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Arcano enigma e altre storie, tra spiritualità e pop...

Quella di Juri Camisasca è una storia unica: musicista ‘pazzo’ e sperimentale all’inizio degli anni ’70 - con un album all’attivo intitolato “La finestra dentro” – Camisasca ha presto abbracciato i voti dell’ordine benedettino per vivere 11 anni chiuso in un monastero. Nel 1991 ha pubblicato l’album “Il carmelo di Echt” dopo aver sciolto il voto dell’ordine: segue un periodo dedito alla vita in solitudine, durante il quale Camisasca canta nel “Gilgamesh” di Franco Battiato. Il suo più recente lavoro si intitola “Arcano enigma” e ripropone la miscela di spiritualità e musica pop che di questo artista milanese costituisce il tratto distintivo. L’album è stato prodotto da Franco Battiato, vede la collaborazione dei Bluvertigo e contiene delle canzoni molto suggestive, uniche nel loro genere, come del resto è unico il loro autore, capace di cantare in latino in “Sant’Agostino” e affiancare melodie più squisitamente ‘profane’ per “Zodiaco”.

Prima di “Arcano enigma”, il tuo ultimo disco risaliva al 1991 e si intitolava “Il carmelo di Echt”: cosa è successo dopo?
Probabilmente l’album non ha soddisfatto, dal punto di vista commerciale, le aspettative della mia casa discografica di allora, ragion per cui è diventato più complesso mettersi a lavorare con tranquillità ad un nuovo progetto. Ho ricevuto diverse proposte per altri lavori, ma in ambiti e situazioni che non mi andavano a genio. “Arcano enigma” mi dava invece delle garanzie soprattutto sul piano della serenità, per cui ho pensato bene di rimettermi a lavorare. Il disco è nato in maniera molto serena, la Universal si è interessata al lavoro e così ci siamo accordati per farlo uscire.

Le canzoni presenti sull’album sono state composte in un arco di tempo comunque recente oppure risalgono al passato?
Sono tutte molto recenti tranne un paio di brani, “Tocchi terra, tocchi Dio” e “Vegetarian song”, che risalgono a qualche anno fa. Tutto il resto è stato scritto l’anno scorso, quando ho deciso di rimettermi a scrivere qualche canzone. Precedentemente avevo fatto altri provini - un altro genere di cose - che sembravano essere interessanti per diverse case discografiche e che poi, invece, sono rimaste nel cassetto…

Ma quanto il materiale di “Arcano enigma” è diverso da quei provini e quanto invece pensi che possa essere stata soltanto una questione di tempi ‘non coincidenti’?
Può essere… prima di questo disco stavo facendo un lavoro con dei musicisti napoletani, molto interessante, ma non l’ho concluso per mia volontà, perché si erano create delle tensioni all’interno del gruppo di lavoro. Per quel disco avevo già una proposta da parte della EMI. Poi è subentrato un periodo di ripensamento, in cui mi sono detto che forse non valeva la pena di sopportare tensioni e stress di vario tipo pur di fare un disco a tutti i costi. Visto che io dipingo, posso benissimo vivere facendo quadri. Comunque, scartato quel progetto, dopo un anno ho iniziato a fare dei provini di matrice molto rock, sostenuti da una base musicale molto potente. Era quello il genere di lavoro a cui sembravano essere interessati in diversi, ma del quale poi non si è fatto nulla. Lasciato passare un po’ di tempo anche da quel progetto, ho iniziato a scrivere le canzoni di “Arcano enigma”: quando quelli della Polygram – ora Universal – le hanno ascoltate, mi hanno detto che erano interessati a stampare il disco. Così siamo arrivati alla fine del progetto e all’uscita dell’album.

Qual è il cast con cui hai lavorato a questo nuovo disco?
Ci sono anzitutto i Bluvertigo, tranne Andy. Morgan al basso, Sergio alla batteria e Livio alla chitarra. Poi c’è Franco Lazzaro, un tastierista di Catania, col quale ho fatto un pezzo che si chiama “Sant’Agostino”. Lui ha arrangiato il brano. Io suono delle tastiere, mentre con Pino “Pinaxa” Pischetola abbiamo aggiunto dei suoni tra il rumoristico e l’elettronico. Poi c’è l’aggiunta di un altro batterista e percussionista che è il socio di Pino, Mauro Spina. Il tutto è prodotto da Franco Battiato.

