritto molto sull’argomento.
Si dice che "Money For Nothing" fosse ispirata a una conversazione origliata...
Sì, ero a New York in uno di questi grandi negozi di elettrodomestici. Sai, quei negozi che tengono tutto in vetrina, cucine, tavoli e persino gli impiegati, tutto a vista. Poi sono entrato dentro e avevano pile di televisori che trasmettevano MTV. Sembrava di essere sul set di un video, con questo personaggio enorme con la sua maglietta a scacchi impegnato a trasportare casse nel retro del magazzino, mentre commentava con altri due o tre le performances delle rockstar su MTV. Ma le cose che diceva erano così perfette che ho smesso di ascoltarlo dopo due minuti e ho iniziato a prendere appunti sulle frasi che captavo, cose tipo "that ain’t working" ("quello non è lavoro") e "maybe get a blister on your finger" ("forse ti viene una vescica sul dito"), veramente divertenti, come anche "What’s that, Hawaiian noises?" ("Cosa sono questi, suoni hawaiani?"). Così, in un certo senso, la mia canzone è soltanto un reportage. Diciamo che è una di quelle cose in cui sei consapevole del fatto che la situazione ti offre la possibilità di creare qualcosa.
Come è nata la title-track "Brothers In Arms"?
A volte ti porti dietro una frase per un lungo periodo, non sai sempre il perché: in quel periodo c’era la guerra delle Falklands, e mio padre mi diceva una cosa che poteva sembrare ironica, e cioè che i Russi erano "brothers in arms" ("fratelli in armi") del governo fascista argentino. Usò proprio l’espressione "Brothers in Arms"; si vede che le assurdità finiscono per rimanere impresse.
"Walk of Life" è un’altra delle canzoni più amate dei Dire Straits, e un brano che in qualche modo si pensava che i Dire Straits non volessero neanche inserire nell’album "Brothers In Arms".
Non è vero... noi la volevamo assolutamente sul disco, era piuttosto Neil, il coproduttore dell’album, che non la voleva... forse pensava che potesse essere troppo leggera. Noi l’amavamo. L’idea mi è venuta da una foto di un amico di John (Illsley, il bassista degli Straits, ndt), che mostrava un cantante in un sottopassaggio che cantava cercando di dare potenza alla voce, e accanto un ragazzino con una chitarra, tipo un giovane rockabilly. Sono sempre stato colpito dalla figura del musicista ambulante, ha un’influenza su di me che mi riporta alla musica cajun. E difatti il pezzo è stato registrato da alcuni artisti cajun, con una fisarmonica al posto dell’organo.
Molti tuoi brani hanno dei riferimenti americani. Di cosa parla "Calling Elvis"?
E’ soltanto una cosetta leggera che si è trasformata in una canzone ossessiva. L’idea mi è venuta da qualcuno che a proposito di sua sorella diceva: "E’ come chiamare Elvis, e cercare di farselo passare". Mi sono venuti in mente questi tempi dominati dalle segreterie telefoniche, e da segreterie telefoniche che parlano ad altre segreterie telefoniche.
"Heavy Fuel" è un’altra canzone dal robusto aroma americano...
Se trascorri molto tempo negli States, alla fine la cultura consumistica finisce per catturarti, così come è successo con la moda dei fast food quando hanno iniziato ad attecchire in Gran Bretagna. Credo che quello sia tutto ciò che è rimasto degli anni in cui la Tatcher è stata al Governo, il risultato di un atteggiamento materialistico e meschino, sai l’idea per cui se vuoi fare affari e sopravvivere devi per forza giocare sporco. La canzone si basa su un libro di Martin Amis intitolato "Money". John Self, il protagonista del libro, viene descritto come uno "running on heavy fuel" ("che andava a combustibile", ndt), e da lì ho avuto l’idea. Molte delle mie idee provengono dai libri.
"On Every Street" è il mio album preferito dei Dire Straits. Non saprei spiegarti perché, visto che non è neanche quello di cui si parla di più, ma contiene alcune delle mie canzoni preferite di sempre, come ad esempio la title-track, che trovo molto emozionante. Di cosa parla?
Credo che parli del fatto che siamo capaci di credere in un’idea, e di mantenerci fedeli ad essa, cercando qualcosa che potremmo non trovare mai. E anche, chiedendoci perché lo stiamo facendo...credo che ci sia un verso in cui dico "I don’t know why I’m still on the case" ("Non so perché ci stia ancora dietro...", ndt)
Una delle cose più memorabili della recente produzione dei Dire Straits è la linea di sax che apre "Your Latest Trick".
Quella linea di sax sembrava dovesse venire fuori per forza. Sul disco l’ha suonata Michael Brecker, poi Chris White l’ha fatta sua per il tour e mi ha detto che ogni volta che entrava in un negozio di strumenti musicali per fare compere c’era qualcuno che la suonava. Ho sempre pensato che fosse divertente, perché quando vai in un negozio di chitarre trovi sempre un ragazzino che suona "Stairway To Heaven", e non avrei mai pensato che sarei stato l’autore di qualcosa che i ragazzini suonano nel reparto ottoni di un negozio di strumenti...
Non sono sicuro della cronologia ma una cosa che dobbiamo sicuramente menzionare è il brano "Local Hero", non fosse altro perché rappresenta uno dei brani più famosi dei Dire Straits, anche se non era proprio un loro pezzo. Lo avevi scritto per la colonna sonora del film omonimo, nella quale hai messo in mostra il tuo interesse per la musica celtica.
Credo che, essendo cresciuto al nord, ho assorbito un po’ di quelle atmosfere, e mi ricordo la musica scozzese di Glasgow e tutte quelle canzoni a perfezione. C’è molto lirismo nelle melodie folk, mi hanno sempre attratto. Alcune delle cose che ho scritto nascono come delle scene di un film, sono sequenze di una storia, raccontate come se fossero inquadrate da una telecamera. Vedi le inquadrature, vedi i primi piani e le panoramiche, e tutto il resto. E’ come passare da un estremo all’altro fino a quando il tutto ha un senso. Approccio le cose sempre in questo modo, come se fosse un film... credo sia una cosa che ho proprio dentro di me, vivo in questo stato fino a quando la canzone non è finita. Ma con i musicisti che ho penso di poter suonare praticamente di tutto, perché loro sono di grande aiuto.