Rockol30

La cantantessa del Village si racconta e difende le antologie: dischi di materiale scelto, come il suo ultimo "Tried and true"...

"The Best of Suzanne Vega: tried and true" è l’antologia di una carriera musicale silenziosa e discreta, dipinta a colori pastello e con tratto infantile. Suzanne Vega aveva esordito con le storie cantate sottovoce di un album che portava solo il suo nome, raggiungendo il successo con il singolo "Luka", tratto dal successivo "Solitude Standing". Sono seguiti album più coraggiosi e meno fortunati: "Days of open hand" e "99 degrees Farenheit": l’ascesi e la provocazione. Sono arrivati una figlia e un album "della maturità": "Nine objects of desire". Oggi Suzanne è una signora dallo sguardo timido, che parla dei suoi dischi con pragmatismo tutto americano, e con serenità della sua incurabile solitudine.

Cosa spinge un artista a pubblicare una retrospettiva?
Da ragazza non avevo molti soldi, ma quelli che avevo li spendevo in libri e dischi; non compravo certo vestiti. Facevo la telefonista, e nella pausa pranzo andavo spesso al negozio di dischi. Mi piacevano i "Best of..." perché mi permettevano di conoscere con un artista senza correre il rischio di beccare un disco strano o sperimentale. I pochi dischi che riuscivo a comprare era molto importanti per me, e con le antologie sapevo di non sbagliare. "Tried and True" è la retrospettiva su tutto quello che ho fatto fino a ora, cinque album in tredici anni, ed è la somma di quello che il pubblico ama e conosce meglio.

Quale strada traccia, questa retrospettiva, dal primo album - "Suzanne Vega" - all’ultimo "Nine objects of desire"?
Un percorso interessante: quando ho cominciato a suonare in pubblico a New York, la gente diceva: ecco una ragazza che viene dal Greenwich Village con la sua chitarra acustica: deve essere una nuova cantante folk. Era vero solo in parte; io in realtà sono una songwriter, e utilizzo stili musicali diversi, non solo il folk. Per questo "Tried and true" contiene "Blood makes noise", una canzone piena di distorsioni ed effetti, molto lontana da un brano folk; o anche "Tom’s diner" nella versione remixata da DNA, che secondo alcuni era una violazione della purezza dell’originale, mentre per me è solo una buona interpretazione. Le ultime canzoni del’album sono invece acustiche, e così chiudono il cerchio.

Ti senti più una cantante o una scrittrice?
Amo il linguaggio e le poesie. Per me, scrivere le parole di una canzone rappresenta l’ottanta per cento del lavoro. Uso la musica come veicolo per esprimermi perché amo le canzoni, ma non credo di essere una buona musicista o una grande cantante. La mia forza sta nelle parole, ed è bene che chi mi ascolta lo sappia in anticipo, per non rimanere sorpreso. Sono un’artista che osserva e racconta storie.

È stato detto che il tuo primo album, "Suzanne Vega", conteneva immagini e suoni così essenziali da raggiungere l’ anoressia..
In effetti quelle canzoni hanno l’estetica del "ridotto all’osso". In quel periodo della mia vita provavo delle cose che potevano corrispondere a quel tipo di immaginario. Alcune delle canzoni di "Nine objects of desire" erano nate dieci anni prima, ma io non me la sono mai sentita di cantarle in pubblico. Quando sono rimasta incinta di mia figlia, invece, la mia vita e la mia persona sono fiorite; ho trovato nuova gioia nel mio corpo e questo mi ha permesso di scrivere meglio dei suoi desideri. Credo che la vita segua dei corsi e ricorsi, e quindi ora mi sento pronta a ritornare ad una estetica più essenziale.

I due estremi di questo cambiamento potrebbero essere "Undertow" - da "Suzanne Vega" - e "Caramel" da "Nine Objects of desire"...
Al contrario, quei due pezzi sono molto simili. Il primo esprime il rifiuto, ma anche la fame di qualcosa che non hai, mentre "Caramel" è la voglia di qualcosa che non hai il diritto di avere. Questa è una idea ricorrente nelle mie canzoni: il desiderio di raggiungere qualche cosa che non è alla tua portata.

Altri brani di questa raccolta vengono da "99 degrees Farenheit", che era stato un album di rottura...
"99 degrees Farenheit" era una sfida. Mi ero stufata dei toni introspettivi e sognanti dell’album precedente, "Days of open hand". Sentivo il desiderio di qualcosa di nuovo, volevo affrontare il pubblico e lanciargli delle sfide. In canzoni come "Blood makes noise" volevo mostrare che la mia musica poteva anche essere violenta e che io non ero solo una Miss Thoughtful ("Signora Pensierosa", Ndr), come venivo descritta. Piano piano l’album è piaciuto anche i fans che preferivano i classici più rassicuranti come "Luka". Ha venduto costantemente nel tempo, e l’anno scorso ha raggiunto il disco d’oro negli Stati Uniti.

