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«IN DIRETTA – IL GIOCA JOUER DELLA MIA VITA - Claudio Cecchetto» la recensione di Rockol

Claudio Cecchetto - IN DIRETTA – IL GIOCA JOUER DELLA MIA VITA - la recensione

Recensione del 19 nov 2014 a cura di Franco Zanetti

(Baldini Castoldi e Dalai, 400 pagine, 16 euro)

Voto 8/10

La recensione

Claudio Cecchetto probabilmente non se lo ricorda (ammesso che l’abbia mai saputo) ma ho lavorato per lui. E’ successo una trentina d’anni fa, e per qualche anno. Facevo, nominalmente, il caporedattore del mensile “Deejay Show”, il cui direttore era un “vero” direttore di giornale come si usavano allora: si occupava delle relazioni, dei contatti, degli incontri, e gli altri facevano il giornale. “Gli altri” eravamo in tre: io, il grafico Raimondo Monti, la segretaria di redazione Sabina Piperno. Cercavamo per quanto possibile – e anche con buoni risultati, pareva – di tenere insieme un gruppo di collaboratori che, in gran parte, lavoravano a Radio Deejay o a Deejay Television, ai quali del giornale non importava un piffero se non per il fatto che pubblicava le loro foto e le loro rubriche (scritte da noi, o perlomeno riscritte da noi da capo a fondo). A un certo punto cominciammo ad essere aiutati da un giovanotto che poi è diventato l’editore di Rockol. E il giornale vendeva benissimo, perché il traino dei personaggi gravitanti intorno al mondo Deejay era potente.

Claudio Cecchetto lo conoscevo da prima, da quando facevo il discografico, e avevo sempre avuto per lui la stessa grande considerazione che ho adesso. Perché, diciamocelo: uno che nella vita ha scoperto, valorizzato e portato al successo Jovanotti, gli 883 e Fiorello (e non sto ad elencare gli altri, che sono parecchi, a cominciare da Gerry Scotti e Fabio Volo), non può essere uno che ha solo culo. Quello ci vuole, certo, come no. Ma bisogna essere bravi e capaci, oltre che furbi e svelti.
A ripensarci adesso, la mia stima per Cecchetto si è consolidata proprio quando uno dei suoi progetti non ha avuto il “solito” successo: parlo di “Jolly Blu”, il film con/sugli 883 che non sono mai riuscito a vedere, ma del quale condividevo di tutto cuore il senso e lo spirito: riscoprire i “musicarelli”, i film-pretesto costruiti su canzoni di successo. Secondo me avrebbe dovuto farlo proiettare direttamente nei cinema degli oratori – che allora c’erano ancora, era il 1998. Ecco: quella è stata un’operazione che aveva un senso quasi culturale, oltre che profumare di nostalgia della provincia profonda degli anni Cinquanta/Sessanta. Ed è forse per questo che non ha funzionato quanto avrebbe meritato.

Non dovrebbe stupire, date le premesse, che abbia ricevuto con molto piacere il libro di cui dovrei parlarvi qui, invece che menare il torrone con i miei ricordi di gioventù.
E l’ho anche letto con molto piacere, il libro (sono 400 pagine, mica poche). Le ragioni sono svariate. La prima e probabilmente la più importante è che dentro ci ho trovato, come personaggi con nomi e cognomi, molte persone la cui strada si è incrociata con la mia (da Cesare Zucca a Vittorio Salvetti, da Roy Zinsenheim a Mapi, e non sto a fare tutto l’elenco). La seconda è che più volte, durante la lettura, ho ritrovato espresso un concetto che condivido pienamente (e che semplifico per brevità): la più grande soddisfazione, e il più grande successo, per Claudio Cecchetto, è stato vedere i suoi “ragazzi” avere successo. Così è anche per me.
La terza è che la storia di Claudio Cecchetto è quella di uno che si è inventato mille cose, e che non si è mai stancato di inventarne di nuove anche adesso che, come me, ha passato i sessant’anni. Un esempio di vita.

Adesso, chiusa l’agiografia, resta da dire che il libro è amabilmente disordinato, vivace, irruente, e che quindi chi ha trascritto sulle sue pagine i ricordi del protagonista è rimasto fedele all’input e non ne ha tradito lo spirito. Anche la correzione delle bozze è andata benino: di grosso c’è scappato solo un “Monkeys” anziché “Monkees” a pagina 245. Divertente, interessante, a tratti istruttivo; che volete di più?

(Franco Zanetti)

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