Continui nei tuoi album a mescolare pop e spiritualità…
Be’, sì, ma questo succede perché è la mia natura. Ognuno di noi fa quello che ha dentro. Io vengo dal pop, e negli anni ’70 ero un cantautore ‘pazzo’. Prima di fare il cantautore avevo un gruppo con cui suonavamo pezzi di Jimi Hendrix, King Crimson, Cream, Deep Purple, Led Zeppelin, quindi la mia vena è quella, però sentivo di apprezzare anche cose più melodiche: mi piacevano José Feliciano, il primo Elton John, James Taylor, Donovan, Dylan… però, data l’energia che avevo, preferivo cantare proprio quelle cose di cui ti parlavo sopra, il rock inglese. Poi nella vita si cambia, e io ho fatto delle esperienze molto particolari, che mi hanno dato un corpo interiore un po’ diverso. Quindi se nel nuovo album c’è un accenno alla spiritualità è perché questa cosa fa realmente parte della mia vita, e non perché ci tenga a passare per ‘spirituale’.

L’esperienza cui accennavi è quella che riguardava la tua vita monastica?
Esatto. Ad un certo momento della mia vita sono entrato in un monastero benedettino…

E quanto tempo ci sei rimasto?
Per la bellezza di undici anni!

Se non sono troppo indiscreto, perché quell’esperienza si è conclusa?
Si è conclusa perché si è conclusa…perché ogni cosa ha un inizio e una fine. Che poi possiamo dire che si è conclusa da un punto di vista esteriore, perché poi la spiritualità è una cosa che è dentro di me e che non abbandonerò mai. E’ uno stile di vita, è un modo di concepire la vita: non è che indossando un saio tu la concepisci in un modo e poi togliendolo la concepisci in modo diverso. Il monachesimo è un’istituzione che è stata inventata nel quarto secolo per le esigenze di alcune persone, per vivere più radicalmente certe scelte che si facevano. Da parte mia sentivo il desiderio di fare un altro tipo di esperienza, che è quella relativa alla vita da eremita, alla vita silenziosa che poi è quella che conduco adesso. Anche se poi con il tempo ho imparato a bilanciare al vita in solitudine con quella per così dire ‘sociale’. Non è che mi costringo a mangiare radici, magari vado anche in pizzeria con gli amici, però il mio elemento è il silenzio, la vita in solitudine. E’ lì che mi trovo come il pesce nell’acqua. Quando mi sposto per l’Italia sto benissimo, ma poi mi piace anche stare per conto mio. Vivo il silenzio, la solitudine, lo stare insieme agli altri, e anche il momento creativo: dipingere, scrivere, cantare. Sono fatto così: credo che l’importante sia scoprirsi, nella vita, scoprire come si è fatti e starci bene.

A proposito dell’eremitaggio, Franco Battiato mi diceva che il rischio del vivere in un posto così bello si rischia di diventare pigri…
Non sono d’accordo. Secondo me la scelta che ho fatto io richiede una motivazione continua per poter essere vissuta, altrimenti la abbandoni dopo tre ore o dopo una settimana che vivi così. All’esterno non hai delle gratificazioni, quindi il diventare pigri è un rischio di tutta l’umanità, perché ci sono dei momenti in cui non hai voglia di fare niente, però sono momenti che vanno superati in una scalata ascetica. Tutto ciò che ti tira verso il basso deve essere superata, se vuoi fare una vita come quella che sto facendo io: che poi non è detto che io ci riesca, però io sto bene, sono una persona serena. Questo è secondo me il parametro secondo cui puoi stabilire se stai vivendo bene o non stai vivendo bene. C’è un detto che dice “la felicità è un fatto naturale, l’infelicità ha bisogno di una causa”. Lo stato naturale dell’uomo è la sua serenità: siccome io mi reputo una persona serena…

