Come sei arrivato all’idea di questo progetto con Burt Bacarach?
Dopo aver riunito gli Attractions con "All this Useless Beauty", sentivo il desiderio di andare avanti. Non ci siamo divertiti quanto immaginavamo: quando diventi più anziano, hai bisogno di esprimerti con maggiore sottigliezza, usando sfumature diverse. Con il gruppo non ho trovato la possibilita’ di usare questa tavolozza.
La critica non ha sempre accolto con favore il tuo bisogno di cercare strade musicali sempre diverse...
C’è stata molta ostilita’, soprattutto in Inghilterra. Certe volte ho l’impressione che la gente abbia paura della varietà degli stili musicali. Nel mio caso, non si trattava solo di cambiare cappello, di passare da una moda all’altra, ma di guardare alla musica con curiosita’. Voglio imparare cose nuove e trovare nuovi stimoli. Non mi aspetto che la gente apprezzi per forza quello che scrivo, e sono disposto a correre il rischio di non essere capito pur di andare sempre avanti.
Nella tua carriera sei passato dal post punk dei primi anni ottanta, al suono "nero" influenzato dalla Motown, al pop, alla musica da camera. In che modo ciascuna di queste esperienze ha migliorato la tua personalità musicale?
Oggi mi sento più preparato musicalmente. Ho imparato a modulare le infinite possibilità della dell’intreccio tra i diversi tipi di strumenti. Mi sento in grado di scrivere e suonare parti più interessanti, e riesco ad immaginare in modo più preciso quali combinazioni di suoni possono funzionare meglio.
Quali musiche stimolano la tua creatività oggi?
Se tieni le orecchie bene aperte, non puoi che imparare da qualsiasi cosa ascolti. Pensa a quanta gente continua a venerare i Doors. Il mito ha superato il loro effettivo valore musicale, ma moltissima gente continua a copiarli. Invece il punto è proprio che non devi fare altro che assomigliare a te stesso. Io sono cresciuto musicalmente negli anni settanta, quando c’erano tanti generi musicali da cui attingere: le mille facce della musica nera, dal soul al funk, stax, motown, il primo reggae, lo ska, e quello che poi è confluito nel punk. Il mio obbiettivo è saper prendere ognuno di questi generi e reinterpretarlo in modo nuovo.
Pensi che il tuo pubblico ti abbia sempre seguito in questa ricerca?
La gente si aspetta sempre che tu faccia il disco che vogliono loro. Ma sono sicuro che la maggioranza delle persone ha dei gusti molto più ampi e indefiniti di tanti critici. Questo popolo di persone curiose è quello a cui io mi rivolgo. Nessuno risponde alla musica in maniera teorica: chi ascolta musica lo fa perché la sua sensibilità lo porta a riconoscere qualcosa nelle canzoni o nei testi che le accompagnano. È questa la reazione che io cerco di trovare.
Quale sarà la prossima rivoluzione?
Vorrei lavorare meno con le percussioni, senza batteria, ma con molti archi. Ho molte idee ma sono tutte ancora un po’ per aria. Tra i progetti più concreti ci sono un lavoro con i Jazz Passengers, o un secondo disco con il Brodsky Quartet. Assieme a Steve Nieve sto scrivendo molto materiale per un progetto comune, ma non sappiamo cosa ne sarà perché noi ci conosciamo così bene che non facciamo altro che scrivere e cambiare tutto continuamente. Non abbiamo fretta. Questa è un’altra differenza rispetto al passato: lavoro in una prospettiva del tutto svincolata dal tempo: mi sento libero di scrivere e mi prendo tutto il tempo che mi serve. Io e Burt abbiamo cominciato a lavorare a "Painted From Memory" nell’aprile del 97, e abbiamo finito il disco solo un anno dopo. Oggi sono passati altri mesi ancora e mi ritrovo a suonare quel materiale.
Ti piace suonare in Italia?
L’ultimo tour è cominciato proprio in Italia, dove ci sono dei teatri belissimi. È qui che incontro la maggiore apertura mentale verso la musica. Mi sembra che ci sia meno cinismo, più disponibilità ad accettare le novità.