"Luka" non è solo una canzone di successo, ma anche la storia di un problema molto grave e doloroso, la violenza sui bambini. Ti interessa l’impegno sociale?
Non credo che un artista abbia il dovere di dire la sua solo perché è famoso. La maggior parte dei musicisti non sanno niente neanche delle cause di cui si occupano. Se a me capita di dire qualcosa su un problema, non lo faccio perché sono una celebrità, ma perché sono una cittadina. Quando scrivo, parto sempre da un punto di vista individuale: nel caso di "Luka", cercavo di capire come potevo raccontare una storia in maniera autentica, non un principio astratto. Non mi aspettavo che la gente avesse voglia di ascoltare una storia come quella di Luka. Poche persone se la sentono di affrontare il dolore di un bambino che viene picchiato. Sono rimasta veramente sorpresa quando la canzone è stata adottata dai media e dal pubblico per rappresentare un problema: per me era solo la storia di una persona.

Come scopri le storie che racconti nelle tue canzoni?
È sufficiente ascoltare e osservare le strade di New York. Ho vissuto per più di dieci anni vicino al fiume, in un posto isolato, senza vicinato. Ora invece mi sono trasferita in un quartiere molto più popolato, e ho il mondo alla mia porta, che mi piaccia o no. Dalle mie finestre vedo ragazzine che si siedono sul marciapiede e chiacchierano fumando sigarette, e mi metto ad ascoltarle. C’è un vecchio marinaio in pensione che si siede sulla mia porta. Quando porto la bambina a scuola, sento la musica che viene dai negozi e dalle radio. Tutti questi suoni e quei volti nutrono la mia immaginazione.

Proprio come la protagonista/narratrice di Tom’s Diner, che è seduta in un caffè e osserva quelli che passano in totale solitudine...
Mi sento molto isolata anche in mezzo alla folla, in un bar o sopra un autobus. Quando sono sul palco non vedo la folla, ma tante persone che sono uscite di casa per stare assieme per un pò di tempo. Scrivere è la mia maniera di comunicare, e se riesco ad aprire una connessione per me è un grande successo, perché è difficile parlare con una persona alla volta.

Abbiamo scoperto chi è il fantasma di "Solitude Standing"...
Ho sempre sentito quella presenza vicino a me. In un mio libro che sta per uscire in America c’è una poesia si intitola "By Myself" ("da sola", Ndr); l’ho scritta quando avevo nove anni e venti anni dopo ho fatto "Solitude Standing", che aveva la stessa idea, immagini differenti ma la stessa visione. La solitudine è da sempre con me, ed è lei che mi spinge a fare quello che faccio. È come una persona che soffre di vertigini e impara a lanciarsi col paracadute. Affrontare il pubblico di un concerto è la mia peggiore paura, ma anche quello che mi da le emozioni più forti.

Altre interviste

Elvis Costello - Musica senza confini: Costello + Bacharach= canzoni di classe. Un incontro esclusivo con Mr. Declan MacManus e l’arte dello scrivere canzoni... (24/11/1998)

Alanis Morissette - Più che un’intervista, qualche pagina di appunti sparsi scritti in prima persona sulle canzoni del nuovo disco.... (21/11/1998)

Marina Rei - L'abbiamo avuta gradita ospite sulla nostra chat: ecco le vostre domande e le sue risposte, in un'intervista tutta da leggere! (17/11/1998)

Manic Street Preachers - Mentre su tutte le radio debutta il nuovo singolo 'The everlasting', Nicky Wire ci racconta idee e obiettivi del gruppo del momento. (16/11/1998)

Swirl 360 - Il loro album d’esordio, ‘Ask Anybody’, è un concentrato di grande pop d’autore. A tu per tu con i migliori seguaci dei Beach Boys e del loro stile molto surfin’... (11/11/1998)

© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Policy uso immagini

Rockol

  • Utilizza solo immagini e fotografie rese disponibili a fini promozionali (“for press use”) da case discografiche, agenti di artisti e uffici stampa.
  • Usa le immagini per finalità di critica ed esercizio del diritto di cronaca, in modalità degradata conforme alle prescrizioni della legge sul diritto d'autore, utilizzate ad esclusivo corredo dei propri contenuti informativi.
  • Accetta solo fotografie non esclusive, destinate a utilizzo su testate e, in generale, quelle libere da diritti.
  • Pubblica immagini fotografiche dal vivo concesse in utilizzo da fotografi dei quali viene riportato il copyright.
  • È disponibile a corrispondere all'avente diritto un equo compenso in caso di pubblicazione di fotografie il cui autore sia, all'atto della pubblicazione, ignoto.

Segnalazioni

Vogliate segnalarci immediatamente la eventuali presenza di immagini non rientranti nelle fattispecie di cui sopra, per una nostra rapida valutazione e, ove confermato l’improprio utilizzo, per una immediata rimozione.