A otto anni di distanza dal tuo precedente lavoro, è un caso che “Arcano enigma” arrivi sul finire del millennio?
Non è un caso, perché credo anche che quello che noi facciamo è nel bene e nel male l’esternazione di un’energia che circola. Credo che ci siano delle attinenze in questo senso…non ho certo pensato a fare un disco sul millennio, però il mondo che osservo vive in qualche modo questo momento storico in modo particolare. Dall’altro lato penso anche che certe ricorrenze l’uomo se lei crei e le celebri per dare più colore alla vita. Dal punto di vista cosmico il secondo millennio per me non vuol dire niente, visto che noi calcoliamo gli anni in base all’avvento di Cristo, mentre i buddisti lo fanno in un altro modo… sono scadenze che l’uomo si impone e si dà, e che per me non hanno una grandissima valenza, se riesco ad avere un senso più ampio della vita. Per me il senso della vita è la sua eternità…

…che è il tema che si ritrova all’interno di questo disco…
Sì, perché esiste unicamente il presente alla fine, una continua eternità. Sant’Agostino diceva bene: «il passato è nella memoria e il futuro è nell’immaginazione». Ciò che realmente è, è soltanto questo momento del presente che poi è già passato…senza entrare in complicazioni filosofiche, posso dire che mi interessa molto vivere l’attuale, superare il concetto di tempo. Ciò non toglie che io non sia influenzato da quello che succede esternamente al mio mondo, quindi anche la musica che faccio e le cose che scrivo risentono dell’umore dell’umanità.

E in questo momento che umore ti sembra che abbia l’umanità?
E’ un momento di attesa, si sta vivendo un momento in cui sembra che debbano avvenire dei grandi cambiamenti. Ci si aspetta dall’avvento del nuovo millennio chissà che cosa, invece probabilmente si andrà avanti come sempre, anzi: uno si aspetta cose importanti e belle e invece magari arriva la guerra in Kosovo. C’è una speranza, comunque, contenuta in una sfera di assoluto mistero: l’arcano enigma per me è questo, un mistero antichissimo e impenetrabile. Anche se poi arcano enigma dà il titolo all’album e a una canzone, io l’ho ricavata da una tematica di Sant’Agostino in cui lui parla della memoria e del ricordo di Dio, e dice : «se io mi ricordo di te, è perché in qualche modo ti conosco», sono cose molto misteriose, così come quando dice «uno non può cercare Dio se non lo ha già trovato»…

Però lui era Sant’Agostino…
Ah, senza dubbio!

Probabilmente persone meno ‘credenti’ non arrivano altrettanto facilmente alla stessa considerazione, o forse non gli interessa arrivarci…
Certo, può essere così… io credo che tutti gli uomini sono potenzialmente uguali, poi in alcuni si risveglia questa potenzialità e in altri rimane assopita. Però tutti gli uomini sono degli involucri attraverso i quali passa la corrente cosmica. Tutti noi siamo templi di un’energia inestimabile.

Sul tuo album comunque non si parla solo di spiritualità, ma anche di astrologia: “Zodiaco” è una canzone sospesa tra l’ironia sulle caratteristiche dei segni e la seria considerazione dell’elemento astrale che influisce sulle nostre vite…
Mi era venuta l’idea di fare un pezzo sui segni zodiacali, con un po’ di ironia intorno alle caratteristiche dei segni visti nella loro valenza più debole, da giornale del mattino. E’ un gioco che però ti può fare anche pensare, perché io credo all’influenza degli astri. Ho pensato di fare la canzone in modo molto ironico, seminando qua e là della frasi più serie come “siamo appesi allo zodiaco” e “siamo macchine astrologiche”. C’è una forte contraddizione all’interno del nostro rapporto con gli astri, come se a volte la nostra natura ci portasse a fare cose che noi non approviamo, il nostro male. A volte, senza un motivo, facciamo delle cose che ci si rivoltano contro, nonostante la strada da seguire sia lì proprio di fronte a noi. Facili. Eppure è la nostra natura che viene fuori, e in questa dialettica c’è sicuramente il rapporto con gli astri.

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